La mia posizione su Vannini (risposta a Carlo)

Mi scrive Carlo sul post dedicato alla risposta di Vannini alla recensione di Vito Mancuso.
Andrea, trovo che il tuo blog sia molto interessante, per cui mi viene da porti una domanda. Io ho letto due anni fa "La religione della ragione" di Vannini, che mi è molto piaciuto. Ho comprato anche "Mistica e filosofia", che però non ho ancora letto. Prendendo spunto dal primo libro che ho menzionato sto adesso leggendo "Le tracce di Mosè", un libro di due importanti archeologi israeliani che mette in discussione la storicità di alcune parti dell'Antico Testamento. Un libro che consiglio a tutti. La mia domanda verte sulla tesi di Vannini sulla necessità per il cristianesimo di abbandonare la "mitologia biblica" per essere "religione della ragione". Volevo, insomma, conoscere la tua posizione riguardo il pensiero di Marco Vannini. Personalmente, pur non avendo letto l'ultimo libro di Vannini, non ho troppo gradito la critica, apparsa su Repubblica, di Vito Mancuso, che, peraltro, è di solito autore di pagine più equilibrate.

Grazie Carlo per i complimenti e per tutte le volte che hai partecipato alla Cittadella, offrendo gratuitamente dignità alle mie piccole riflessioni. Preferisco dare massima visibilità a questa risposta e così cercare di confessarmi (nell'accezione di Agostino e Rousseau) esponendomi senza riserve. L'articolo di Vito Mancuso è stata una sorpresa anche per me, se non altro perchè scritto da un autore che ha avuto varie occasioni per mostrare un carattere mite e un'impostazione moderata. Che ci sia forte distanza tra un allievo di Teilhard de Chardin, come Mancuso, e di Meister Eckhart, come Vannini, è normale, ma davvero non riesco a spiegarmi la volontà di sdoganarlo davanti al grande pubblico, come se Vannini fosse chissà quale personaggio in vista. Il giorno in cui uscì il pezzo di Mancuso, un amico me lo segnalò e scrissi subito a Vannini, comunicandogli il mio stupore, notando come non fosse solo mio.

Veniamo alla mia posizione. Guarda, non ho problemi a dire pubblicamente che mi sento in pieno un neoplatonico. E non lo dico perchè da anni sto studiando la tradizione neoplatonica, ma, piuttosto, all'inverso: studio la tradizione neoplatonica perchè ne sono convinto dal punto di vista razionale e la vivo attivamente, giorno per giorno; è stata una vera e propria conversione. Ma, appunto, vivendola, mi confronto quotidianamente con i limiti e con le contraddizioni della mia concezione di vita. Questo lo scrivo per sottolineare come il mio rapporto con le parole di Vannini e dei suoi autori non sia semplicemente da studioso/studente di un testo di dottrine filosofiche, ma sia tutto immerso nell'esperienza quotidiana: è lì che si confutano e si confermano le idee. Ora, ovviamente questa tradizione neoplatonica, nella quale mi sento perfettamente inserito, è amplia e ha differenti indirizzi e modelli. La concezione di Vannini è radicalmente Plotiniano-Eckhartiana, ossia tutta filosofica, mal disposta verso tutto ciò che non è procede razionalmente, così come la mitologia biblica - Vannini ne parla nello stesso senso di Spinoza - o le usanze e le antiche tradizioni. E' una posizione, per così dire, progressista e, paradossalmente molto vicina ad un certo Illuminismo, almeno il buon illuminismo.

Alla morte di Plotino, all'interno della scuola di Roma si formarono differenti correnti e punti di vista. Il suo allievo prediletto, Porfirio, spesso si scontrò con i cristiani-gnostici e contro quei platonici che stavano cercando di adattare il pensiero di Plotino o alle tradizione romane o persino a quelle orientali - penso alla teurgia di Giamblico. Ma non solo, in futuro molti neoplatonici migreranno verso il cristianesimo (stupendo il trattato "Contro i Cristiani" di Porfirio e Celso) e persino cercheranno di realizzare una koinè con la tradizione ebraica. Uno di questi, proveniente dalla antica scuola di Alessandria, Filone, trovando sulla sua scrivania sia i testi neoplatonici sia i testi biblici, tradusse l'incipit del Vangelo di Giovanni in greco e diede così avvio ad una lunga tradizione di teologia cristiana. Questi piccoli esempi vogliono solo indicare come le grandi correnti e la grande filosofia possa avere delle posizioni differenti al suo interno, pur restando nell'unità della scuola filosofica. Ecco che molto spesso possono formarsi delle correnti di pensiero, che si riferiscono in particolar modo ad un filosofo piuttosto che ad un altro.

Vannini, dicevo, è un plotiniano-ekhartiano. Mi sento molto affine a questo tipo di concezione ma non la condivido fino alle conseguenze ultime. Difatti si può dire, spero di non risultare presuntuoso, che prendo come mio punto di riferimento il Cusano. Credo che la tradizione biblica sia parte integrante della cultura occidentale nella quale siamo immersi e come tale essa debba andare vagliata fino alla fine. Ma questo non significa, hegelianamente, pensare una conciliazione di Platonismo ed Ebraismo: tutt'altro! Credo che il futuro del Cristianesimo o della religione della ragione sia legato alla nostra capacità di tenere aperte le differenze, di tener vive le contraddizioni e saper vivere nell'aporia che crea vita e movimento. Senza questo "potere del negativo" tutto sarebbe morto, statico, banalmente dogmatico, appunto. Un vero platonico va ad ingaggiare con il proprio passato una vera e propria lotta, una contra-dizione, va ad abitare l'aporia che che ci fonda.

Commenti

Carlo ha detto…
Grazie per la lunga risposta pubblica, Andrea. Appena possibile ne riparliamo.
Unknown ha detto…
Ah, per inciso: un grande Cusaniano dei giorni nostri è il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari.
Carlo ha detto…
Anche io resto molto perplesso di fronte alla tradizione biblica. Al di là della questione della sua parziale insussistenza storica (segnalo "Le tracce di Mosè" su questo problema), resta come un macigno, almeno per me, che il testo biblico è alla base delle "guerre sante" e delle "pulizie etniche". Le vicende, molto probabilmente leggendarie, della conquista della Terra Promessa sono un chiaro esempio di ciò. Anche l'Islam ha attinto da quella fonte per proclamare le sue "guerre sante".

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