Sul creazionismo
Oggi vorrei rapidamente commentare un recente testo di Michele Nicoletti, La politica e il male, Morcelliana, Brescia 2000 (qui una scheda). Ho avuto occasione di leggerlo recentemente e mi è sembrato davvero interessante per la capacità di affrontare le questioni in maniera trasversale ossia evitando di assumere uno schema manualistico benchè spesso l'obiettivo della trattazione lo suggerisca. Vorrei segnalare in particolar modo la parte prima del testo, che si presenta sotto il locus classico "Analitica del male e teoria politica", perchè le riflessioni portate avanti sulla dimensione costitutiva della violenza per la fondazione della città offrono, credo, ottimi spunti di riflessione. Il mio apprezzamento è dovuto all'importanza oggettiva - ma anche di mio gusto personale - di una riflessione che sappia tornare (o saltare) all'origine storico-mitica di un evento o di una relazione quale il rapporto tra la politica e il male. Nicoletti tratta in particolar modo la genesi della fondazione della città di Enoch da parte del fratricida Caino, spinto da invidia, da una forma di male già pre-esistente che si intromette prima nella relazione tra la creatura e il principio (mito di Adamo ed Eva) e poi nel rapporto tra la creatura, Caino, e un suo simile, anzi, un suo fratello, Abele. In questo contesto al Dio ebraico appare paradossalmente vicino il Demiurgo platonico del mito raccontato nelle pagine del Timeo, dove il Dio crea senza invidia perchè è bene e questo donarsi appare come costitutivo dell'esser-divino. Nel mito del Genesi, Caino viene condannato così ad esser "ramingo e fuggiasco": nessuna vendetta del Dio, nessuna violenza ma freno alla violenza. Caino cade dalla Civitas Dei per propria colpa e fonda la città terrena, che chiama Enoch, come suo figlio. Caino vuole legarsi alla terra con un atto di superbia: perduto il paradiso egli vuole dimostrare di potercela fare da solo, di potersi dare una patria, un nome e un'identità e vuole legarla proprio a quella terra, da dove "grida" ancora il "sangue del fratello". Non a caso ogni fondazione è un atto di consacrazione perchè dopo la caduta solo tramite la città è ora possibile giungere alla salvezza. Ecco tutta la tematica dell'escatologia politica, a cui Nicoletti darà amplio spazio nei capitoli finali splendidamente dedicati agli angeli, seguendo l'impostazione del De Civitate Dei di Agostino. Questi cenni, certo confusi e arruffati, mi servivano solo per porre la domanda sull'origine: Ma perchè dar spazio al mito per scavare intorno alla nostra origine? Nicoletti dà ragione di questa scelta motivandola in maniera affine allo Schelling della Filosofia della mitologia, secondo il quale non esiste comunità senza mito e perciò è necessario tornare al mito stesso. Ma allora interroghiamoci: perchè dar voce ad un insieme di racconti - perchè il mito non spiega nè dimostra bensì si limita a raccontare e pretende in noi il silenzio dell'ascolto - senza il ben che minimo fondamento scientifico? E' abito della "scienza" il pensare sull'Inizio? La mitologia è solo un'approccio infantile, passato, che magari può avere valore per un rapporto non necessario come quello tra il male e la politica? E' questa una questione da abbandonare persino con vergogna per averla seguita? In definitiva, allargando e spostando, forse indebitamente, il tiro: è possibile dar voce solo alla teoria scientifica come accade per il darwinismo (per entrare nel dibattito americano attuale) oppure forse anche dalla "dottrina della creazione" - che poi non è una dottrina nel senso scientifico come la si vuol far passare - possiamo imparare qualcosa? Tutto sta, forse, a voler ascoltare e voler accettare di rimanere in silenzio per un po' e far risuonare il mito. E forse per qualcuno proprio questo stare in silenzio oggi appare inaccettabile.
Commenti
Volevo inoltre precisare che non sto prendendo la parte dei "creazionisti" americani anche perchè credo che facciano un cattivo servizio al mito biblico. Riguardo la "dottrina della creazione" sscrivevo difatti "che poi non è una dottrina nel senso scientifico come la si vuol far passare". Costoro non sanno leggere, a mio avviso, il mito perchè non sanno farlo risuonare, non sanno stare in silenzio ad ascoltare (ecco il senso del silenzio a cui facevo riferimento). Il mito, come giustamente scrivi anche tu, "non si preoccupa delle dimostrazioni, ma solo dei racconti" ed è per questo che è necessario lasciarlo essere, farlo parlare senza legarlo ad una nostyra concezione della scienza. E forse è proprio questo uno dei motivi che spinse Darwin a non entrare nel merito dell'Inizio.