Le fonti del De Magia di Giordano Bruno

Chi volesse impegnarsi in una breve ricerca delle fonti nel De Magia, noterebbe subito una forte presenza di pensatori platonici, quali Plotino, Porfirio, Avicenna e Ficino; essa è inoltre costantemente intervallata da richiami al De occulta philosophia di Agrippa e al De daemonibus di Psello ovvero a testi appartenenti alla tradizione magica ed ermetica. Ad un successivo approccio all'argomentazione del testo, sembra però evidente come il referente primario di Bruno sia più lo stesso Agrippa stesso che i filosofi platonici; d'altronde appare bensì evidente che l'obiettivo principale di Bruno è sin da subito una convergenza tra la filosofia platonica e la magia elementale, esposta nel primo libro del De occulta philosophia. Non a caso l’incipit del De Magia è dedicato ad una precisa suddivisione e distinzione delle tipologie di mago – dai Trismegisti in Egitto ai Cabalisti, ai Gimnosofisti o ai Sapienti – per poi andare a specificare le differenze tra magia naturale, prestigiatoria, matematica, metafisica, la teurgia e la negromanzia.

L’impressione è che Bruno, attraverso questa immersione nel filone platonico-ermetico-magico, stia preparando il terreno alla presentazione delle proprie convinzioni sulle capacità del mago, quel sapiente che sa intervenire sulla natura e interagire con quella scala degli esseri nella quale, come noto, è situato l’uomo stesso. L’impianto bruniano è decisamente platonico e la scala di esseri che man mano Bruno viene esponendo – Dio, gli dèi, gli astri, i demoni, gli elementi e i composti – affonda le radici in quell’insieme di tradizioni filosofiche e magiche, che fioriscono dalla lettura del Timeo; essa trovano terreno nell’ermetismo e nei Commentari neoplatonici della tardo-antichità, in particolar modo nelle opere di Apuleio, Porfirio e Giamblico – benché la questione sulla presenza e sul ruolo della demonologia nel platonismo sia multiforme e di difficile sistemazione. Queste annotazioni sono importanti per evitare di confondere le diverse scuole platoniche in un unico filone; difatti all'interno dell'Accademia le questioni di “demonologia” furono spesso dibattute e se da un lato assistiamo a un’apertura di determinate correnti neoplatoniche nei confronti della magia – e proprio da lì attingono a piene mani prima Agrippa e poi Bruno –  dall’altro vi è un rifiuto radicale.

Ad esempio, come testimonia Agostino, «Porfirio presenta tali notizie su questo genere di spiriti diabolici e ingannatori – che sopraggiungono all’anima dall’esterno eludendo la sensibilità umana, vigile o assopita che sia – senza esserne troppo convinto, addirittura con un lieve dubbio o sospetto, tanto che le attribuisce ad altri». Il rapporto dei platonici con la magia rimane tutt'oggi molto discusso, poiché se è vero che essa si delinea nel sistema platonico con una coerente sostanzialità ontologica, nella misura in cui è fondata sulla struttura ipostatica dell'Universum, è altrettanto importante sottolineare come essa faccia tuttavia leva sulle antiche dottrine dei Caldei, sulla mitologia pagana e come soprattutto sia fortemente presente nella gnosi, elemento, quest’ultimo, forse determinante a causare una buona dose di diffidenza da parte di alcuni platonici più accorti. L’analisi delle fonti del De Magia non può che situare l’opera di Bruno in questa cornice sterminata nella quale platonismo, ermetismo, antiche religioni e culti sciamanici rivivono una nuova alba. Eppure a complicare la fitta rete di rimandi del testo, interviene una sostanziosa presenza di citazioni bibliche, sparse qua e là per tutta l’opera: se davvero quel virtuoso tentativo bruniano di riplasmare insieme la demonologia e il platonismo appariva ancora come un orizzonte di ricerca possibile, la visione viene ora scombussolata dai rimandi al testo biblico, che, quantomeno a livello teoretico, si situa su un'orizzonte di pensiero de tutto sghembo rispetto alle correnti prima trattate.

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