Abbiamo secolarizzato anche il denaro?

Gli accadimenti di questi giorni in merito alla crisi mondiale stanno spingendo all'acuirsi di odi, di lotte di fazioni, di risatine francesi e, purtroppo, di auto e case bruciate; la crisi economica, insomma, fa problema anche oltre i meri flussi di denaro, i grafici e le statistiche dei tecnici. Negli ultimi tempi, nonostante la mia formazione, mi sono cimentato con varie letture di ambito economico, seppur, per forza di cose, ancora superficiali e "divulgative". Ebbene, l'idea che ho coltivato e che vorrei proporvi risulterà forse un po' banale ad un occhio avvezzo alle discussioni di economia: alle spalle di tutto questo dramma che stiamo vivendo, probabilmente, vi è una crisi ben più profonda di un abbassamento degli indici di Wall Street. Questa ipotesi, d'altronde, circolava già da un po' e, per dirla in termini filosofici, potrebbe consistere in una riproposizione del concetto di occidente heideggeriano, pensato come "terra dell'occado", che porta inevitabilmente alla negazione di ogni valore (Nihilismus). Oppure in questa crisi non c'è nulla di tutto questo e si tratta, ancora, dell'avidità umana di denaro - e del suo corrispettivo morale nella volontà appropriativa (Eigenschaft) di cui altre volte abbiamo trattato nelle pagine de La Cittadella? Credo ci sia qualcosa di più. Qualcosa è cambiato.

L'ipotesi che vorrei sottoporvi si potrebbe esprimere con questa domanda (retorica): che la crisi di valori dell'occidente post-metafisico abbia secolarizzato anche il denaro? Il denaro perde di valore e dunque di potere - si svaluta, si dice in economia - se a sorreggerlo non vi è un sistema sano di "fiducia". Lo scrivono tutti gli economisti: Tu devi difatti avere fiducia che chi ti paga con una banconota possegga il valore corrispondente da pagare al portatore. Troviamo le radici di questo concetto nella nascita stessa del sistema economico in sostituzione al più immediato baratto: invece che scambiare i pomodori che ti di offro con un sacco di patate, mi "paghi" con un pezzo di carta su cui scrivo "100" (cento = un sacco di patate) e io ho fiducia che tra una settimana, un mese, un anno quando ritornerò con quel pezzo di carta, tu:
i) lo riconosca come valido e dunque come "pagabile a vista del portatore";
ii) abbia ancora il sacco di patate che ti eri impegnato a pagarmi come trovo scritto sulla banconota da "cento".

La crisi attuale è causata dal fatto che al momento in cui il creditore è tornato al contadino per riscuotere i pagamenti promessi qualche tempo prima, ha scoperto che quel secco di patate già pagato non c'era più: era stato a sua volta "re-investito". Ebbene, non posso che far notare come tradire queste due aspettative significhi venir meno all'onestà (punto 1) e all'onore (punto 2) cosicchè la fiducia del creditore nei tuoi confronti si è dimostrata ingenua, infondata. Ma cosa ha portato a tradire la fiducia e ad investire ulteriormente quel sacco di patate per altre transazioni quando esso era già erano stato venduto e compromesso, come è accaduto con le operazioni di "finanza speculativa"? L'avidità di denaro, certamente, è un buon movente. Eppure non è stata forse la fiducia tradita ad innescare tutto il meccanismo? Non è forse questo il segno più radicale della crisi di valori di un mondo che "non crede più a niente", come scriveve bene Charles Péguy (Il mondo di chi non crede più a nulla, nemmeno all’ateismo, / di chi non si prodiga per nulla e non si sacrifica per nulla) e che dunque non crede neanche che la fiducia riposta vada onorata?

"In God we trust" - c'è scritto sul dollaro. Gli americani più accorti sapevano benissimo che in assenza di un sistema etico garante del fatto che la fiducia vada a buon fine, il denaro aveva perso di valore. Quel sistema, in coerenza con la tradizione puritano-calvinista dei padri fondatori, era rappresentato dal "God" in cui "we trust" - si legga qui anche il senso di un mondo che al contempo si dimostra senza freni in economia, ovvero che rifiuta qualsiasi intervento esterno volto a limitare l'assoluta parresia del numero, e, dal punto di vista etico, rigidamente arroccato sulla tradizione cristiano-calvinista (si aprirebbe poi il tema del New Age e della religiosità negli U.S.A., che non possiamo trattare ora). La domanda fondamentale è allora se la responsabilità della crisi economica risieda davvero negli speculatori finanziari o se forse, in realtà, essi non siano altro che strumenti di una visione del mondo che li precede; la radice ultima è allora da rintracciare in quelle concezioni filosofiche che hanno contribuito a creare un mondo in cui i termini valore, onestà, fiducia, sincerità e quant'altro non valgano più perchè venuto meno il loro fondamento unitario (God); un mondo in cui, al contrario, è tornata a dettar legge prepotente la forza del più bruto, la virtù del disvalore, che prende piede in assenza di una struttura di valori; un mondo che ha dismesso Dio per ripiegarsi solo su se stesso, e che, come ultimo baluardo, non ha fatto altro che secolarizzare anche il denaro.



Vedi anche:
  • La risposta del prof. Carlo Lottieri sul suo blog "Credere nello Stato?" (qui)
  • La risposta di Luigi Copertino su EffediEffe (qui)
  • L'articolo è apparso anche su Die Brücke (qui)
  • L'articolo è apparso anche sul sito dell'Associazione Centro Studi Nuove Generazioni (qui)

Commenti

Anonimo ha detto…
caro andrea, ma non è proprio il denaro il simbolo stesso del "secolo" e della mondanità? Non è proprio il denaro ciò che veniva definito lo sterco del demonio? Solo per civiltà non cristiane il denaro è veicolo di simboli sacri e quindi di sacralità (v. René Guenon). come è possibile dunque "secolarizzare il denaro in una società che si dice cristiana? Grazie, ciao. shankara
Unknown ha detto…
Salve Shankara,

Lei fa riferimento ad un autore che ho letto in passato, René Guenon e che solitamente "utilizzo" come contraltare - se vuole, come una buona medicina - alle pretese onni-razionalizzanti della ragione filosofica, nella quale, comunque, sento di abitare; d'altra parte, proprio la posizione radicalmente anti-filosofica di Guenon mi costringe, per così dire, "in un angolo". Sono sicuro che le posizioni a cui Lei fa riferimento siano ampliamente fondate nella tradizione simbolica e sapienziale che Guenon scava in maniera magistrale e che di certo Lei conosce molto più di me. Non sarei dunque in grado di affrontare il discorso sulla "sacralità" o meno della moneta e il suo simbolismo; ecco perchè nei rifiutare la sua posizione so di certo di fermare la mia analisi in superificie.

Sì, mi sentirei di rifiutare questa idea che invero innerva anche alcune concezioni più radicali e ascetiche della cristianità senza trovarne, come Lei ben sa, un riconsocimento ufficiale nella politica Vaticana. D'altronde mi pare che se narrassimo la nascita del denaro così come ho provato a fare, non vi si rintraccia in esso alcun elemento demoniaco: è semplice scambio, che si basa su una "fiducia" del creditore nei confronti di chi ha "acquistato" la merce. La mia ipotesi è semplice: secolarizzando tutto, abbiamo secolarizzato anche il Dio-morale che garantiva la sacralità dei valori di fiducia e onore sui quali si basa anche l'economia. L'esempio del Dio-garante citato sul dollaro - che è un Dio che veleggia tra la tradizione calvinista e quella massonico-illumista del "grande Architetto", ne è un esempio concreto. Piuttosto - e su questo sono in linea con la Chiesa Cattolica - mi pare che demoniaco, ossia, come insegna Agostino, mirante all'amore di sè, sia un certo uso della moneta usata per produrre se stessa. Grazie a Carlo Lottieri, la cui risposta ho citato in calce all'articolo, ho appreso inoltre un riferimento letterario molto importante: il Mefistofele di Goethe: "Era tutto ben chiaro già a Goethe - ci informa Carlo - , che nel Faust ci offre un Mefistofele inebriato del potere di creare ricchezza (falsa, ma ricchezza) ex nihilo: semplicemente moltiplicando moneta". E oggi subiamo gli effetti proprio si questa pratica.
sgubonius ha detto…
Mi pungi sul vivo!

C'è un passaggio fondamentale fra baratto ed economia monetaria, cioè quando il "pagherò" diventa un "pagabili a vista del portatore", ovvero quando il debito/credito passa dal rapporto fra due individui al rapporto degli individui con l'entità garante (stato, banca centrale). D'altronde è lì che esso guadagna il suo "plusvalore" di fiducia e diventa efficiente. Il sistema capitalistico è nichilistico solo nella misura in cui opera un passaggio dai valori ai prezzi (se n'era accorto Nietzsche già, ed è su questo che si basa tutta la critica di Marx). Può privarsi del garantire un valore assoluto alle cose, ma non può privarsi del tutto della "fiducia" sui valori relativi, sulla potenza d'acquisto fondata solo sui prezzi relativi. E' il passaggio successivo in cui il garante non è più lo stato trascendente ma è il mercato immanente.

Il problema Andrea è che il trascendente (il Dio-Stato delle banconote) è un pagliativo a termine (non oso parlare di katechon, ma chissà...). Tutti i sistemi cominciano col postulare il "terzo uomo", ma presto l'astrazione si usura mentre matura un sistema di definizione reciproca degli elementi. E non c'è verso di opporsi, perché tanto siamo già in fase dialettica, dove l'opposizione lavora per il sistema (appunto aiuta a definire "relativamente" una cosa col suo opposto).

Insomma è un po' tardi per sperare soltanto che "un Dio ci salvi" e restare solo aperti a questa eventualità, come diceva Heidegger. Quello che vediamo oggi è solo l'emergere e il palesarsi di una storia almeno millenaria (e qui Heidegger centra il bersaglio). Già il God delle banconote o lo Stato di Hegel erano forme meno efficienti dei medesimi sistemi nichilistici (e dei medesimi apparati di "appropriazione": Eigenkeit come dicevi tu) di cui oggi abbiamo evidenza. E' inutile tornare lì, non si arriverebbe comunque ad alcun valore fondativo (che non sia appunto l'avidità che riporta ai tempi d'oggi).

Non credo di riuscire a concludere il discorso in poche parole, butto là soltanto l'ipotesi di una risposta: forse è solo andando ancora oltre in questo processo che si apre lo spazio per una tale sclerosi del sistema di accumulo e differimento da eliminare del tutto il reale stesso, cioè il consumo. Qualcosa come un super-egoismo che distrugge l'io avido nel momento in cui ne elimina le dimensioni: l'hic e il nunc. E' solo nella velocità del pensiero speculativo (un tempo si sarebbe detto teologico?) o nelle monadi artistiche che questo avviene, e così è solo nell'economia puramente virtuale e speculativa che si apre una vera e propria "Lichtung". "Dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva"! E si torna al katechon!

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