Libertà e libero arbitrio, pensieri informali e politicamente poco corretti.
Ho intenzione di scrivere questo articolo di getto e in maniera informale per rendere il contenuto più chiaro e "alla mano". Questa esigenza non è dettata dall'altezza dell'articolo bensì dalla sua vocazione "popolare". Mi sembra sia giunta l'ora di dirci "le cose come stanno" riguardo la nostra società: esistono dei pensieri "comuni", esistono delle forme di costrizione mentale a cui si abbandona la quasi totalità della popolazione e che di fatto costituisce quella "tendenza" su cui fa leva la democrazia. Solitamente questo pensiero è abbracciato soprattutto da quelle persone che hanno una cultura media o almeno coloro che sono abituati a riflettere sempre secondo determinati canoni da loro giudicati indiscutibili perchè "razionali". Costoro si rendono, anzi, paladini di questo pensiero comune e vorrebbero distinguersi dalla massa per la loro capacità di riformulare quello stesso contenuto in forme più raffinate. In questo loro voler passare per "gente di cultura", contribuiscono a rendere le loro confusioni più grossolane e persino più fastidiose di quelle che sono realmente. A proposito di fastidio, non c'è confusione che mi indispettisce maggiormente rispetto quella tra "libertà" e "libero arbitrio", tipica della nostra società. Basta accendere quello specchio efficace che è la televisione per rendersene conto. O se siete troppo imborghesiti per la televisione - un po' come il sottoscritto - basta aprire qualche giornale qua e là e rendersi conto di quante stupide polemiche si generano da incomprensioni simili. Oggi purtroppo è passata l'idea che "libertà" significhi "voler fare ciò che si vuole" ed essere libero significa "poter fare" tutto. Premetto che non ho intenzione di affidarmi a concezioni metafisiche di libertà e vorrei rimanere solo sul piano politico o, se possibile, etico. Recentemente va di moda chiacchierare sulla "libertà di pensiero" e gridare alla "censura" quando qualcuno si permette di obiettare che magari quella determinata vignetta risulta offensiva - e quindi oppressiva per l'altro - oltre che esteticamente brutta e di cattivo gusto. La radice di questo problema, credo, sia nell'ostinarsi a concepire la libertà secondo una matrice individualistica ed emerge già nella terminologia dell'intellettualoide aristocratico che definisce la libertà come "poter fare" ciò che IO voglio. Molto raramente, escluse le frequentazioni da biblioteca con Platone e Kant, ho ascoltato qualcuno che provava a ragionare sulla libertà in senso collettivo, riflettendo sul limite che tu devi porre a te stesso affinchè tu possa lasciar essere l'altro nel suo essere. L'idea che il dovere sia un qualcosa di incompatibile con la libertà mi sembra un'idea stupidamente 68ina, che concepisce le dimensioni del "dovere" e della "libertà" a compartimenti stagni. A mio avviso non è casuale l'affinità tra gli intellettualoidi prima richiamati e la cultura 68ina, tra la faciloneria con cui si utilizzano i termini assoluti e ci si sente "intelligenti" o finalmente "redenti" da una società "oppressiva" che nega la libertà! La libertà è come l'Essere, ossia "si dice in molti modi" e deve essere "riempita" nelle varie situazioni pena il maneggiare concetti veramente vuoti e vaghi. Ma ciò che dovrebbe colpire è lo strano effetto di questo articolo: nel parlare in maniera diffusa del libero arbitrio, la libertà in sè è forse appena balenata, ma non è mai stata toccata. Quanto è difficile dirsi liberi, quanto è delicato maneggiare questa terminologia. Purtroppo non tutti hanno la stessa parsimonia.
Commenti
a mio modesto parere il problema sta oltre che nel cogliere una certa differenza tra "libero arbitrio" e "libertà", anche nel come si intende quest'ultima stessa. Innanzitutto, a mio avviso, il "libero arbitrio" è un qualcosa di puramente dato, inteso come consustanziale all'essere umano.
La "libertà" invece non è affatto qualcosa di dato, quasi come se fosse possibile delinearla come un'entità astrattamente intellegibile dall'uomo,e quindi raggiungibile mediante un qualche percorso esistenziale. Anzi, dal mio punto di vista, è essa stessa il percorso, qualcosa cioè da conquistare continuamente, una sorta di prassi ineludibile esistenzialmente, se si vuole giungere a ben altro traguardo, ossia la realizzazione dell'essere umano, sia dal punto di vista dell'individuo che del collettivo, essendo per me i due termini imprescindibili reciprocamente l'uno per l'altro.
In quest'ottica il "libero arbitrio" appunto come consustanziale all'uomo, dovrebbe a parer mio esser letto in virtù di una funzione che, per quanto fondamentale sia, resti sempre strumentale a quel percorso della libertà( e non per la libertà) di cui prima, nel senso che senza d'esso non è possibile percorrere il suddetto.
Tuttavia ci tengo a sottolineare come bisognerebbe porre attenzione circa il non assolutizzare questo "libero arbitrio", appunto perchè strumentale alla "libertà" vista come "percorso d'azione" e quindi non assimilabile ad essa, altrimenti si rischia di incorrere a quelle che definirei come sue forme degenerate dal punto di vista politico, presentanti quindi inevitabilmente anche risvolti negativi dal punto di vista etico, ovvero l'anarchismo ed il totalitarismo.
ci tengo innanzitutto a precisare che le considerazioni da me fatte sono più che altro frutto di una sensibilità personale circa il problema considerato, come d'altronde ho avuto cura di mettere in rilievo nelle suddette.
Ciò naturalmente vuol significare che non ho dei fissi punti di riferimento al riguardo, ma che tuttavia non è da intendersi come delle considerazioni totalmente scevre di contaminazioni(in senso positivo naturalmente)le cui origini sono da cercare altrove.
Sicuramente, quando mi riferisco ad una "realizzazione dell'essere umano" intendo qualcosa di molto vicino all' "oltreuomo" nietzschano,liberato tuttavia in certo senso dalla tensione tragico-ateistica presente in essa, cioè previo superamento totale tanto del nichilismo quanto della "secolarizzazione"(mi viene in mente a tal proposito Del Noce)avvenuta in conseguenza ad esso.
Ciò da non intendersi certo nel senso di una nuova restaurazione di valori oramai anacronistici(se tali si possono pure chiamare),ma in virtù di quella che definirei una "redenzione" dell'essere umano, un suo tornare a se stesso, di modo che possa "riposare in se stesso",in stile heiddegeriano, di modo da superare tanto l'ateismo, quanto il nichilismo e la secolarizzazione e l'irreligione, fino a giungere al riscattarsi dal dominio tecnocratico che lo piega a se.
Un essere umano che sia dunque umano, e che, in tal prospettiva, recuperi anche il senso originario anche della fede, libverando anche questa dall'antropomorfizzazione che poi non poteva che portare alle attuali conseguenze, una volta esautorato l'UOMO per DIO, il chje equivale sostanzialmente a voler proiettare DIO nell'UOMO, per poi rendersi conto della delusione totale che comporta questo tentativo assurdo. In questo senso vedo la libertà come "percorso"... cioè qualcosa di dinamico, poichè il "tendere verso" lo vedo come un probabile stato di minorità già compiuto.
Perciò, paradossalmente, credo che più si legga la libertà come un qualcosa da raggiungere, più la si sveli come in sostanza estranea all'uomo. La libertà, a mio avviso, non va raggiunta, ma vissuta, cioè dinamicamente fatta.
In questo senso, il libero arbitrio è uno strumento atto a porre l'essere umano in questa direzione. La vera meta quindi non mi sembra tanto la libertà, quanto l'uomo. Porre la libertà oltre l'uomo è già disumanizzare lo stesso. Dunque la libertà ne sarà il processo per la realizzazione, ed il libero arbitrio strumento funzionale essenzialmente a tale processo.
Grazie, e a presto.