Massimo Cacciari, I San Francesco di Dante e Giotto

da Il Corriere della Sera
recensione di Pierluigi Panza

Assisi è il cantiere di nascita dell'Europa moderna. E San Francesco colui che ha avviato il faticoso viaggio che porta al divino partendo dall'umano. Un viaggio tormentato e di sentieri interrotti, che ha accompagnato la storia dell'individuo dall'Umanesimo al nichilismo contemporaneo. Per queste ragioni il filosofo Massimo Cacciari - che non ha mai abbandonato l'interrogazione sui fondamenti - individua in San Francesco, e nelle prime interpretazioni su di lui, l'origine del dipanarsi di narrazioni sulla coscienza e il destino europeo.

Nel suo nuovo libro, Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto (Adelphi, pp. 86, 7) Cacciari muove alla definizione del «suo» San Francesco alla luce di una conoscenza bibliografica rigorosa, che passa dagli studi di Paul Sabatier a quelli di Henry Thode. E muove per mostrare un Francesco più complesso di alcune interpretazioni postmoderne, che hanno fatto di lui ora un profeta socialista ora un rivoluzionario New Age. Per raggiungere il suo obiettivo, Cacciari interseca le strade tracciate dai due «maggior fabbri del volgare europeo», cioè Giotto e Dante, sulla figura del poverello. E racconta il conflitto d'interpretazione della rivoluzione francescana innescato dai due.

Giotto e Dante sono entrambi cattolici, nati una quarantina d'anni dopo la morte del Santo (1226). E il loro occuparsi di Francesco è già una testimonianza di come la figura del santo fosse percepita come coesa alla Chiesa. Ma i due fabbri non riescono a dare del tutto ragione del «crocefisso di Assisi», perché la sua forza è troppo vasta: entrambi lo traducono e lo tradiscono. Giotto rappresenta Francesco negli affreschi della Basilica Superiore di Assisi, rifacendosi alla Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio, e a Firenze nella Cappella Bardi in Santa Croce. Dante lo colloca nel Cielo degli spiriti sapienti (Paradiso, XI canto) e ne affida l'elogio a San Tommaso d'Aquino.

«Quella giottesca sembra una visione più ingenua e fresca; in realtà è una precisa operazione politica», sottolinea Cacciari. Nel ciclo di affreschi della Basilica superiore di Assisi, infatti, manca l'incontro di Francesco con i lebbrosi, il dono delle stigmate e la scena del mantello donato al povero è edulcorata, sembra uno scambio tra cavalieri. Anche l'episodio della morte non mostra Francesco nudo sulla nuda terra della Porziuncola. «In sintesi, una rappresentazione omogenea con le esigenze del primo Papa francescano (Niccolò IV): Francesco è in perfetta armonia con la Chiesa e si inchina ad essa».

In Dante la prospettiva è diversa. Francesco è l'alter Christu , che riceve le stigmate sulla Verna. Non si prostra, ma sottopone regalmente al Papa la sua Regola. Non fa miracoli, ma è il serafino di una religione quasi solare («non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Orïente, se proprio dir vuole»). In Dante, Francesco è in guerra con le forze che hanno trasformato il soglio di Pietro in una Babilonia e muore povero e nudo come «profeta» di un nuovo ordine. Nella Commedia viene trattato al fianco di San Domenico, perché Dante cerca nel cristianesimo una concordia di opposti e apprezza sia la forza rigeneratrice della povertà sia quella della sapienza domenicana. Ma la preferenza del poeta va a Francesco e alla sua follia profetica, anche se Dante, e neppure Giotto, paiono comprendere sino alle estreme conseguenze la forza della rivoluzione della povertà: «Povertà è la violenza di chi vuole il Regno. Soltanto il povero è veramente potente», scrive Cacciari; quello di Francesco è uno «svuotamento del sé» simile a quello voluto da Dio per creare l'universo.

Un libro erudito e intenso questo Doppio ritratto, nel quale Cacciari fa anche incontrare le interpretazioni di Francesco con i filosofi a lui cari, come Nietzsche. E scopre Francesco sotto le spoglie del mendicante «da cui occhi parlava la bontà in persona» incontrato da Zarathustra. Con il quale condivide la nausea verso avidità, cupidigia e orgoglio. E riscoprire anche nell'«Anticristo» Zarathustra il volto di Francesco significa che il messaggio del poverello di Assisi agisce ancora oggi sul doppio piano delineato da Giotto e Dante.

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