Esame in Università. Anno di grazia 2010.

Mattina di fine febbraio, venerdì. Tra alcuni raggi di sole e il solito clima d'improvviso serioso delle sessioni d'esami, mi apprestavo anch'io a sfogarmi con il professore. A sfogarmi perchè non era un esame qualunque: il professore mi aveva gentilmente concesso di impostare la discussione a seconda delle mie attitudini, facendomi indicare testi e temi di mio gradimento da portare per l'esame. Scelsi Schelling e alcuni testi più o meno importanti sulla questione della Libertà umana; con essi, l'immancabile saggio di Massimo Cacciari. Arrivato dinanzi alla porta del professore, la situazione era letteralmente raccapricciante: alcuni studenti presi dall'ansia ripetevano da soli a menadito, altri correvano per i corridoi e quella ragazza... quella ragazza impacciata, che, seduta al mio fianco, sembrava riprodurre perfettamente un nastro inciso in precedenza, con un tono di voce troppo stridulo per concedermi riposo. Nonostante tutto, fui chiamato presto all'appello e il fastidio cessò. Entrai nella stanzina del professore e, dopo aver salutato a mezza bocca con il mio solito imbarazzo, mi accomodai senza troppi complimenti dinanzi al professore. Al suo fianco, il suo assistente stava scorrendo l'elenco dei ragazzi iscritti al suo esame. Non feci in tempo a capire bene le dinamiche, ma mentre il professore si alzava e poi si risedeva e compilava e metteva in ordine, ecco che mi ritrovai dinanzi alla sua scrivania di legno compensato, lunga circa un metro e mezzo, seduto al fianco di un'altra ragazza - non la stessa dell'atrio - che in quello stesso momento era stata chiamata per sostenere l'esame con l'assistente del professore. Eravamo seduti l'uno al fianco dell'altro e, dinanzi a noi, i rispettivi esaminatori. Noi ragazzi sembravamo pronti per la partenza, come se stessimo partecipando ad una gara di corsa. Il momento era giunto: due domande e si parte! Gran caos. Vidi la mia collega "partire" come una furia, con una corsa esagerata; l'aveva provata tante volte quella partenza, proprio come i corridori! Io rimasi, guarda caso, un po' imbambolato. Dinanzi a me, il professore, che nel frattempo si era di nuovo alzato per rassettare la scrivania, mi incoraggiava a partire. In quel momento di tutto avrei potuto pensare e dire, meno che trattare di filosofia. La filosofia ha bisogno di calma, silenzio e tanta riflessione. Bisogna sentire le parole risuonare nel petto. Ecco, ne sono convinto. Ma nonostante tutto, partii anch'io, esibendo un "nastro" davvero mirabile; tra citazioni e riferimenti, stavo abbracciando il testo di Schelling e mi preparavo ad avvincghiarmici come una piovra. In cuor mio mi sentivo un pagliaccio. Stavo scimmiottando la filosofia proprio mentre trattavo della Libertà, della Creazione, del Deus-Trinitas, dell'Uno. Grande tristezza e sconforto. Alla domanda successiva feci una pausa e cercai di appigliarmi al Pensiero. Ebbene, per un attimo quel Fondamento è balenato: l'ho percepito, l'ho sentito parlare alla mia mente. E ha fatto breccia proprio mentre cercavo di socchiudere gli occhi e astrarmi dal caos. Così intorno a me la stanza era d'improvviso vuota: si notavano gli occhi di Rosenzweig sullo sfondo e lo sguardo stanco di Schelling ritratto su un testo. E poi tante righe. La ragazza, il tavolo, il Mac, le carte non c'erano. Neanche il professore compariva. Ero da solo, mentre sfregavo, sempre più lentamente e dietro la felpa, quel simbolo pagano-cristiano che da troppo tempo porto al collo, nascosto quasi con vergogna. Nel frattempo ricaddi nel caos e conclusi la performance con scarsa convinzione. Il professore, al contrario, mi sembrava persino emozionato. Lo si vedeva dagli occhi scuri che mi fissavano. E' una brava persona; chiese di me, dei miei studi e della mia tesi. Mi diede la lode, ma, di quella mattina, di tutto mi porto dentro meno che una lode.

Commenti

Unknown ha detto…
Platone pensa che la verità appaia d'un lampo a chi la cerca, ma solo se il cercatore e la sua guida hanno avuto la pazienza e la costanza di cercare a lungo e onestamente, urtandosi spesso l'un l'altro come pietre focaie in cerca di quella scintilla che darà loro senso e riposo.

Questa tua esperienza universitaria mi appare proprio così, in questa luce.
La prima pietra sei tu, le altre il professore, i testi, la ragazza-sprinter, il tavolo di compensato, il mac che scompare, le carte da riassettare, Rosenzweig e Schelling che guardano di lontano...
Unknown ha detto…
Tore, grazie per l'immagine :)
Marco Di Sciullo ha detto…
Bravo! ..molto interessante. Se non hai ancora pensato di dedicarti alla narrativa , ti consiglio di pensarci molto seriamente.
Unknown ha detto…
Ehm no, non ci ho pensato anche perchè non riesco a leggere nè romanzi nè "narrativa" d'altro genere. E' un mio limite, ma li considero troppo "annacquati"... dopo un po' mi annoiano ;)
Angelo ha detto…
Capisco i tuoi sentimenti ma non mi stupisco. L'esame universitario serve a farti studiare ed in particolare serve a farti studiare quello che probabilmente non leggeresti spontaneamente. Quando invece il programma ti appassiona, e questo succede spesso in filosofia, l'esame è sempre una delusione. Quel che importa, alla fine, è quello che ti rimane. Nella mia carriera di studente ho provato di tutto durante e dopo gli esami: entusiasmo, noia, soddisfazione, delusione. L'esame passa, qualcosa resta se ne vale la pena.
Unknown ha detto…
Grazie Angelo, sacrosante parole.

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