Il valore dell'esistenza - perchè il cristianesimo e non il buddismo.

Isolo una breve sezione del mio Commento al De visione Dei nella quale tento di mostrare lo scarto tra una prospettiva neoplatonica pagana e quella cristiana, ben tratteggiata dagli scritti del Cusano. Il testo qui proposto vuole inoltre esser polemico con tutte quelle tendenze New age o filo-buddiste che di questi tempi vanno tanto di moda, ma che si scoprono facilmente come illusorie e incapaci di render ragione della singolarità dell'esistere. Il Cristianesimo medioevale, soprattutto di matrice neoplatonica, trova proprio nell'unicità e nell'irripetibilità della vita, un carattere decisivo per la conoscenza e l'agire.

La natura umana non è un semplice “contratto” da ricondurre ad Unum; l’esistenza non è semplicemente un “contratto” qualsiasi nell’universo, un nulla che al nulla deve tornare, ma ha valore di per sé. La vita è pertanto un dono stupendo, di cui l’uomo dispone per un tratto di strada e per una breve sezione di tempo. Il compito dell’homo viator è allora quello di rendere la propria vita degna d’essere vissuta, utilizzando la libertà concessagli per dirigersi verso Dio e non verso il male; perché dirigersi verso Dio, rendersi simile a lui, capace di vederlo, è per l’uomo la realizzazione compiuta della propria essenza umana e la massima fonte di felicità e beatitudine. La visio dei umana acquisisce allora tutta una rilevanza etica fondamentale e non rimane aggrappata al mero ambito teoretico. Non stupisce allora come la via non sia indicata tanto da dei precetti teoretici né da concetti, bensì sia tracciata dall’esempio vivo del Cristo, della seconda persona della Trinità incarnatasi in questo mondo.

da Andrea Fiamma, Commento al De visione Dei, cap. 8.1

Commenti

sgubonius ha detto…
Non capisco molto la questione del valore della vita, almeno da un punto di vista del tutto teorico la questione è malposta. Un valore è comunque una relazione di valore, con cosa si può mettere in relazione la vita, che è il tutto?

A parte questa divagazione, di per sè anche di poca importanza, mi interessava comparare quanto dici con una apparente discordanza in mastro Eckhart, lasciando perdere il buddhismo che è di una povertà intellettuale notevole. Mi spiego meglio: tu dici "l’esistenza non è semplicemente [...] un nulla che al nulla deve tornare", eppure penso che sia importante (e sia soprattutto il grande merito di una certa corrente interna al cristianesimo, fra cui penso stia anche Cusano) mostrare come questo nulla è tutto fuorchè contrario a Dio e allo spirito. Andare oltre ogni nichilismo è possibile solo affrontando la questione del nulla in pieno senza postulare superamenti nella felicità o in qualche altra presenza (stile sintesi hegeliana).
Tutto questo è solo un abbozzo di una chiarificazione, in quanto mi sento di concordare in pieno col post. In altre parole la questione è così importante che meriterebbe dettagli ulteriori, soprattutto riguardo al rapporto fra il "negativo" e l'incarnazione di Cristo. Mi piacerebbe sentire da te qualcosa di più riguardo a questo (che per me è una questione fondamentale anche traslata nei termini più filosofici di immanenza e trascendenza, uno e molteplice, attualità e virtualità e via dicendo). Poi magari cercherò di essere più chiaro!
Guarda la rpiam cosa da fare è capire di cosa Eckhart parli quando cita il Nulla. Siamo abituati a considerare il Nulla, l'Essere e la Verità secondo quelle categorie Hegeliane tanto ben esposte nella scienza della logica. Il punto èche il Nulla di Eckhart è altresì un Pieno; così come la Verità e l'Essere, che per Hegel sono le "categorie più vuote", per Ekchart e Cusano sono "piene", e sono piene dell'"esempio di vita del Cristo sempre benedetto" (come si esprime Cusano). Purtroppo entrare in questo ordine di idee è complicato perchè ci vuole un po' - dopo anni di letture mi sto abituando solo ora. Ecco perchè dici bene quando scrivi che "questo nulla è tutto fuorchè contrario a Dio e allo spirito". Se espliciti megio le domande "riguardo al rapporto fra il "negativo" e l'incarnazione di Cristo" provo ad esser soddisfacente nelle risposte anche perchè il tema per me è uno dei più affascinanti - ma si sarà inteso eheh.
sgubonius ha detto…
Anche per me è fondamentale oltre che affascinante! Tento con molta fatica (proprio perchè sono abituato ad altro ambito e sono poco pratico di teologia) di concatenare i problemi per farti arrivare il punto preciso.

Esistono da sempre in tutte le filosofie dei dualismi, il dualismo pare essere una conditio sine qua non per ogni ragionare, e d'altronde è anche evidente che in un monismo assoluto (alla parmenide) si può dire tutto e l'opposto di tutto senza alcuna cogenza e senso (vedi il Parmenide di Platone), il senso passa sempre in mezzo e alla superficie fra due opposti. In parole povere perchè esista il vero deve ben esistere il falso (vedi il Sofista) e via dicendo per ogni dualismo.
D'altro canto mi pare altrettanto evidente che la scollatura operata nel tutto fra due opposti è l'origine stessa di ogni nichilismo. L'esempio più significativo è quello del linguaggio: quando si introduce la differenza fra signficato e significante, si è aperta la strada alla fine della certezza espressiva. Mediare queste due istanze (da una parte la necessità di due colonne per costruire qualcosa, dall'altra il vuoto della trabeazione che aspira giù tutto quanto) risulta l'operazione più difficile in assoluto, e praticamente nessuna filosofia ci è riuscita.

Eppure mi pare che in questi autori (Eckhart, Cusano) come in pochi altri (Spinoza, Nietzsche, Heidegger, più la recente filosofia francese), si ritrovi un monismo che "istituzionalizzando" (passami il termine orrendo) il vuoto ne fa il vero pilastro portante. Questo ribaltamento non è solo formale, è davvero sostanziale. E' l'intervallo, la differenza, la durata bergsoniana, la potenza (in senso energetico/vitale, oltre aristotele) a produrre ogni sintesi, mantenendo così l'unità di un tutto sempre aperto in cui il vuoto non si infiltra, perchè semplicemente ne è già permeato. C'è qui una distanza abissale dall'hegelismo, senza essere un ribaltamento (che rientrerebbe nell'ottica del negativo dialettico), in quanto la differenza è realmente prima e finale e nulla le si oppone. Il modello teorico è il Dio-sostanza di Spinoza la cui essenza è la potenza.

Sono quasi alla fine. Il rapporto fra Dio (come negativo assoluto, che è per l'appunto l'unica pienezza che si dà, come ogni percezione ed essere è solo mancanza di qualcosa e movimento) e l'incarnazione in Cristo mi pare non sia poi tanto lontano dall'operazione di immanentizzazione nella sostanza. Il negativo assoluto, in sè e di per sè esistente, deve ancora essere affermato insomma. Cristo è soprattutto l'uomo del "sia fatta la tua volontà", dell'amor dei (intellectualis è una brutta parola, la lascio fra parentesi, soprattutto se intesa in senso eckhartiano) che allontana tanto l'ebraismo del padre padrone quanto i buddismi del padre assente. Se Dio è assenza, lo è perchè la mancanza è l'unica efficienza. L'esempio vivo del cristo è quindi l'uomo nobile di Eckhart, una pura virtualità di potenza.

Penso di aver buttato nel calderone quasi tutto, il minestrone è servito! Se riesci a mettere un po' d'ordine, soprattutto sugli ultimi passaggi più strettamente teologici, mi fai un grosso favore!!! :D
Eheh sì che è un gran calderone, soprattutto perchè secondo me ci sono un'infinità di passaggi arrischiati. Secondo me più che provare queste panoramiche Severiniane (o Hiedeggeriane, vedi te) dovresti concentrarti su piccoli spiragli. In ogni caso ti rispondo sull'incarnazione, anche perchè mi sembra che fosse quella la domanda iniziale dell'altro post ;)

Quanto scrivi sull'immanentizzazione della sostanza è vero, anche se a mio avviso è un modo errato di intendere l'incarnazione per questi autori, che sono molto più "cristiani" di quanto non sembri. Un esempio. Una delle prime accuse che gli scolastici fecero a Cusano fu quella secondo la quale il Cusano riduca il Cristo ad un "genere dell'Essere" (cfr. J.Wenck, De Ignota letteratura). Questa idea va proprio nella direzione di quell'immanentizzazione che tu stesso leggi!

Per Eckhart il discorso che fai è molto "heideggeriano" ma nonostante tutto lo condivido; nel senso che la categoria di "virtualità di potenza", come tu la poni, è estranea al pensiero medioevlae ma è piuttosto una lettura che i due secoli del nichilismo ci hanno offerto. ;)
sgubonius ha detto…
Infatti il problema è sempre quello di armonizzare una dimensione puramente ontologica (diciamo heideggeriana o spinoziana) con una più radicata nel cristianesimo diciamo "evangelico".
Non a caso sia Cusano che Eckhart hanno affrontato censure e critiche non da poco in seno alla Chiesa, ma per lo più mi pare per la ristrettezza interpretativa dei testi (non solo dei loro, ma anche dei vangeli stessi).

Ovvero: il fatto che Cristo sia l'esempio vivo, non è in nulla contrario alla questione dell'immanenza. L'immanenza è un atto d'amore sul piano ontologico del tutto parallelo a quello cristiano, dove anzichè prossimo si parla di "Differenza" e altre amenità concettuali. Separare del tutto i due piani è un'operazione prettamente metafisica (nel senso heideggeriano di metafisica) e rientra nella storia dei dualismi. Se leggiamo l'ontologia invece come una analisi più strutturale dell'essenza dell'uomo e del mondo (o meglio dell'uomo-nel-mondo, per togliere ancora la separazione) essa sarà solo uno strato inferiore, più complesso e meno dottrinale, che ripercorre in parallelo le vie diciamo "rivelate".

Il rischio mi pare è sempre quello scientista di voler porre una questione di "verità". Ma Cristo è esistito davvero? Ma i miracoli? Ma Dio esiste? Queste sono opinioni nella migliore delle ipotesi, ma non hanno alcuna pertinenza nell'ambito del pensiero nè della religione, perchè insinuano sempre il nulla del falso (cioè sempre i due piani sfalsati = la trascendenza) che non potrà che mangiarsi via tutto.
sgubonius ha detto…
Aggiungo una citazione in cui mi sono imbattutto per puro caso proprio ora, da "Qu'est-ce que la philosophie" di Deleuze-Guattari (traduco come riesco):

"Ogni filosofia deve fare la prova, a pericolo della sua opera e a volte della sua vita, che la dose di immanenza che inietta nel mondo e nello spirito non si comprometta con la trascendenza di un Dio al quale l'immanenza deve essere attribuita solo secondariamente (Cusano, Eckhart, Bruno). L'autorità religiosa vuole che l'immanenza sia sostenuta solo localmente o a livello intermedio, un po' come una fontana a terrazze dove l'acqua può brevemente immanere su ogni piano a condizione di venire da una fonte pià alta e scendere. [...] il problema dell'immanenza non è astratto o solo teorico. A prima vista non si capisce perchè l'immanenza sia così pericolosa, ma è così. Essa inghiotte tutti i saggi e gli dei."

Solo un punto mi interessa senza entrare nel merito di Deleuze: che l'immanenza non sia solo una questione astratta, ma metta in gioco tutto un sistema di gerarchie nell'esistenza. Fusis e Nous sono due facce della medesimo essere, visto da punti diversi.
sgubonius ha detto…
Perdonami il triplo post ma la coincidenza era tale che non ho potuto farne a meno, ecco come Deleuze conclude il capito:

"quello che non può essere pensato, e che pure è da pensare [il piano di immanenza], questo fu pensato una volta, come Cristo si è incarnato una volta, per mostrare la possibilità dell'impossibile. Così Spinoza sarebbe il Cristo dei filosofi [...] Egli ha mostrato, vestito, pensato il piano di immanenza "migliore", cioè il più puro, quello che non si dà alla trascendenza [cartesio-kant] ne si restituisce del trascedente [fenomenologia], quello che ispira meno illusioni, cattivi sentimenti e percezioni erronee..."

Passando la blasfemia della cosa, spero che questo contributo chiarisca un po' la vicinanza dei problemi dell'incarnazione e dell'immanenza con quelli del rapporto all'Altro di cui parlavamo per esempio nell'altro topic, non c'è bisogno di dire che tutto è un unico discorso!!!
stefano boscolo ha detto…
E' vero, ormai si è imposta (anche se credo tenderà a decadere) tutto un filone pseudo buddista che mette in ombra la cultura cristiana e in particolare la mistica. Leggevo un po' di tempo fa "il Tao della fisica" in cui l'autore, mostrava come la filosofia ocidentale esaltasse esclusivamente l'elemento razionale, contrariamente alle filosofie orientali le quali sono molto più vicine alla scienza moderna per la loro concezione del vuoto e del caso. Anche questo, visto il successo del testo in questione, può essere visto come il sintomo di un'avvicinamento da parte di quella terribile figura dell'uomo medio (il quale trova tutto interessante dimenticando il significato della parole inter-esse, cioè dentro le cose) a una cultura che non gli compete e che lui prende solo in pillole (appunto, new age). Il problema non sta secondo me in una religiosità estranea a quella coltivata nel nostro Paese, ma nella sua accettazioni in vitro, priva di una reale accessibilità culturale. Allora una filosofia diventa filosofia -spazzatura, slegata dal prroprio contesto culturale. Quando si accetta una filosofia bisogna prenderla con tutto ciò che essa porta con sé, con la sua topologia concettuale per l'appunto, e non solo ciò che ci fa comodo, il filtrato o new age appunto.
Grazie Stefano per il commento, condivido in toto ciò che scrivi. Tempo fa avevo iniziato anch'io a leggere quel testo, ma poi ho smesso a pagine 3 eheh e non l'ho più ripreso. :)
sgubonius ha detto…
Non pago sparo un altra citazione nei miei deliri, dai Four Quartets di T.S. Eliot:

"The hint half guessed, the gift half understood, is Incarnation.
Here the impossible union
Of spheres of evidence is actual"

Era in verità solo una bella scusa per rievocare Andrea a illuminarmi su questa questione che non abbiamo risolto (probabilmente a causa delle mie solite divagazioni tangenziali!)
La questione in origine era una distinzione fra buddhismo e cristianesimo, ed è evidente che la differenza passa dall'Incarnazione. Mi sarebbe piaciuto andare fino in fondo alle conseguenze di questa differenza, proprio analizzando posizioni "ambigue" come quelle della teologia negativa, ambigue soltanto nella misura in cui possono apparentemente aprire ponti al nolontarismo, mentre penso sia cruciale in un topic come questo mostrare come la prossimità è solo apparente.

Tu dicevi giustamente che questi autori medioevali sono più "cristiani" di quanto un formalismo filosofico come il mio possa evidenziare, mi piacerebbe quindi ravvvivare se ti va la questione chiedendoti in poche parole cosa intendi per "cristiano", e da qui partire!