2021: The New Europe
Segnalo un interessante saggio dal titolo 2021: The New Europe pubblicato sull'inserto culturale del Wall Street Journal di sabato scorso e scritto da Niall Ferguson, famoso giornalista e docente di Storia moderna all'Università di Harvard, che alcuni conosceranno per la serie di documentari trasmessi anche in Italia su History Channel in merito alla Civiltà occidentale. Ferguson è inoltre uno degli intellettuali più in vista del mondo dei neocons. L'articolo in questione rappresenta il tentativo di gettare uno sguardo sull'Europa 2021, quando saranno passati dieci anni dalla great crisis of 2010-11. L'immagine che offre Ferguson della "nuova" Europa è facilmente immaginabile: essa sarebbe una sorta di "unione federata", sul modello degli Stati Uniti d'America - insomma, finalmente, degli "Stati Uniti d'Europa", come più volte abbiamo auspicato anche su queste pagine. L'Euro è potuto tornare ad essere una moneta usata ovunque e i vecchi Stati nazionali hanno dismesso per buona parte le veilleità su confini e divisioni. La vignetta riportata è in tal senso eloquente. Ebbene, mi pare che per quanto la direzione indicata da Ferguson possa essere davvero auspicabile e, forse, per quanto essa sia davvero il culmine necessario del processo di europeizzazione degli Stati iniziato dopo la caduta del Berliner Mauer (1989), proverei a muovere alcuni rivlievi critici. L'Europa, anzitutto, è caratterizzata da una quantità estramente differenziata di culture e tradizioni che si sono sviluppate in uno spazio "geografico" invero molti ristretto - si pensi, ad esempio, alla situazione dei quattro cantoni svizzeri. L'Europa, ancora, in controtendenza con gli U.S.A., è attraversata da una serie di movimenti autonomistici, quali la Lega Nord in Italia, i tanti movimenti indipendentisti spagnoli (Paesi baschi, Galizia, Catalogna) e le spinte che hanno caratterizzato le recenti separazioni di Repubblica ceca e Slovacchia o la complessa situazione balcanica.
Il portato pluralista delle culture europee sembra dunque oggi piuttosto acuito dal continuo moltiplicarsi di spinte identitarie e localiste che, sentendosi legittimate dal recente passato, contribuiscono ad abbattere molti centralismi e perfino gli Stati-nazione. Per cui quello che vorrei contestare al prof. Ferguson non è tanto l'impostazione di fondo, che pure condivido, bensì, come dire, l'ottimismo della tempistica; sono difatti convinto, in forza della straordinaria tradizione europea che abbiamo forgiato nei secoli, che la nostra vocazione sia davvero la convivenza civile nell'orizzonte dell'Europa unita secondo una sorta di, come dire, "federalismo europeo". Una forma di unità dei "glocalismi" che non giunge dall'Atlantico come un modello a cui adeguarsi - come forse erroneamente credono alcuni neocons - ma che, al contrario, rappresenta il prodotto politico più avanzato della nostra stessa Europa. Il paradosso è allora questo: mentre la formazione "federale", tipica della concettualità dell'Europa moderna, si è resa immediatamente disponibile per le nuove terre conquistate (invero con troppi spargimenti di sangue) oltre l'oceano, essa sta avendo difficoltà ad affermarsi nella stessa Europa dove è nata poichè vi incontra le resistenze di tutti quei mondi culturali che hanno avuto modo di affermarsi contro questa stessa tendenza. L'Europa ha dovuto passare, dunque, per i nazionalismi - che sarebbero stati impensabili negli USA federati - e per le cortine di fumo, ma oggi, dopo la caduta dell'ultima grande ideologia europea anti-moderna nel 1989, ha avviato un processo importante di federazione. Oggi la sfida è quella di incanalare le spinte localiste di cui abbiamo accennato verso una concezione di Europa unita e federata che non si limiti tuttavia a salvaguardare le differenti tradizioni, ma che, al contrario si fondi proprio sulla pluralità.
Il portato pluralista delle culture europee sembra dunque oggi piuttosto acuito dal continuo moltiplicarsi di spinte identitarie e localiste che, sentendosi legittimate dal recente passato, contribuiscono ad abbattere molti centralismi e perfino gli Stati-nazione. Per cui quello che vorrei contestare al prof. Ferguson non è tanto l'impostazione di fondo, che pure condivido, bensì, come dire, l'ottimismo della tempistica; sono difatti convinto, in forza della straordinaria tradizione europea che abbiamo forgiato nei secoli, che la nostra vocazione sia davvero la convivenza civile nell'orizzonte dell'Europa unita secondo una sorta di, come dire, "federalismo europeo". Una forma di unità dei "glocalismi" che non giunge dall'Atlantico come un modello a cui adeguarsi - come forse erroneamente credono alcuni neocons - ma che, al contrario, rappresenta il prodotto politico più avanzato della nostra stessa Europa. Il paradosso è allora questo: mentre la formazione "federale", tipica della concettualità dell'Europa moderna, si è resa immediatamente disponibile per le nuove terre conquistate (invero con troppi spargimenti di sangue) oltre l'oceano, essa sta avendo difficoltà ad affermarsi nella stessa Europa dove è nata poichè vi incontra le resistenze di tutti quei mondi culturali che hanno avuto modo di affermarsi contro questa stessa tendenza. L'Europa ha dovuto passare, dunque, per i nazionalismi - che sarebbero stati impensabili negli USA federati - e per le cortine di fumo, ma oggi, dopo la caduta dell'ultima grande ideologia europea anti-moderna nel 1989, ha avviato un processo importante di federazione. Oggi la sfida è quella di incanalare le spinte localiste di cui abbiamo accennato verso una concezione di Europa unita e federata che non si limiti tuttavia a salvaguardare le differenti tradizioni, ma che, al contrario si fondi proprio sulla pluralità.
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