Recensione a Karl Löwith, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia
Il celebre volume di Karl Löwith, Meaning in History. The Theological Implications of the Philosophy of History, The University of Chicago Press, Chicago 1949 è stato recentemente riproposto al lettore italiano dalla casa editrice Il Saggiatore con il titolo Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia. Il testo, come riferisce Löwith stesso nella sua breve premessa, ha l’ambizione di rispondere ad una questione sollevata in un suo scritto precedente, Von Hegel zu Nietzsche, ossia «l’essere e il “significato” della storia sono determinati in generale dalla storia stessa, oppure da che cos’altro?». Ecco che sin dalle prime pagine Löwith si muove con una buona dose di scetticismo attraverso le tappe decisive della storia filosofica e culturale dell’Occidente – Marx, Hegel, Vico, Gioacchino da Fiore, Agostino – sino all’orizzonte lontano delle origini greche e/o ebraiche. L’intento dell'autore è mostrare come, in realtà, nei secoli passati «l’essere e il “significato” della storia» siano stati determinati sulla base di convinzioni non giustificate né giustificabili razionalmente e che la tradizione ha assunto man mano in maniera acritica e spesso inconsciamente.
La filosofia della storia o più in generale l'interpretazione della storia è per Löwith «un tentativo di comprendere il senso dell'agire e del patire degli uomini in essa». Gli uomini hanno sin dalle origini reclamato un senso a questo dolore e da due nuclei culturali differenti sono stati formulati altrettanti tentativi di risposta che sostanzialmente sono rimasti insuperati: quella greca (il cerchio) e quella ebraico-cristiana (la croce). Il cerchio, perché per i greci il mondo nasce sì dal kaos ma è kosmos, bello e ordinato a cui nulla va né aggiunto né tolto e che soprattutto si ripete con periodica regolarità. L'accadere del tempo non può che essere allora pensato secondo un sistema naturalistico che celebra la perfezione del cosmo ordinato secondo leggi necessarie e immutabili. Non stupisce allora come per i greci l'evento umano sia inscrivibile all'interno di un ciclo eterno da osservare (theorein) e accettare: « essi erano presi dall'ordinamento visibile e dalla bellezza del cosmo naturale, e la legge cosmica del divenire e del fluire delle cose costituiva anche il modello della loro comprensione della storia». La vicenda umana è dunque un mero accidente che va a inserirsi in un sistema ciclico necessario. Il secondo modello è invece tipico della concezione ebraico-cristiana, per la quale «storia significa anzitutto il divenire della salvezza». Il messianismo giudaico e l'escatologia cristiana riposano infatti sulla stessa concezione lineare della storia. L'accadere storico ha un inizio ex nihilo, ossia la creazione, e si sviluppa sotto la guida della Provvidenza lungo il fango dei secoli sino al suo compimento (eschatòn). Il cristiano spera in una fine che restituisca significato al passato: ogni evento può essere letto in vista dell'adventum del Regno di Dio, in cui il mondo sarà finalmente redento. Tuttavia «la promessa della gioia e del trionfo che riempie il Nuovo Testamento non può esser separata dal nuovo significato della sofferenza. “L'umanità, dice Lèon Bloy, cominciò a soffrire sperando, e perciò noi parliamo di un'era cristiana”». La concezione cristiana della sofferenza ha avuto terreno fertile per radicarsi nelle profondità della tradizione occidentale sino ad essere assunta – tesi di Löwith – come presupposto teologico durante tutto il corso della filosofia della storia.
Queste convinzioni di stampo ebraico-cristiano hanno determinato la percezione umana del tempo e degli avvenimenti storici, quindi l’agire stesso dell’uomo nella storia e sono perciò state decisive per lo sviluppo della cultura occidentale. Löwith ha buon gioco nell'evidenziare come da Agostino fino a Burckhardt i filosofi hanno assunto i tratti essenziali dell'interpretazione biblica della storia: essi hanno in realtà scritto ampli capitoli di teologia della storia. Per il nostro autore, anche coloro che hanno esplicitamente rifiutato la tradizione ebraico-cristiana hanno fatto cripto-teologia perché al fondo delle loro concezioni brillavano quelle categorie filosofiche – progresso, linearità, compimento etc. – che da un lato si situano storicamente nella tradizione teologica e dall'altro possono solo essere poste e accettate, perché mancano di una giustificazione razionale. In quest'ottica sono da segnalare i capitoli dedicati al pensiero marxiano e agli illuministi francesi, ovvero a coloro che più di altri hanno avanzato la pretesa di rompere con la propria tradizione. Dal punto di vista di Löwith «il materialismo storico è una storia della salvezza espressa nel linguaggio dell'economia politica»: Marx è spinto dalle idee di Libertà e Giustizia ed inoltre tratteggia come fine necessario della storia un mondo comunista tanto simile ad un «Regno di Dio senza Dio». Egli sin dal Manifesto palesa chiaramente i caratteri fondamentali del messianismo e del profetismo ebraico, secolarizzati nei concetti moderni di Progresso e Libertà. Nei pensatori del XVIII secolo, oltre alle idee di Progresso e Libertà appena esposte in Marx, è possibile rintracciare un elemento tipicamente cristiano nella volontà di rottura radicale con il passato. Löwith nota difatti che è stato proprio il Cristianesimo ad introdurre la prima discontinuità storico-filosofica e teologica nel momento in cui si è posto come nuovo patto con Dio. Secondo questa lettura il razionalista moderno vive in un continuo paradosso: nel suo imporsi come anti-cristiano in realtà sta ripercorrendo l'iter del cristianesimo.
Dati questi accenni è bene precisare che l'intento di Löwith non è certamente dimostrare come il mondo non possa che essere cristiano – questa è la posizione di Bossuet, aspramente criticate nel testo – bensì egli vuole condurci con occhio disilluso sino all'origine delle comuni concezioni di tempo e storia. Ora, in questo momento storico, è possibile smascherare le teologie e le cripto-teologie poiché per Löwith «ci troviamo più o meno alla fine del pensiero storico moderno».D'altronde «il pensiero storico moderno […] elimina dalla sua concezione progressiva gli elementi cristiani della creazione e del compimento, mentre d'altro lato assimila dall'intuizione classica del mondo l'idea di un movimento infinito e continuo, privandolo della sua struttura circolare. Lo spirito moderno è indeciso se adeguarsi alla mentalità cristiana o quella pagana. Esso guarda il mondo con due occhi diversi: quello della fede e quello della ragione. Perciò la sua visione è necessariamente confusa, in confronto al pensiero greco e a quello biblico».
La filosofia della storia o più in generale l'interpretazione della storia è per Löwith «un tentativo di comprendere il senso dell'agire e del patire degli uomini in essa». Gli uomini hanno sin dalle origini reclamato un senso a questo dolore e da due nuclei culturali differenti sono stati formulati altrettanti tentativi di risposta che sostanzialmente sono rimasti insuperati: quella greca (il cerchio) e quella ebraico-cristiana (la croce). Il cerchio, perché per i greci il mondo nasce sì dal kaos ma è kosmos, bello e ordinato a cui nulla va né aggiunto né tolto e che soprattutto si ripete con periodica regolarità. L'accadere del tempo non può che essere allora pensato secondo un sistema naturalistico che celebra la perfezione del cosmo ordinato secondo leggi necessarie e immutabili. Non stupisce allora come per i greci l'evento umano sia inscrivibile all'interno di un ciclo eterno da osservare (theorein) e accettare: « essi erano presi dall'ordinamento visibile e dalla bellezza del cosmo naturale, e la legge cosmica del divenire e del fluire delle cose costituiva anche il modello della loro comprensione della storia». La vicenda umana è dunque un mero accidente che va a inserirsi in un sistema ciclico necessario. Il secondo modello è invece tipico della concezione ebraico-cristiana, per la quale «storia significa anzitutto il divenire della salvezza». Il messianismo giudaico e l'escatologia cristiana riposano infatti sulla stessa concezione lineare della storia. L'accadere storico ha un inizio ex nihilo, ossia la creazione, e si sviluppa sotto la guida della Provvidenza lungo il fango dei secoli sino al suo compimento (eschatòn). Il cristiano spera in una fine che restituisca significato al passato: ogni evento può essere letto in vista dell'adventum del Regno di Dio, in cui il mondo sarà finalmente redento. Tuttavia «la promessa della gioia e del trionfo che riempie il Nuovo Testamento non può esser separata dal nuovo significato della sofferenza. “L'umanità, dice Lèon Bloy, cominciò a soffrire sperando, e perciò noi parliamo di un'era cristiana”». La concezione cristiana della sofferenza ha avuto terreno fertile per radicarsi nelle profondità della tradizione occidentale sino ad essere assunta – tesi di Löwith – come presupposto teologico durante tutto il corso della filosofia della storia.
Queste convinzioni di stampo ebraico-cristiano hanno determinato la percezione umana del tempo e degli avvenimenti storici, quindi l’agire stesso dell’uomo nella storia e sono perciò state decisive per lo sviluppo della cultura occidentale. Löwith ha buon gioco nell'evidenziare come da Agostino fino a Burckhardt i filosofi hanno assunto i tratti essenziali dell'interpretazione biblica della storia: essi hanno in realtà scritto ampli capitoli di teologia della storia. Per il nostro autore, anche coloro che hanno esplicitamente rifiutato la tradizione ebraico-cristiana hanno fatto cripto-teologia perché al fondo delle loro concezioni brillavano quelle categorie filosofiche – progresso, linearità, compimento etc. – che da un lato si situano storicamente nella tradizione teologica e dall'altro possono solo essere poste e accettate, perché mancano di una giustificazione razionale. In quest'ottica sono da segnalare i capitoli dedicati al pensiero marxiano e agli illuministi francesi, ovvero a coloro che più di altri hanno avanzato la pretesa di rompere con la propria tradizione. Dal punto di vista di Löwith «il materialismo storico è una storia della salvezza espressa nel linguaggio dell'economia politica»: Marx è spinto dalle idee di Libertà e Giustizia ed inoltre tratteggia come fine necessario della storia un mondo comunista tanto simile ad un «Regno di Dio senza Dio». Egli sin dal Manifesto palesa chiaramente i caratteri fondamentali del messianismo e del profetismo ebraico, secolarizzati nei concetti moderni di Progresso e Libertà. Nei pensatori del XVIII secolo, oltre alle idee di Progresso e Libertà appena esposte in Marx, è possibile rintracciare un elemento tipicamente cristiano nella volontà di rottura radicale con il passato. Löwith nota difatti che è stato proprio il Cristianesimo ad introdurre la prima discontinuità storico-filosofica e teologica nel momento in cui si è posto come nuovo patto con Dio. Secondo questa lettura il razionalista moderno vive in un continuo paradosso: nel suo imporsi come anti-cristiano in realtà sta ripercorrendo l'iter del cristianesimo.
Dati questi accenni è bene precisare che l'intento di Löwith non è certamente dimostrare come il mondo non possa che essere cristiano – questa è la posizione di Bossuet, aspramente criticate nel testo – bensì egli vuole condurci con occhio disilluso sino all'origine delle comuni concezioni di tempo e storia. Ora, in questo momento storico, è possibile smascherare le teologie e le cripto-teologie poiché per Löwith «ci troviamo più o meno alla fine del pensiero storico moderno».D'altronde «il pensiero storico moderno […] elimina dalla sua concezione progressiva gli elementi cristiani della creazione e del compimento, mentre d'altro lato assimila dall'intuizione classica del mondo l'idea di un movimento infinito e continuo, privandolo della sua struttura circolare. Lo spirito moderno è indeciso se adeguarsi alla mentalità cristiana o quella pagana. Esso guarda il mondo con due occhi diversi: quello della fede e quello della ragione. Perciò la sua visione è necessariamente confusa, in confronto al pensiero greco e a quello biblico».
Commenti
Lowith è un grandissimo studioso e pensatore, e credo che un intuizione di questo genere possa averla avuta (almeno traspare anche dalla tua sintesi, che non ho letto tutta però!!). Sbaglio? :D
Difatti la proposta "scettica" di Lowith è in un certo senso questa:
ritornare ad un concetto ciclico di tempo recuperando la mentalità greca ed "epurandoci" da quella biblica. In un certo senso alla fine della mia recensione il concetto traspare soprattutto quando preciso che per L. è importante smetterla di guardare il mondo con due occhi differenti, uno greco e l'altro ebraico.
La grecità (intendo presocratica) i moderni non la sfiorano nemmeno temo.
PROPOSTA DI LETTURA DEL LIBRO “QUANDO DIO ERA UNA DONNA” DI MERLIN STONE
° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° °
Questa mia proposta di lettura non è un invito ad ap-prendere, ad imparare, cioè il mio intento non è quello di produrre uno sterile o addirittura nocivo accumulo sapienziale.
Che qualcosa ac-cade di per sé non merita un arresto finanche meramente speculativo intorno a ciò che è potuto succedere (sub-cedere) in un “ordine” temporale declinato secondo il modulo-dogma (modulo da modo, misura, norma, canone) dell’astraenza sideral-dispotica: cioè ciò che è accaduto non è intrinsecamente più importante di ciò che eviene, o di ciò che sarebbe potuto accadere, o di ciò che può accadere.
No! Il mio intento è invece terapeutico ed etico, perché è un invito a sottrarti alla mono-dimemsionalità della esecuzione autonomica e/o eteronomica. E’ dunque un tentativo di riattivazione di una dimensione autentica di pensiero.
Pensiero che non è la stessa cosa della capacità di volere, il cui ambito è il bisogno, né è la stessa cosa della capacità di eseguire, il cui ambito è quello della s-oggettivazione, cioè quello della sudditanza e del servilismo.
Pensiero al quale pertanto sono estranee tutte le forme comunicative ipernarrativistiche - impositive e/o lamentose - tipiche del volere solipsistico e delle esecuzioni meccanicistiche.
Pensiero il cui ambito di produzione sono bensì le relazioni estetiche o relazioni originarie-originanti o relazioni de-siderali, e le relazioni sideral-sincroniche, e del quale sono forme esistenziali ed espressive il mito - intrinsecamente laudativo, la logica - intrinsecamente ri-solutiva, ed il ragionamento - intrinsecamente dia-logico.
…Perché l’etica, cioè il ripudio di ogni forma di tecnocrazia, cioè il ripudio di ogni forma di patriarcalismo, sgorga dall’incontro della nolontà con la volontà, dall’incontro del de-siderio con la necessità, dall’incontro del futile con l’utile!
Io valuto che questo libro di Merlin Stone Quando Dio era una Donna merita di essere letto nonostante il fatto che tutto ciò che in esso va oltre i dati puramente ricognitivi viene inficiato dalla assunzione aproblematica di quelli che sono gli elementi ideologico ed operativo specifici proprio del patriarcalismo: la mono-dimensionalità esperienziale (nel libro attraverso correlative griglie interpretative) e la traslazione di significato tra parole chiave della esperienza, così che siamo con-vinti di parlare di religione di politica di etica di amore ecc. mentre in effetti parliamo di altro, e quel che è peggio così che facciamo tutt’altro rispetto a ciò che diciamo di fare.
Ma dopo aver letto questo libro di Marlin Stone certamente risulterà possibile accostarsi con maggiore congruenza anche alle seguenti questioni: 1) Dilagante idiozia falsificazione e mercenarismo la cui fabbrica primaria è costituita da quei nuclei di vincoli sociali strutturati denominati famiglie (da famulus, servo); 2) Competizione ed effetti correlati di marginalizzazione, cioè effetti correlati di privazione, cioè effetti sui quali è fondato il cosiddetto diritto “privato”; 3) Adulterazioni alimentari e inquinamento ambientale e malattie correlate; 4) Sfruttamento psichico ed economico; 5) Violenza cruenta e violenza manipolativa; 6) Conflitti sociali e guerre tra “stati”; Ecc.
Udine, 19 gennaio 2014 Aldo Pagano
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Andrea