"Gli spazi nella città" con M.Cacciari e V.Sgarbi
A causa di alcuni impegni arrivo in ritardo nel segnalarvi questa interessante discussione, su tema a me molto caro, avvenuta la sera del 19 novembre ad Otto e Mezzo, ma per fortuna quella mezz'oretta di programma è presente sul sito dell'emittente La7 (qui). La discussione verte soprattutto sulla funzione dei sindaci e di gruppi locali nella valorizzazione degli spazi cittadini, nell'orizzonte della città, benché i casi citati dai sindaci Sgarbi e Cacciari siano legati ad opere di grande fattura, quali il restauro delle vecchie abitazioni di Salemi o la gestione dei musei a Venezia. Ciò che mi interessa primariamente e che possiamo assumere anche per la nostra Ortona è la concezione di città quale orizzonte entro il quale coordinare le risposte alle esigenze cittadine, alle iniziative culturali oppure a qualsiasi altro programma e interesse. Si tratta di mutare la prospettiva in toto perchè pensarsi come città non può che essere uno sforzo quotidiano non solo dell'amministrazione ma di ogni cittadino, il quale dovrebbe comprendere che ogni suo interesse, se restituito solo al proprio ambito "privato" o di dinamiche chiuse entro un semplice scambio di favori, rimane sempre e solo fine a se stesso. Per scendere dalla teoria, un ragionamento tale emerge in questo filmato quando Cacciari e Sgarbi discutono dei graffiti sui muri della città. Partire da un punto di vista politico significa proprio capire che imbrattare i muri di una città può essere un'attività di arte e recupero, nel caso di ambienti (non si parla solo di muri) spenti, quali una stazione, il porto etc. e contemporaneamente può essere un atto vandalico se si imbratta un'opera d'arte o un muro di una costruzione quali i musei o il nostro teatro Vittoria, che ha il diritto di esser preservato nella sua integrità. Bisogna recuperare il punto di vista politico per la città e avere il collettivo e il globale come primo punto di riferimento e sul quale tornare sempre, per non perder la via e ricadere nel narcisismo del proprio orticello. Bisogna concorrere al recupero degli spazi e alla valorizzazione dell'ambiente circostante anche dal punto di vista economico: su questa linea ancora una volta richiamo l'indicazione di Sgarbi sulla costruzione di un vero "ambiente" intorno al museo, ovvero di una struttura con ristoranti, bar e attrattive, che possa funzionare come un nucleo di produzione economica tale da poter rendere, ad esempio, gratis l'accesso.
Commenti
Mi sembra giusto precisare che questo tuo intervento, relazionato con la trasmissione de La7, peraltro la trasmissione non ha avuto un senso di continuità nei temi affrontati, ha bisogno di due considerazioni.
La prima riguardante il restauro/recupero degli spazi in disuso della città contemporanea è un tema molto ostico da trattare per ogni progettista della città (gli urbanisti) perché l'Italia ha il pregio ed il difetto di essere un territorio fortemente antropizzato durante tutta la sua storia ed il suolo è mutato in relazione alle esigenze dell'uomo.
La relazione Cacciari-Sgarbi pone a confronto inevitabilmente 2 modi di gestire la città molto diversi (oggi i sindaci sono più degli imprenditori di azienda che non dei semplici portavoce della vox populi), ossia Venezia e Salemi. Senza entrare nel merito della loro amministrazione va precisato che inevitabilmente hanno dei modi e dei tempi per effettuare manovre imprenditoriali sul costruito molto diverse; ovviamente Sgarbi può sperimentare di più rispetto a Cacciari che invece deve contenere e controllare l'immagine classica della città galleggiante riconosciuta in tutto il mondo.
Dico che la proposta della vendita di case a prezzo simbolico (un euro non è un prezzo che rispecchia il valore dell'edificio, per cui a mio parere non esiste un compravendita) è molto buona e già in passato collaudata su altri centri abitativi italiani [vedi il caso di Matera e dei suoi sassi]; trovo altresì buona l'idea di sdoganare l'idea classica di centro storico come proprietà esclusiva dei soli residenti "storici" di una città. Se chiunque può abitare nella downtown di NY, non vedo perchè non potrebbe farlo a Salemi o Urbino.
Parlando di città e trasformazioni radicali, la citazione a Burri con Gibellina era facilmente prevedibile, ha fatto storia e continuerà a farla.
La sperimentazione architettonica ed artistica sulla città è un tema molto complesso e delicato in Italia, sia perchè si tratta del BELPAESE, inteso come il paese dell'arte in ogni sua forma e della tradizione per eccellenza, sia perchè la pubblica amministrazione e le soprintendenze non vedono di buon occhio la modifica drastica e/o banalmente l'innovazione in senso linguistico su un bene di lunga durata come sono le abitazioni o le cortine murarie.
(Con l'ultimo periodo ti anticipo la seconda considerazione).
Parlare di arte e musealità nella città italiana, a mio avviso sarebbe come parlare della questione del prato all'inglese nel centro di Londra, ossia che è logico che si faccia e si proponga arte in Italia (paradossale non farlo...), è giustissimo e sacrosanto che ci siano i musei e che vengano anche gestiti da persone competenti (come è ora) ma è soprattutto un loro diritto avere molta più libertà sui fondi e sull'organizzazione degli eventi che si possono generare.
Senza entrare nel merito della situazione italiana, che tra l'altro non incentiva se stessa a crescere perché affidata ad amministrazioni cieche e troppo attaccate al peso del salvadanaio, confermo quello che Sgarbi dice, ossia che la liberalizzazione dell'arte è l'unica via per rigenerare l'afflusso economico e turistico nelle città (il museo non è solo un luogo per esporre arte, ha intorno a se molte strutture satellite che vivono in simbiosi come i bar, i book-shop, ...), specialmente quando si parla di Italia che come si sa ha all'incirca il 50% del patrimonio artistico mondiale.
Escludendo le fondazioni private o le mostre dedicate, ti cito l'esempio londinese della Tate Modern Gallery, posta sulla riva opposta del Tamigi di fronte la cattedrale di S. Paul, dove è tutta gratuita, non si paga ingresso o "consumazione obbligatoria" all'interno ma solo volendo e sopratutto a costo zero di ha la possibilità di vedere Picasso o Calder dal vero, i posti più affollati sono la caffetteria e il book-shop. Paradossale.
Questo ci fa capire come invece il luogo di culto dell'arte per eccellenza: IL MUSEO, oggi è stato sdoganato; è sceso dalla sua torre d'avorio ed è diventato popolare [...adesso mi bevo un caffè e dopo se ho tempo vado a vedermi Picasso...], un luogo di ritrovo, una piazza coperta o come diremmo noi "dei portici".
Da qui passo infine a fare un ultimo intervento in piccolo dicendoti che oggi il dibattito culturale sul riuso delle aree disabitate è passato dal RESTAURO al RECUPERO, nei prossimi anni, i nuovi centri storici recuperati e quindi i luoghi che saranno il centro delle attività delle città diventeranno le aree industriali dismesse che offrono più libertà espressiva ai progettisti ed alla sperimentazione.
I centri industriali non sono mai limitrofi al centro storico, quindi il fatto di commissionare il "brutto" potrebbe andare bene in virtù del fatto che non si ha la paura di fare brutta figura nella propria vetrina.
Se proprio devo dare un titolo a questo mio intervento, credo proprio che lo chiamerò: "LA PAURA DI OSARE IN CITTA'. UNA STORIA TUTTA (E SOLO) ITALIANA".
N.B.
Commento scritto di getto e non riletto per controllare gli errori.
Scusate se sono apparso un pelino prolisso ma sarei pronto e felice di continuare il dibattito.
Emilio Rossi [espylondesign]