Francesco Guccini: una vita in versi (a cura di Antonio)
Non è mai troppo semplice affrontare un discorso su di un personaggio così eclettico, istrionico e profondo, come lo è Francesco Guccini. La mia non vuole essere una biografia, nè tantomeno una spiegazione dei suoi testi, ma soltanto un innocente ed appassionato affresco di ciò che mi è rimasto dentro dall'esperienza gucciniana.
Guccini è, come lui stesso ama definirsi, un cantastorie. Ogni sua canzone narra una storia, che sia essa frutto di fantasia, o figlia di una realtà vissuta dall'autore, che tratti di gente o di emozioni, è comunque l'espressione di storie di vita. La vita e la ricerca del suo significato ricoprono, infatti, un ruolo essenziale nelle sue canzoni. Forse è superfluo sottolineare l'immensa capacità di Guccini nell'esprimere emozioni, sensazioni, sentimenti quasi intangibili ed incomprensibili ai più, all'interno di un così breve testo: la canzone. Ma cos'è una canzone? Uno specchio dove osservare le proprie sensazioni, paure, ansie; un ricettacolo di pensieri; o, per dirla con Guccini stesso, "un grimaldello che apre ogni gabbia". Sicuramente è un mezzo per esprimere qualcosa di profondo e cercare di trasmetterlo ad altri. Guccini da maestro dell'intreccio della parola la usa per affrontare tematiche interessantissime. La prima che mi sovviene è quella del tempo che passa. Pensiamo ad "Un altro giorno è andato", o a "Canzone dei dodici mesi", fino alla più recente "Autunno". Ma questo sentimento ricopre un ruolo da protagonista in troppe canzoni, il che rende impossibile elencarle tutte. Il tempo è per Guccini un'ombra che lo assalirà per sempre e che, molto lentamente, lo consuma, è una condizione dell'uomo a cui nessuno si può sottrarre ed è causa di angoscia nell'animo di chi ci ragiona su. La lancetta del tempo per Guccini è inesorabile come lo è l'inutilità della vita. Come si può ascoltare ad esempio in "Argentina", uno dei testi migliori a mio parere, la vita scorre priva di significato anche se si tenta di cambiare qualcosa, anche se si cercano nuovi obiettivi, ma tutto ciò sarà sempre inutile in quanto questa tragicommedia che chiamiamo vita non ci riserverà mai nulla di appagante. Da ciò si capisce che il cercare assiduamente le novità non salverà l'uomo dalla sua inettitudine naturale a trovare la felicità, anzi ne farà affiorare sempre maggiormente i dubbi e le perplessità, ragionamento che trova il suo culmine in:
Antonio
Guccini è, come lui stesso ama definirsi, un cantastorie. Ogni sua canzone narra una storia, che sia essa frutto di fantasia, o figlia di una realtà vissuta dall'autore, che tratti di gente o di emozioni, è comunque l'espressione di storie di vita. La vita e la ricerca del suo significato ricoprono, infatti, un ruolo essenziale nelle sue canzoni. Forse è superfluo sottolineare l'immensa capacità di Guccini nell'esprimere emozioni, sensazioni, sentimenti quasi intangibili ed incomprensibili ai più, all'interno di un così breve testo: la canzone. Ma cos'è una canzone? Uno specchio dove osservare le proprie sensazioni, paure, ansie; un ricettacolo di pensieri; o, per dirla con Guccini stesso, "un grimaldello che apre ogni gabbia". Sicuramente è un mezzo per esprimere qualcosa di profondo e cercare di trasmetterlo ad altri. Guccini da maestro dell'intreccio della parola la usa per affrontare tematiche interessantissime. La prima che mi sovviene è quella del tempo che passa. Pensiamo ad "Un altro giorno è andato", o a "Canzone dei dodici mesi", fino alla più recente "Autunno". Ma questo sentimento ricopre un ruolo da protagonista in troppe canzoni, il che rende impossibile elencarle tutte. Il tempo è per Guccini un'ombra che lo assalirà per sempre e che, molto lentamente, lo consuma, è una condizione dell'uomo a cui nessuno si può sottrarre ed è causa di angoscia nell'animo di chi ci ragiona su. La lancetta del tempo per Guccini è inesorabile come lo è l'inutilità della vita. Come si può ascoltare ad esempio in "Argentina", uno dei testi migliori a mio parere, la vita scorre priva di significato anche se si tenta di cambiare qualcosa, anche se si cercano nuovi obiettivi, ma tutto ciò sarà sempre inutile in quanto questa tragicommedia che chiamiamo vita non ci riserverà mai nulla di appagante. Da ciò si capisce che il cercare assiduamente le novità non salverà l'uomo dalla sua inettitudine naturale a trovare la felicità, anzi ne farà affiorare sempre maggiormente i dubbi e le perplessità, ragionamento che trova il suo culmine in:
L'Argentina è solo l'espressione di un'equazione senza risultato, come i posti in cui non si vivrà, come la gente che non incontreremo, tutta la gente che non ci amerà, quello che non facciamo e non faremo.Il collegamento è netto verso un'altra tematica: la nostalgia per il non provato, tema che è forse l'embelma, l'espressione massima, della capacità di Guccini di scavare dentro l'animo umano. Oltre che in "Argentina", troviamo questo pensiero anche in "Autunno", "Una canzone" e varie altre. Se pensiamo a tutti i sogni che abbiamo avuto e poi abbiamo abbandonato ci rendiamo conto che da qui nasce una nostalgia atipica, in quanto non riguarda un ricordo, ma qualcosa di non vissuto. Così si crea un vuoto impossibile da colmare, perchè il "non provato" corrisponde il più delle volte ad un'utopia e non a qualcosa di tangibile e realizzabile. L'utopia rappresentata da "L'isola non trovata", il disagio nel pensiero irreale di "Samantha" con la splendida ultima parte: "Ed io burattinaio di parole, perchè mi perdo dietro a un primo sole, perchè mi prende questa assurda nostalgia?". La nostalgia è assurda perchè il pensiero su cui si abbatte non è reale ed è quindi irrisolvibile. Forse è difficile da cogliere l'aspetto positivo di tale ragionamento, eppure se si fa attenzione si arriva ad una lucida intuizione di Guccini: se non si può raggiungere alcun obiettivo senza volerne raggiungere di nuovi, se siamo condannati ad avere una nostalgia perenne per ciò che no abbiamo fatto e non faremo, l'unica cosa che ha significato è il durante, il mentre. Così l'uomo può rispondere alla sua insoddisfazione. Secondo Guccini non possiamo sapere dove ci porterà la strada che stiamo percorrendo, ma ogni uomo ha un ruolo nella vita. Nella stupenda "Von Loon", canzone dedicata al padre scomparso, si intravede la sua speranza: "Vai, vecchio, vai, non temere, che avrà una sua ragione ognuno ed una giustificazione, anche se quale non sapremo mai, mai!". In "Von Loon" troviamo un altro pensiero caro al nostro cantautore: esistono persone con una profondità d'animo che li differenzia dalle altre. Molte canzoni lo sottolineano a partire da "Vedi cara", arrivando a "Cirano". Quasi sembra una protesta, un'esibizione della sua stessa anima che urla verso chi tende a rimanere nel silenzio, a non decidere mai, a non pensare. Secondo Guccini infatti si deve sempre ragionare, domandarsi tutto. In "Shomer ma mi llailah?", Guccini ci invita proprio a domandare assiduamente anche essendo consapevoli di non ottenere mai una risposta. Il culmine di ciò si ha in un raro gioiello poetico, "Canzone delle domande consuete", in cui il cantautore esprime sia l'incapacità di dare risposte, che l'incapacità di molti di farsi domande: "Tu non sai le domande, ma non risponderei per non strascinare le parole in linguaggio d'azzardo; eri bella, lo so, e che bella che sei; dicon tanto un silenzio e uno sguardo.". Chi non è consapevole di tali domande non può che vivere meglio, in quanto chi si chiede tutto rimane privo di basi reali e vive una vita consapevole di non poter raggiungere una felicità che non esiste. Nessuno rifiuterebbe la felicità del non pensare se ne avesse l'opportunità, per questo il cantautore dichiara incosciente il rifiuto per tale felicità: "Rimanere così, annaspare nel niente, custodire i ricordi, carezzare le età; è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente del diritto alla felicità?". Insomma, forse tutto ciò che siamo costretti ad affrontare è privo di senso, ma l'importante e continuare a pensare e riflettere su tutto, perchè il tempo passa inesorabile, a volte impalpabile, ma comunque portandoci via tutto ciò che abbiamo, come sottolineato nella stupenda "Incontro":
E pensavo dondolato dal vagone "cara amica il tempo prende il tempo dà... noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa... restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, le luci nel buio di case intraviste da un treno: siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."Allora per affrontare questa "partita" c'è bisogno di forza d'animo, e perchè no, anche di indignazione, perchè non si può non essere indignati se si pensa che ogni sforzo, ogni affanno, agni sofferenza, potrebbero non avere alcun senso e nessun traguardo da raggiungere. Vorrei su questo punto concludere lasciandovi all'ultima strofa di "Lettera", la canzone che secondo me racchiude in qualche modo tutto il pensiero di Francesco Guccini, esprimendo la speranza di poter ascoltare ancora per molto tempo le sue stupende canzoni.
Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni
di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni,
gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti,
l' arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?
Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa
e c'è il sospetto che sia triviale l' affanno e l' ansimo dopo una corsa,
l' ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita,
il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa... che chiami... vita...
Antonio
Commenti
Ciao
Francesco
:)
Andrea