Se la sinistra "iconizza" Steve Jobs

Con questo breve articolo segnalo l'inizio della mia collaborazione con il giornale on-line Die Brücke, dove mi occuperò maggiormente di temi riguardanti la lettura del presente, le questioni di teologia civile, la laicità, nonchè le radici filosofiche del pensare contemporaneo. Per quanto riguarda invece i temi "spirituali" e di filosofia teoretica, la piattaforma fissa continuerà ad essere la nostra Cittadella, o, in versione accademica, il Giornale di Filosofia della religione. Ringrazio la redazione di Die Brücke e segnatamente Stefano Di Bucchianico per avermi chiesto di contribuire con queste umili righe.



L’idolatria e gli onori reputati da tutto il mondo all’opera di Steve Jobs erano ampiamente prevedibili. Tale operazione culturale, quando non spontanea, sembra invece seguire l’andazzo oramai tradizionale (seguito soprattutto in politica) secondo cui, da defunto, il competitor diviene immediatamente più geniale, più bello e più bravo di quanto non fosse mai stato in vita. Eppure mi pare di assistere a un qualcosa di incredibile. Vediamo perchè.

Anzitutto è bene riorganizzare le idee. Fuori da inopportune biografie o agiografie, ci si chieda: cosa rappresenta Jobs? Si tenti una risposta: Steve Jobs è stato l’esempio più chiaro e netto della politica economica dell’ultimo cinquantennio (almeno) targata U.S.A.. Jobs è difatti un giovane di San Francisco dedito all’informatica e all’imprenditoria fai-da-te, che, iniziando dal nulla - il giovane, tra l’altro, era stato adottato – ha costruito un’azienda di grossa spinta economica. [...]

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