Da Parmenide a Cusano per un nuovo Fondamento

L'intervento odierno prende spunto dalla lettura di un saggio del prof. Klaus Held, fenomenologo, dal titolo «Sugli antefatti della prova ontologica dell'esistenza di Dio - Anselmo e Parmenide», reperibile a questo indirizzo (qui). Gli spunti sono tanti e non ho intenzione di percorrerli tutti, sia per ovvie questioni pratiche sia perché non sarei in grado di esaurire determinati punti polemici e mi riferisco in particolar modo alla presenza del nominalismo in Anselmo stesso, che Held segnalava. Mi piace invece sottolineare un'osservazione più ad amplio raggio, presente a pag 18 del testo, quando l'autore nota che «il tentativo di trovare una certezza inconfutabile come punto di partenza per tutti i successivi passi di riflessione» è presente nelle tre opere fondanti le tre grandi epoche dell'onto-teo-logia prima di Kant: Il poema didattico di Parmenide, il Proslogion di Anselmo e le Meditazioni metafisiche di Cartesio. Benchè Held non abbia approntato la questione ad amplio raggio e si sia concentrato, documentandosi, sui rapporti tra Parmenide e Anselmo, mi verrebbe da sottolineare questo dato, che probabilmente può apparire scontato, ma di fatto è uno dei tanti importanti fili rossi che possiamo rintracciare nella tradizione occidentale. Sin da Parmenide, infatti, l'episteme è quella ricerca di un fondamento indiscutibile in sè a partire dal quale fondare la conoscenza, quel sapere che «sta» al di sopra del divenire e che si «distingue dalla conoscenza estranea alla filosofia non principalmente per il suo contenuto, ma perché è - per dirlo con le parole di Kant - un nuovo "modo di pensare", un nuovo concetto di vita in confronto con il modo di pensare e il concetto di vita estranei alla filosofia» (doxa). D'altronde, come scrive Cartesio:
alla mia mente piace di divagare, e non si adatta ancora ad essere costretta entro i confini della verità. E sia pure, allora: consentiamole di andare a briglia sciolta, ancora per un volta: ma affinché ritirandole poi subito la briglia ad arte, essa accetti più facilmente di venire guidata.
R. Descartes, Meditazioni metafisiche, tr. it. di S. Landucci, Laterza, Roma 1997
Qualsiasi metodo (strada) sgorga da un punto di partenza che per questo tipo di pensiero deve essere «indiscutibile in sè», un ens necessarium che possa produrre conoscenze vere e necessarie, «chiare e distinte» nel nostro intelletto, già adeguate alla res; da qui facilmente nascerà quella mathesis universalis cartesiana su cui tutta la scienza ha trovato fondamento, almeno sino alla crisi einsteiniana, censurando l'evidenza che «il problema di una certezza originaria di-per-sé-indiscutibile della filosofia resta». A questa struttura, sino ad ora incompleta se non fallace, opporrei un concetto di verità differente, emerso lungo tutta la tradizione neoplatonica e che trova una formulazione a noi utile nel 1440, quando Nicola Cusano rielabora e concretizza il problema del fondamento nel metodo della docta ignorantia e nel concetto di congettura.
Tutti coloro che indagano giudicano qualcosa di non conosciuto in comparazione con un che di conosciuto posto alla base, portando l'uno in proporzione con l'altro; pertanto tutta la ricerca è comparativa e si serve del mezzo del rapporto.
Nicola Cusano, De docta ignorantia. I, 1, tr. it. di G. Santinello, Rusconi, Milano 1988
La ragione per Cusano si configura come totalmente inadeguata alla comprensione pura della verità, dell'essenza delle cose e da questa prospettiva può emergere il vero non come conoscenza «chiara e distinta» da «possedere», bensì come «congettura». La congettura è quel concetto che edotto della propria incomparabilità con il Vero, scompare, ossia viene negato perchè inconsistente rispetto all'inattingibile Verità; eppure, in questo sottrarsi esprime l'unica autentica relazione che l'uomo può condividere con la Verità e in tale prospettiva anche la proporzione riassume la sua capacità significativa. Personalmente mi sento di affermare con Cusano che la verità appare nello scomparire del concetto e finché continueremo ad insistere sul filone Parmenide-Anselmo-Cartesio, per parafrasare Held, continueremo a porci il problema della certezza originale in quei termini e allora esso resterà realmente insuperabile.

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