Domanda a Cacciari sulla Libertà
La domanda riguarda un tema lui - e a noi - caro, ossia la Libertà, quella che ci è stata donata e che non è a nostra disposizione, così come appare nel mito della Caverna. Cacciari ha assunto il mito platonico come vero paradigma dell'Inizio del filosofare: ci si trova, da una mattina ad un'altra, sciolti dalle catene e si esperisce una libertà donata. Perchè proprio noi? Perchè ora possiamo camminare verso la luce? Da dove arriva questa libertà, così gratuita e così inaspettata, che ci rende possibile il cammino? Tutte queste domande sono, per l'incipit ineludibile di ogni reale esperienza di vita filosofica. E la Libertà? La libertà per essere esercitata a pieno deve farsi comunicante. Noi uomini liberi, sciolti dalle catene, non abbiamo altro modo per esercitare la libertà che ri-donarla a nostra volta, quasi ad immagine del dono iniziale. Ecco perchè il prigioniero che sale verso la luce, coerentemente ritorna a liberare i compagni. La libertà si declina così come un atto di per-dono declinato all'interno di un orizzonte relazionale, ossia politico ed etico. La filosofia è città, ripete Cacciari.
Tuttavia, chiedo, se la libertà è legata a questo per-donare, a questo essere in relazione con un altro, come pensare la libertà espressa da tutti quegli autori che non sono ritornati a per-donare? Non è forse Libertà assoluta quella di Plotino? Il problema di Plotino è proprio l'opposto del ritornare: come poter coerentemente discendere dopo aver toccato la vera patria? - e qui passa l'ineludibile differenza tra il pensiero plotiniano e Dante: lui sa che deve tornare e raccontare. Questo è il suo problema, come esprime nel primo canto dell'Inferno. Non sarà allora libertà assoluta quella di Plotino? E quella di Eckhart, che spro-fonda in quell'io senza fondo che è la propria anima, unico strumento (Aristotele) a noi disponibile per predicare quel rapporto così im-possibile tra Essere e Pensiero, ossia per trovare un luogo alla nostra Libertà.
Commenti
E' quella del saggio che acquisisce euristicamente il dono della verità mediante il dialogo e la relazione e, nonostante corra il rischio di essere denigrato e scacciato, o persino messo a morte, non rinuncia alla gratuità oblativa del permanere nella città, a tornare e restare anche nella caverna tra i suoi discepoli e i suoi carcerieri. Lo fa perchè la verità che cerca è sempre un dono che ha senso solo se condiviso e che risalta dall'esempio incarnato più che da un'astrazione dogmatica. Credo che lo stesso, mutatis mutandis, valga per il Cristianesimo..e la democrazia.
Carlo
Saluti filosofici,
Marco Apolloni
:)
Giampaolo