Una teologia per la vita

Questo pomeriggio ho assistito alla presentazione del libro Una teologia per la vita di mons. Bruno Forte, a Francavilla al mare. L'incontro era stato organizzato dalla Società Filosofica Italiana e l'occasione ha fatto sì che mons. Forte stendesse un discorso dalle maglie molto ampie e con l'inconfondibile pacatezza, il senso di serenità e, se non è azzardato aggiungerlo, con l'impronta hegeliana che d'altronde lo ha sempre contraddistinto. Ma anziché esporre una sorta di sunto della giornata, preferirei tradurre per iscritto qualche considerazione che i numerosi spunti mi hanno portato ad avanzare. Un tema a mio avviso decisivo della complessa argomentazione presentata è la concezione della vita - si intuisce dal titolo stesso del libro - come di un incessante movimento che si nutra del "negativo" - direbbe Hegel - cioè di momenti di caduta, di negazione della realtà posita dinanzi a noi; della contraddizione, in altri termini, tra gli aspetti della vita che appaiono inconciliabili in questo mondo, come l'amore e il sacrificio, come il dolore e il ringraziamento, il dono della grazia e l'intelligenza (sine dolore non vivitur in amore, citando l'Imitatio Christi) ; un movimento, che in Hegel è la Storia, e che per Forte rende possibile pensare la Vita come mai determinata, mai de-finita da un quid, ma sempre continuo oltrepassare se stessi alla ricerca della pienezza. Con un argomentare meno filosofico: la vita come continuo percorso, come un cammino fatto di asperità ed esperienze dinanzi a cui l'uomo è chiamato a mettere in gioco tutto il suo essere.

Il passo successivo che compie Forte e che dal mio personale punto di vista appare davvero interessante per la prospettiva ontologica che espone è che egli mette in relazione questa concezione con un Dio che-è-madre e che quindi mantiene e sostiene la vita; Dio è dunque come una madre che tiene un bimbo in grembo, e che benché il bimbo non la veda con lo sguardo, essa gli dona nutrimento e cura. Questa metafora permette a mons Forte di aprire il tema della rivelazione come (etimologia a lui cara) re-velatio - cioé come s-velare (i) ma anche ri-velare (ii), e non semplicemente Offenbarung (i). Forte ipotizza poi che Hegel si ostini a leggere il Cristianesimo come "religione positiva" in quanto egli tenesse presente la Rivelazione solo come Offen (aperto)(i), ovvero come un qualcosa che soltanto "dispiega", e non che, al contempo, - come suggerisce il secondo senso del termine revelatio (ii)- "vela", "nasconde", "tiene distante", alimentando così la curiositas filosofica e il desiderium Sapientiae. In realtà quello che invece mi stimola a pensare di questa prospettiva è che interpretando - suppongo - i celebri passi di Giovanni 1,14 ("e Dio abitò in mezzo a noi") e 14,20 ("io sono nel Padre mio e voi in me ed io in voi") sembra far riferimento a Paolo ("In Lui viviamo, esistiamo, ci muoviamo") e ad una concezione fortemente platonica. L'idea è appunto che questo movimento della Vita sia contenuto entro un grembo divino che davvero ci sostiene - che è appunto vero Grund, o, Essere; e che quindi Dio non sia né Puro Hen sciolto dalla creazione, né Motore Immobile, né Totalmente altro dal mondo, ma che esso contenga il mondo, lo permei ovunque; che sia Totalità non come un "Intero" o Nulla, bensì come un Uno-Tutto: Deus Trinitas, che sa il creato come manifestazione stupenda della relazione di amore interpersonale dei Tre; ovvero: Tutto in tutto (quodlibet in quolibet), dove ogni sua parte contenga il Tutto alla maniera dell'Universale e non come spicchio di una torta suddivisa in fette. Argomentazioni, queste di Forte, care a tradizioni filosofiche che spesso abbiamo commentato nella Cittadella Interiore e nelle quale troviamo ancora spunti insuperabili per la Vita odierna.

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