Francesco d'Assisi e il paradosso monastico


Ma perch'io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.

La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;

tanto che 'l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace.


Dante Alighieri, Divina Commedia; Paradiso, Canto XI


Esordivo così, con le terzine dantesche, nell'intervento dello scorso anno dedicato alla straordinaria figura di Francesco d'Assisi. Agli inizi di ottobre 2008 il blog aveva una fisionomia differente e leggendo il vecchio post riconosco subito quel taglio strettamente personale che man mano ho cercato di aggiustare, per offrire ai lettori non solo un'ipotesi di percorso, il mio, ma un prodotto che pretenda una certa serietà. Tuttavia lo scorso anno richiamavo ad episodi personali per una ragione ben precisa: «sono fermamente convinto che consegnare alla memoria un'esperienza di vita valga più di ogni altra parola spesa. Non è forse questo il Suo insegnamento?». La lente radicalmente cristiana del monachesimo francescano rimanda a quell'esperienza strettamente personale di amore e semplicità che, a mio avviso, si impone come interconfessionale. Il monachesimo francescano, così come altri movimenti spiritualisti, riesce a toccare quei punti nevralgici dell'umano, quegli stessi riferimenti che, come spesso ripetuto, dal punto di vista teoretico sono a mio modo di vedere ben interpretati dalla tradizione mistica.

La riflessione odierna vuole allargare un po' l'orizzonte su tutta la tradizione francescana, che vive, come ogni movimento pauperistico e di matrice monastica, un paradossale rapporto con il mondo. Difatti per un verso esso nasce come radicale negazione dell'ordine mondano, talvolta con esiti ascetici al limite dell'ortodossia - il padre del monachesimo orientale, Antonio, fu eremita nel deserto e Benedetto da Norcia inizia il suo cammino come eremita, prima di fondare l'abbazia di Montecassino; dall'altro, esso è inserito nel mondo e nel mondo opera: ma non solo, fa riferimento al mondo (ecclesiastico) per essere riconosciuto e istituzionalizzato. Questo è un po' il paradosso nel quale abita ogni movimento monastico e che nella storia, soprattutto medioevale, ha determinato continui cicli di crisi e rinascita dei diversi movimenti. Quale soluzione? Come stabilire un equilibrio? Benedetto da Norcia nel 540 compone una regola per i cenobi benedettini che sarà spesso riutilizzata dai diversi movimenti monastici che durante il medioevo rinascevano ad inizio di cicli nuovi - cistercensi, certosini, vallombrosiani etc. L'idea del cenobio, ossia l'aggregazione nelle abbazie di una stretta cerchia di monaci - che, in quanto cerchia, vive nel mondo, ma nel contempo ne è isolata - è una possibile risposta equilibrata al paradosso monastico e ancora più radicalmente al paradosso cristiano.

Tra il X e l'XI secolo esisteva una corrente ecclesiastica che aveva intenzione di ristrutturare la gerarchia di Roma secondo il sistema dei cenobi. Prevalse invece la linea di Gregorio VII, tra l'altro ex-monaco, che batteva sia sulla necessità di scrollarsi di dosso l'Impero, sia sulla possibilità di riorganizzare la gerarchia secondo una struttura monarchica. Troppe volte il destino della Chiesa Cattolica è stato determinato dalle diatribe politiche e da scelte discutibili. Cosa sarebbe avvenuto se nella riorganizzazione della Chiesa cattolica nell'XI secolo si fosse imposto il sistema monastico e non il sistema monarchico?

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