Contro un approccio storicistico alla storia della filosofia
Ieri pomeriggio ho avuto una densa e proficua chiacchierata con la prof.ssa. Nicoletta Tirinnanzi, persona squisita e docente preparatissima, a cui devo un po' tutte le cognizioni che ho di Bruno e del Rinascimento. Chiacchierando sulle interpretazioni possibili di alcuni passi cusaniani, lei mi riportava un'idea di Benedetto Croce che vorrei qui discutere - sperando di ricordarla adeguatamente: ogni storia, ogni interpretazione, ogni lettura del passato sono sempre storie, interpretazioni e letture contemporanee perchè hanno come condizione intrascendibile i bisogni attuali. In sostanza dal punto di vista di Croce non solo non esiste una lettura trasparente del passato, scevra dalle condizioni di partenza - sarebbe scontato - ma le letture non sono pensabili separate dai bisogni stessi dell'epoca in cui esse sono state formulate. Le intepretazioni del passato si configurano, quindi, come veri e propri tentativi di risposta a situazioni particolari e accidentali che si vengono a creare negli ambienti in cui la "cosa" è pensata. Questo approccio mi è istintivamente piaciuto anche perchè con il suo aiuto mi è sembrato di esser finalmente riuscito a comprendere alcune letture inusuali dei testi del Cusano. Certamente qualora ci si fiondi in questo tipo di approccio, si dovrebbe affrontare il rischio di "non uscirne più" per i continui rimandi e riletture possibili; eppure mi sento di ammettere che, almeno in sede accademica, esso si rivela efficace e che il rischio vale la preda.
Tornando a casa mi domandavo quanto in effetti tutte le questioni snocciolate nel pomeriggio siano adatte a rispondere ai problemi che muovono la mia ricerca. Ecco perchè oggi vorrei mettere sul banco degli imputati quel modo di far filosofia: mi sembra che i presupposti fortemente storicistici da cui prende le mosse non riescano a rendere ragione di tutti quegli elementi che puntualmente, dal 400 a.C. sino ad oggi, ritornano in ogni problema. Faccio riferimento a tutti quei temi metafisici che spesso richiamo sul blog e che mi stanno a cuore proprio perchè credo che costituiscano un orizzonte intrascendibile con cui la riflessione filosofica non può che fare i conti. Il metafisico ha la pretesa di dire che quei problemi toccati sono strutturali e leggerli secondo una prospettiva storicistica significa non riconoscerne lo statuto ontologico: la riduzione dei problemi a questioni "d'epoca", tipica dello storicismo o del Croce, non riesce perciò a rendere appieno la qualità e il valore delle questioni ultime. Ecco che un metodo fecondo nella ricerca storica e accademica può talvolta rivelarsi inadatto per toccare il nucleo teoretico delle questioni.
Tempo fa, su suggerimento dell'amico Jonathan, acquistai un breve testo di Husserl dal titolo La filosofia come scienza rigorosa e proprio ieri pomeriggio mi tornavano in mente alcune obiezioni di Husserl a Dilthey, lì presenti. Premetto che mi muovo su questi testi come un elefante in quanto non solo ho una conoscenza manualistica delle questioni, ma mi sento lontano dal periodo e la particolare scrittura husserliana fa il resto. Ciò che mi rimase dalla lettura è l'idea di un approccio alla storia della filosofia che si ponga come fine la ricerca delle strutture teoretiche che soggiacciono ai vari pensatori. Ecco, in conclusione mi sembra che, considerate tutte le differenze del caso etc., questa concezione della filosofia sia molto più autentica e vicina ai problemi dell'uomo - pur conscio che parlando autenticità stia aprendo un'altra questione enorme.
Tornando a casa mi domandavo quanto in effetti tutte le questioni snocciolate nel pomeriggio siano adatte a rispondere ai problemi che muovono la mia ricerca. Ecco perchè oggi vorrei mettere sul banco degli imputati quel modo di far filosofia: mi sembra che i presupposti fortemente storicistici da cui prende le mosse non riescano a rendere ragione di tutti quegli elementi che puntualmente, dal 400 a.C. sino ad oggi, ritornano in ogni problema. Faccio riferimento a tutti quei temi metafisici che spesso richiamo sul blog e che mi stanno a cuore proprio perchè credo che costituiscano un orizzonte intrascendibile con cui la riflessione filosofica non può che fare i conti. Il metafisico ha la pretesa di dire che quei problemi toccati sono strutturali e leggerli secondo una prospettiva storicistica significa non riconoscerne lo statuto ontologico: la riduzione dei problemi a questioni "d'epoca", tipica dello storicismo o del Croce, non riesce perciò a rendere appieno la qualità e il valore delle questioni ultime. Ecco che un metodo fecondo nella ricerca storica e accademica può talvolta rivelarsi inadatto per toccare il nucleo teoretico delle questioni.
Tempo fa, su suggerimento dell'amico Jonathan, acquistai un breve testo di Husserl dal titolo La filosofia come scienza rigorosa e proprio ieri pomeriggio mi tornavano in mente alcune obiezioni di Husserl a Dilthey, lì presenti. Premetto che mi muovo su questi testi come un elefante in quanto non solo ho una conoscenza manualistica delle questioni, ma mi sento lontano dal periodo e la particolare scrittura husserliana fa il resto. Ciò che mi rimase dalla lettura è l'idea di un approccio alla storia della filosofia che si ponga come fine la ricerca delle strutture teoretiche che soggiacciono ai vari pensatori. Ecco, in conclusione mi sembra che, considerate tutte le differenze del caso etc., questa concezione della filosofia sia molto più autentica e vicina ai problemi dell'uomo - pur conscio che parlando autenticità stia aprendo un'altra questione enorme.
Commenti
condivido pienamente quello che scrivi. L’esigenza di un approccio non storicistico, ma di tipo teoretico (e dialogico) è a mio avviso fondamentale affinché la stessa storiografia sia qualcosa di filosoficamente sensato. Credo che la storia della filosofia che abbiamo alle spalle abbia un valore davvero enorme e questo per il fatto che essa contiene un’esperienza di pensiero lunghissima e svolta da spiriti, o cervelli, enormi. Credo che prendere sul serio la filosofia significhi usare questa eredità – analizzarla, valorizzarla applicandola alla realtà, alla nostra esperienza (anche solo per comprenderla meglio, e non anche necessariamente per cambiarla – per me la filosofia è innanzitutto teoria). Questo non esclude che si possa anche godere i classici come forma letteraria, come produzione storica – ricercando le connessioni tra i vari temi ed i vari autori con le rispettive epoche –, e neppure esclude che li si possa leggere nel tentativo di cogliere il pensiero ‘in sé’ dell’autore. Ma la storiografia, se deve avere un senso che non sia il puro apprezzamento estetico di un pensiero calato nel suo contesto culturale originario, ossia se deve servire alla filosofia, non deve ridursi a questo. Purtroppo io non ho la testa di Aristotele, di Descartes o di Hegel, ma ho almeno la possibilità di leggerli e di studiare ciò che di loro mi interessa. Valorizzare gli autori significa, per me, trattarli non come figure da venerare – con il mio studio – ma come uno strumenti per estendere la mia capacità di comprensione delle cose.
Ernesto
"sostituire alla storia della filosofia un teatro della filosofia, è possibile."
Gilles Deleuze
Ipotesi affascinante e non priva di risultati neanche questa, certo da maneggiare con estrema cura e senza alcuna pretesa di verità, ma in immersione totale nel gioco concettuale! Affascinante soprattutto perchè pone in diretta correlazione i pensatori con gli artisti (leibniz e il barocco, welles e nietzsche, proust e bergson, per esempio) e quindi con un "mondo" e con le sue strutture come dicevi tu. Rischioso perchè senza "storia" manca anche il telos e si smarrisce la retta via.
Cosa intendi più esattamente per ‘esser questione di cervello’?
Ernesto
:)
Ernesto
Grazie Enresto.