Bertrando Spaventa

Ieri pomeriggio sono stato alla presentazione delle Opere di Bertrando Spaventa (1817-1883), pubblicate lo scorso anno dalla Bompiani, in una pesante quanto importante edizione da circa 3000 pagine, uscita nella collana Il pensiero Occidentale, che oramai da tempo propone questi lavori di grande impegno. A relazionare sulla figura del mio corregionale Bertrando Spaventa, erano presenti Vincenzo Vitiello e il giovane curatore dell'opera, Francesco Valagussa. Volevo portare la mia piccola testimonianza della relazione di Vitiello, che ha illuminato la Sala consiliare della Provincia di Chieti con una riflessione di grande profondità teoretica sulla prima triade della hegeliana "Scienza della Logica", uno dei testi più alti della sua sterminata produzione. Seduto, ahimè, tra le ultime file, mi rammarico di essere arrivato, al solito, con qualche minuto di ritardo e non esser perciò riuscito a posizionare il registratore sulla scrivania dei relatori: dovrete accontentarvi di pochi sprazzi.

Tra le righe della relazione di Vitiello, si diceva, emergeva la filosofia più alta e con Spaventa prendeva nuova vita Platone, con l'eterno problema della relazione tra Essere e Pensiero; allo stesso modo il fuoco veniva allargato di tanto in tanto sulla logica, sulla fenomenologia o, trovando facile leva sulle Lettere di Spaventa, sul rapporto che la filosofia poteva e può intrattenere con la storia e con le scienze. Ma quale contributo alla storia della filosofia ha fornito Betrando Spaventa? E in particolar modo nelle letture del Sistema hegeliano, quale novità? Quale merito? Spaventa è difatti un autore di rilievo negli studi hegeliani: ha avuto il merito di riportare l'attenzione sull'introduzione al Sistema, quella Fenomenologia dello Spirito troppe volte ridotta a mera, appunto, introduzione, anche nelle letture dei grandi interpreti, precedenti e posteriori allo Spaventa - Benedetto Croce, ad esempio, che si spinse fino all'ironia. Eppure questo elemento sembra riservato alla cerchia non troppo vasta degli specialisti, che non difficilmente può catturare un ascoltatore meno addentro alle tematiche hegeliane, come il sottoscritto; ad entusiasmare l'ascoltatore non può essere tanto un merito scientifico, quanto - e questo in Spaventa sempre esser preminente - un pensiero d'alte vette, spesso slegato, come accennava Vitiello, dalla mera analisi filologica, nella quale l'Accademia italiana si sta semrpe più rinchiudendo.

Ad entusiasmare l'ascoltatore è l'acribia filosofica, l'ampiezza della riflessione su quei Presupposti inafferrabili a cui la logica hegeliana rimanda. D'altronde è la questione più volte accennata sull'Inizio del pensare, è la domanda sempre rinnovata ad ogni passo sulla possibilità del pensiero: come può esistere un dato" fuori dal "pensato"? E' il tentativo, sempre ripercorso dai grandi maestri, di superare il pensato a partire dal pensiero per attingere a quel Presupposto, che Spaventa sembra indicare - sottolinea Vitiello - quasi riscoprendo Plotino dopo Hegel. E ancora, come non rimanere stupiti dal tentativo di semantizzare questa vexata questio confrontandosi con il discorso scientifico, così instabile nei suoi presupposti, oppure con la ricerca storica, dove "dati" e "fatti" più sembrano rigorosi e meno sono problematizzati nella loro essenza, nella loro possibilità di sussistere in un logos che li assuma come tali, sapendoli pensare, appunto, come "dati" e "fatti". Il grande problema hegeliano, ripreso da Spaventa, sembra eclissarsi con Gentile, che, mentre rèlega Spaventa a semplice lettore di Hegel, illude le questioni dell'Inizio rovesciando il Sistema. Quello di gentile è un altro idealismo, che non è il caso di strattare in questa sede. A fine serata ciò che rimane aperta è quella questione lì, che, con le parole di Bruno Forte, intervenuto tra gli ascoltatori, scalfisce il pensiero come la lancia sul costato del Cristo, da cui sgorga il sangue della vita e del pensiero.

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