Dall'anima al corpo vivente. La prospettiva post-metafisica di Hans Jonas

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Introduzione

Il denso saggio di Hans Jonas, Il problema della vita e del corpo nella dottrina dell’essere, mira a far luce sulle problematiche antropologiche della vita e della morte del corpo inquadrandole nel contesto storico-filosofico; a tal fine, Jonas risale agli albori della filosofia e presenta una breve storia dell'ontologia, cercando di mettere ordine tra i tentativi di dare risposta alle enigmatiche esperienze della vita e della morte del corpo. L'intento è propriamente quello di «mostrare in che senso il problema della vita e con esso quello del corpo debbano essere al centro dell’ontologia». Come si potrà presto intuire, la ricostruzione storico-filosofica di Jonas non ha un intento meramente storiografico; essa, anzi, è fortemente segnata dall'impostazione post-metafisica che Jonas aveva oramai sviluppato da qualche anno e che vedrà poi una formulazione positiva nel celebre Principio responsabilità. Essa prende le mosse sulla scia delle opere del suo maestro Martin Heidegger e dei lavori sulla gnosi che hanno caratterizzato i suoi esordi nell'ambiente accademico. Tale prospettiva si propone come una critica alla metafisica e più precisamente consiste nella convinzione che ogni ontologia si caratterizzi da una pretesa totalizzante sull'essere e sul mondo, ma al contempo che ogni pretesa, proprio in quanto totalizzante, sia destinata a restare incompiuta. I motivi di tale destino saranno ben tematizzati nel corso dell'analisi della storia dell'ontologia intentata nel nostro saggio. Infatti The Phenomenon of Life appare (in inglese, a New York) nel 1966, quando cioè Jonas aveva già consolidato la propria critica alla metafisica. Quel che tuttavia qui importa ai fini della nostra ricerca è che l'impostazione metodologica con cui Jonas affronta la storia dell'ontologia sia fortemente segnata da un'ipotesi di fondo: che, cioè, ci sarà sempre un fatto, un evento, un estremo grido della realtà positiva che contraddice, scardina e ribalta ogni possibile concettualizzazione metafisica elaborata nel corso dei secoli.

La storia dell'ontologia si può dunque descrivere come una storia di sconfitte, come una serie di tentativi di costruire delle immagini totalizzanti del mondo, destinate però a restare inattese. Tali Weltanschauungen non si presentano mai sole, ma sono sempre parte di vere e proprie «ontologie onnicomprensive» che sono state sì «realizzate storicamente», ma che avevano sempre i caratteri di prospettive eterne sulla verità dell'essere e del mondo. Come tali, cioè per un verso situate nella storia dell'ontologia, ma per l'altro rivolte alla Verità eterna, esse avevano molto da dire anche sulla vita e sulla morte del corpo; avevano da dire su Dio. Il loro fallimento apre per Jonas l'era di una riflessione che sappia riconoscere questo carattere costitutivamente totalizzante della metafisica, ma che, al contempo, non voglia cancellarla. Difatti per Jonas tutte queste prospettive sull'essere non sono da accantonare e dimenticare, ma esse, al contrario, «hanno da insegnare», anche se «più su come porre che non su come risolvere il problema». In altri termini, la strutturale incapacità delle metafisiche del passato di tratteggiare un'immagine del mondo unitaria che resista dinanzi alle molteplici contraddizioni dell’esistente va apprezzata e inclusa nella riflessione odierna sulla vita e sul corpo. Ciò non significa ricadere in una pretesa di totalità, ma significa, al contrario, aprirsi verso ogni possibile pensiero sull’Essere, verso ogni metafisica, ogni concettualizzazione,sapendone però il limite strutturale: nel momento in cui essa si pretende onnicomprensiva, ecco che cade dinanzi alla fattualità e concretezza dell'evento. Di qui la necessità di studiare e comprendere i passati tentativi di fare-metafisica e l'intenzione di affrontare il tema mediante una breve storia dell'ontologia.


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