Risposta a Sgubonius sull'Incarnazione
Caro Sgubonius, anzitutto devo scusarmi per il colpevole ritardo con cui ti rispondo ma altri impegni mi hanno tenuto lontano dalla Cittadella, almeno per una risposta lucida alle questioni sempre stimolanti che poni. Il problema è enorme e provo a dargli maggiore "dignità" nel blog, discutendolo in questo topic. Come potrai immaginare provo a dare uno sguardo anche ai tuoi precedenti interventi, nei quali citavi la questione dell'immanenza.
Perchè ho fatto questo discorso da professorino? Perchè mi sembra che tu cada nella tentazione di equiparare l'immanentizzazione del Principio (concetto filosofico) all'Incarnazione (concetto teologico), facendo confusione tra i piani. Ora, non so se Deleuze stesso l'intenda così, o se altri autori - persino cattolici, tutto può essere - leggano l'Incarnazione in questo modo, ma posso dire che storicamente il tentativo non ha nulla a che fare con i mistici. E riprendo la prima risposta che ti davo, nella quale non sono stato certo esplicito:
Tu dicevi giustamente che questi autori medioevali sono più "cristiani" di quanto un formalismo filosofico come il mio possa evidenziare, mi piacerebbe quindi ravvvivare se ti va la questione chiedendoti in poche parole cosa intendi per "cristiano", e da qui partire!Un suggerimento che posso darti è quello di stare attento a Deleuze, perchè anch'egli, come tutti, legge la storia della filosofia secondo determinate direttive; il passo che hai citato mi sembra fortemente discutibile, almeno nel passaggio in cui assimila Cusano e Bruno a Spinoza, quasi che si creassero delle "scale" preparatorie a Spinoza. E' vero che Spinoza legge Bruno e, di conseguenza, Cusano, ma, ancora un volta, legge questi autori da una lente particolare. Non conosco bene Spinoza perciò non so se ha avuto modo di leggere Cusano direttamente o solo tramite la mediazione di Bruno; ammettendo questa seconda ipotesi come vera, ad esempio, il Cusano di Spinoza sarebbe un Cusano davvero molto lontano "dall'originale", perchè sarebbe figlio di una lettura (particolare) che si basa sui dati Bruniani. Devi inoltre contare che il Cusano di Bruno è parziale e di scarsa aderenza filosofica anche perchè tra i due sono passati ben 100 anni, nei quali gli scritti del Cusano hanno avuto una sorte travagliata (non mi sembra il caso di parlarne in questa sede). Dal tuo canto è lecito appoggiare la lettura di Deleuze ma quando accenni a Cusano e Bruno o a qualsiasi altro autore citato da Deleuze, devi tener presenti le varie lenti.
Perchè ho fatto questo discorso da professorino? Perchè mi sembra che tu cada nella tentazione di equiparare l'immanentizzazione del Principio (concetto filosofico) all'Incarnazione (concetto teologico), facendo confusione tra i piani. Ora, non so se Deleuze stesso l'intenda così, o se altri autori - persino cattolici, tutto può essere - leggano l'Incarnazione in questo modo, ma posso dire che storicamente il tentativo non ha nulla a che fare con i mistici. E riprendo la prima risposta che ti davo, nella quale non sono stato certo esplicito:
Quanto scrivi sull'immanentizzazione della sostanza è vero, anche se a mio avviso è un modo errato di intendere l'incarnazione per questi autori, che sono molto più "cristiani" di quanto non sembri.Credo sia importante separare la questione filosofica dell'essere dall'Incarnazione in quanto tale. Certo, l'incarnazione indubbiamente "avvicina", mettiamola così, Dio all'uomo, ma questo non deve esser confuso con la "distanza" tra il Principio e l'Essere perchè Dio non è = a Principio così come Essere non è = a uomo. Bisogna saper distinguere. Essere Cristiano per il mistico - e concludo - significa esser Cristo stesso: sequela Christi. Nulla a che fare con l'Essere. Se poi vogliamo parlare dell'apparato dottrinale e filosofico che sorregge tale sequela Christi allora dobbiamo affronatre il neoplatonismo, ma questa è, per l'appunto, una visione filosofica che ha certamente a che fare con l'immediatezza e la naturalità con la quale i mistici hanno assunto il messaggio Cristiano, ma non è determinante per "dirsi" Cristiani o meno. Grazie.
Commenti
Il mio problema è che in materia sono piuttosto ignorante (non ho letto bruno, non ho letto cusano, e ho letto i neoplatonici), per cui devo avvicinarmi attraverso le lenti di altri (spinoza, deleuze che è un pazzo e che scrive per il gusto di farlo quindi prendi fra virgolette tutte le citazioni, eliot, nietzsche, heidegger, holderlin, chi più ne ha più ne metta). D'altro canto questa questione mi affascina tremendamente, e mi affascina proprio all'interno della questione che ponevi tu prima: perchè il cristianesimo e non il buddhismo? Con occhio privilegiato alla mistica.
In altre parole come riassumevo: in che cosa un mistico "cristiano" si allontana dal prototipo dell'asceta orientale?
Mi piacerebbe distaccarmi il più possibile qui dalle questioni dell'essere, ma rimanere su un piano molto pragmatico quasi. Mi pare che la cosa tremendamente peculiare dell'approccio cristiano che manca in oriente è la fede, e la fede passa inevitabilmente da Cristo, ovvero dal nuovo rapporto uomo-Dio che si è instaurato: amore-fede in opposizione ad una obbedienza tipicamente ebraica o al nolontarismo ascetico. Esempio molto pratico: se seguo la povertà, non è per sottomettermi a Dio o per privarmi della volontà, ma è invece una scelta di avvicinamento all'Assenza così come è tratteggiata dai celebri versi di San Juan de la Cruz. Mi privo per eccesso d'amore (Eros resta pur sempre figlio di Penia e Poros) e di fede, e non per rinuncia/risentimento, distinzione che Nietzsche ha visto come nessuno, prima di sforzarsi in ogni modo di strapparla dalla sua matrice cristiana (l'ambiguità di "dioniso-crocefisso" però rimane fino in fondo). Cristo solo è questo ponte, questa contraddizione in termini che apre il baratro dell'impossibile cioè della mistica più autentica.
Egualmente piani differenti (etico, teoretico, estetico perfino) si sovrappongono semplicemente formando degli omomorfismi concettuali. L'immanenza non è altro che quel rapporto d'amore/fede che restituisce il negativo all'affermazione, fenomeno impossibile sotto le due trascendenze del Dio solo padre (e non trinitario) o dei taoismi di varia specie e volgarità. Riprendo allora alcune citazioni ricontestualizzando:
"Il suggerimento indovinato a metà, il dono capito solo a metà, è l'Incarnazione.
Qui l'impossibile unione
Di sfere di testimonianza è attuale"
"quello che non può essere pensato, e che pure è da pensare, questo fu pensato una volta, come Cristo si è incarnato una volta, per mostrare la possibilità dell'impossibile."
Qui si tratta della stesso problema Pieno/Vuoto di Eckhart, ovvero dell'affermare una Differenza fuor di dialettica, cioè fuori dalla coincidenza degli opposti: le distanze si mantengono e si affermano in quanto tali. Hegel ha mancato soprattutto d'amore, e di fede, che è lo stesso, non riuscendo ad unirsi all'Altro se non inglobandolo in sè (e per sè), fagocitandolo.
La sequela Christi non potrebbe allora essere, sul piano etico, il medesimo atto del pensiero dell'immanenza (tipicamente sotto la forma pura di Spinoza) sul piano teoretico, e dell'opera d'arte sul piano estetico?
Per questo (tralascia l'estetico per ora che sarebbe un discorso esponenzialmente più lungo) concordo perfettamente con te quando dici che non è tanto una questione di immanenza della sostanza ma è una questione pratica ed etica, come pratica ed etica è però la sostanza di spinoza, lungi dall'essere un concetto puramente teoretico. Poi ci sono un'infinità di sfumature ovviamente, perchè Spinoza non è Bruno che non è Cusano, Deleuze non è Nietzsche, Heidegger non è Eckhart, ma volendo analizzare la questione della "cristianità" (torniamo così al principio) non è possibile ritrovare nei concetti di questi pensatori delle forme (concettualizzate ovviamente) analoghe a gran parte dei precetti evangelici più forti, che non sono quelli morali con cui traffichiamo tutti i giorni?
Dunque,sul primo blocco ho da dirti questo: è vero quanto scrivi, ma cerca di esser meno rigido: obbedienza ebraci (è vero, ma non solo) e nolontarismo ascetico (buddismo o schopenhauer?) sono modi per tener ferme dele correnti enormi e che poi, andandole a studiare da vicino, tradiscono queste categorie. Sinceramente non mi sento in grado di formulare delle risposte adeguate anche perchè credo di conoscere l'ebraismo e il buddismo davvero troppo poco per sbilanciarmi. Vediamo per cosa posso esserti utile:
- in che cosa un mistico "cristiano" si allontana dal prototipo dell'asceta orientale?
La domanda è interessante perchè non c'è una risposta definitiva. Ci sono corenti di pensiero: c'è chi vede una prossimità straordinaria tra queste due weltanschauung, al punto di considerarle identiche. Vannini ti risponderebbe che non c'è differenza tra l'esito ultimo della mistica cristiana e l'atteggiamento filosofico del buddismo. Pasqualotto non sarebbe d'accordo, ad esempio. Come dicevo poc'anzi non sono in grado di addentrarmi in queste discussioni e credo che in Italia lo siano in pochi. E' una pista interessante da studiare (e tu potresti farlo).
- La sequela Christi non potrebbe allora essere, sul piano etico, il medesimo atto del pensiero dell'immanenza (tipicamente sotto la forma pura di Spinoza) sul piano teoretico, e dell'opera d'arte sul piano estetico?
Per un cristiano quell'atto non è e non può essere "lo stesso" dell'opera d'arte o "dell'immanenza",ma è qualcosa di più: è divenire la verità stessa. Niente altro può esservi comparato. E' la strada. Com'era? La Via, la Verità, la Vita (tutte maiuscole).
- non è possibile ritrovare nei concetti di questi pensatori delle forme (concettualizzate ovviamente) analoghe a gran parte dei precetti evangelici più forti, che non sono quelli morali con cui traffichiamo tutti i giorni?
Sulla Cristianità di pensatori ufficialmente lontani dal Cristianesimo mi prendi come un bambino dinanzi ad un giocattolo. E' una delle sfide che ho intenzione di cogliere.
Ora ti chiedo: Cercando, per favore, di saltare da un pensatore all'altro il meno possibile
1) mi parleresti "dell'immanenza", come l'hai intesa qui, con tutti i tuoi riferimenti culturali, ?
2) Mi parleresti del "piano estetico?
Cerco di coprire tutto il meno pindaricamente possibile (evidentemente le sfumature, che ci sono sempre, vengono sacrificate in nome di generalizzazioni per indirizzarci meglio nel discorso, come prima per buddhismo ed ebraismo fra gli altri).
Come dicevo sopra (sempre un po' caoticamente purtroppo) l'immanenza sarebbe più che altro una questione di unità. Insomma si tratterebbe sempre di dare unità ad un campo, cioè ad un problema. Dare immanenza ad un problema è in qualche modo il porlo in maniera corretta, e, nel caso specifico del problema teologico, mi pare che equivalga al porsi il problema dell'incarnazione, cioè di come entrare davvero in unità con Dio (attraverso Cristo beninteso). Unità immanente, nel senso che davvero diventa una pura questione di affetti, modi e sostanze alla Spinoza, che serve qui davvero da punto di riferimento e a cui mi limiterò nella citazione. Spinoza è spesso tacciato di ateismo, principalmente mi pare per la sua "spersonalizzazione" di Dio e conseguente naturalizzazione, eppure io non riesco a concepire un Dio più "vicino" e "presente" di quello spinoziano. Ricorre sempre una certa ambiguità che è la stessa di quel pieno-vuoto, vicino-lontano, presente-assente. Ma questa ambiguità sussiste solo sotto un regime trascendent(al)e, tipicamente dialettico, ed è solo attraverso questa benedetta immanenza che si va effetivamente alla pienezza del vuoto o alla presenza dell'assenza, lontanissimo dalla coincidenza degli opposti hegeliana. Si tratta infatti del solito discorso della Differenza come sostanza, di una ontologia della potenza (le pessime interpretazioni di Nietzsche hanno dato un'accezione fuorviante di questo concetto, non si tratta qui di un dominio, non c'è dominio nell'immanenza, si tratta di un sistema in cui forze e divenire generano punti ed enti, e non il contrario che avviene ancora nel falso movimento dialettico di dominio progressivo). Come tornare alla questione più strettamente religiosa? Io penso sia molto semplice, il problema diventa immediatamente etico: per restaurare l'immanenza è necessario restaurare le distanze fra i punti, a scapito dei punti (se hai qualche memoria del calcolo differenziale puoi capire quanto lontana sia la matematica classica), e quindi disfarsi di tutta una impalcatura che è e sarà sempre il vero nemico del cristianesimo: il soggetto. Il soggetto è inteso come regime di trascendenza, cioè come quella Weltansschauung (beninteso che fuor dal soggetto non si danno Weltansschauungen, ed è quindi l'unica possibile) fondata su un punto di vista e una cosa veduta, che produce rapporti non differenziali ma relazionali (di "relazione a" qualcosa che preesiste e sintetizza la relazione, mentre una differenza e sempre fra due cose e le genera, come un fulmine) e che, è d'obbligo citare Heidegger e la sua idea della metafisica, smaschererà sempre la sua vera natura di dominazione dell'ente tout court. Molta teologia svela questa stesa ossessione, e il Dio personale (tipicamente ebraico: il signore degli eserciti) mi pare essere il compendio ideale per giustificare le proprie brame "a immagine e somiglianza" del superiore.
Da qui passo brevemente all'estetica che è solo una sovrapposizione che mantiene la stessa carta geografica cambiando le indicizzazioni. Io penso che esista un problema di gratuità dell'effettuazione dell'opera d'arte, che ogni grande artisa ha sperimentato in vita: "perchè realizzare un'opera quando è così bello solo pensarla" diceva Pasolini nel Decameron. Certo non si giustifica attraverso il successo o le vendite. Si giustifica invece credo sempre in un certo atto d'amore che si fa alla vita attraverso l'opera, questo anche nei più infelici, un Van Gogh, un Kleist, un Rimbaud, e spesso i più lontani dalla religione della certezza. Eppure c'è una religiosità immensa nell'atto di credere nell'unità di un'opera d'arte, un atto di fede ancora una volta, del tutto analogo all'eterno ritorno + amor fati di Nietzsche o l'equivalente spinoziano. Si tratta sempre di un'operazione di immanenza profonda e di fuga (circolare, quindi non sconclusionata e mortale) dalle statalizzazioni della trascendenza.
Concludo e riassumo: il nemico è sempre lo stesso e comune, ed è la trascendenza come soggettività e statalizzazione, come istituzionalizzazione del desiderio/libidine a surrogare quell'amore infinito che non può avere "oggetto" e che spezza ogni rapporto di superiorità e di inferiorità contemporaneamente. Quelle sculture straordinarie del Bernini (beata Ludovica Albertoni e Santa Teresa su tutte) sono veramente sostanza della mancanza, del venire a mancare, sono veramente la creazione del vuoto (non a caso vengono fuori dal barocco). Se è possibile un "oltre il nichilismo", oltre gli orientalismi più beceri, io penso che possa passare solo dalla sostanza (nel senso ancora di spinoza, cioè dall'incarnazione) dall'affermazione e dalla realizzazione, come fece il Bernini in quel marmo bianchissimo, del mancato da-per-sempre che è la vita. Poi certamente è più difficile fare il collegamento mistico/religioso se il soggetto è un campo di girasoli anzichè una santa, ma nell'immanenza, con quel tanto di panteismo di cui non si può fare a meno, non è forse impossibile: è come un frattale, le forme si ripetono, basta andare più a fondo.
Perdona la lunghezza e qualche eccesso di citazioni, è più forte di me!!