M. Vannini, Io, la religione e la lettura biblica
Repubblica di ieri, 19 gennaio, ha pubblicato un articolo di Vito Mancuso sul mio Prego Dio che mi liberi da Dio, in cui mi si accusa, tra l’altro, di antigiudaismo. E’ un’ accusa che respingo fermamente, chiamando a testimonianza la mia intera vita di studioso, che ha passato anni a tradurre commentarii biblici: in Israele, nella foresta Giovanni XXIII-Jules Isaac, ci sono cinque alberi piantati in mio onore dall’Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma (Keren Kayemeth Leisrael). Tale accusa si fonda infatti sul metodo di citare frasi mutile, avulse dal contesto, o addirittura di attribuire a me quelle che sono invece citazioni di ben più alte autorità. Quest’ultimo è, ad esempio, il caso della teologia definita come “animalesca”: non da me, ma da Meister Eckhart (da cui il libro stesso prende il titolo), e il contesto spiega bene in che senso: bestialità in quanto ignoranza, giacché la teologia è presuntuoso discorso su Dio, che è invece al di là di ogni possibile discorso. E’ anche il caso del “cristianesimo purificato dall’ eredità di Israele”: citazione, questa, di Simone Weil, altro punto di riferimento fondamentale del libro - e meraviglia che Mancuso lo taccia, visto che le ha dedicato un suo libro: forse teme l’accusa di “sinistro antigiudaismo”?
Mi viene soprattutto rimproverato,a proposito della condanna di Gesù, l’ errore di parlare di “ebrei”, senza specificare che si trattava dei soli sadducei collaborazionisti, mentre invece proprio nella riga precedente a quella incriminata si dice che Gesù fu condannato dal “potere sacerdotale ebraico, alleato di quello politico dei romani”, ovvero la stessa tesi che sostiene Mancuso. E’ comunque evidente da tutto il contesto che non intendo affatto attribuire assurde responsabilità storiche collettive, ma solo sottolineare che il cristianesimo si è costituito sulla affermazione della identità tra Gesù e il Padre - bestemmia, questa, per l’ebraismo, che marcava in modo netto l’opposizione tra le due religioni. Che la storia biblica sia costruita su falsità - invenzione i Patriarchi, invenzione l’ Esodo, invenzione il Tempio, invenzione la Legge , ecc. – e che ciò sia stato fatto per fini politici, è un dato acquisito dalla più moderna ricerca storico-critica (nel mio libro si cita tra gli altri Mario Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza), e che si sia così costruita “una comunità chiusa non solo per religione ma anche per razza” (ibid. p. 391), lo è altrettanto. Perché non si tratta infatti di criticare un libro biblico piuttosto che un altro, accettando ciò che piace e rifiutando quel che dispiace, ma di riconoscere che “la vera suprema bestemmia è chiamare sacro ciò che proviene da mano umana”, come diceva l’umanista Cornelio Agrippa. Nel momento in cui il maggiore editore cattolico italiano presenta la Bibbia come “via, verità, vita” attribuendo a un libro ciò che Cristo dice di se stesso, credo sia legittimo parlare di religione come menzogna, accanto a religione come verità. Di questo, e non d’altro, tratta il mio libro, che perciò rivendica l’importanza della fonte greca, e del platonismo in particolare, nella formazione del cristianesimo.
Platonismo significa il primato dell’interiorità contro l’esteriorità; significa non costruire teologie/mitologie, ma cercare di “farsi simili a Dio” nella giustizia. Significa conoscenza della malizia insita nell’io, nel suo quasi insopprimibile egoismo, e dunque della necessità di una conversione, di una “morte dell’anima”, ossia di un radicale distacco dall’egoità. Significa, in conclusione, l’esperienza tanto della natura quanto della grazia, e del primato di quest’ultima - ed è su questo che il cristianesimo si è fondato, e che la mistica – unica vera erede della filosofia greca – ha mantenuto nei secoli. Non si tratta quindi di me o di Agostino, col suo “gelido pessimismo”, come vuole Mancuso, quanto e soprattutto di Cristo stesso: odiare la propria anima/vita, rinunciare a se stessi, morire a se stessi come muore il chicco di grano e esperimentare la rinascita e la nuova vita nello Spirito, sono infatti i passi e i tratti essenziali del messaggio evangelico e le condizioni della sequela Christi. Se si cancellano questi, Gesù, ormai solo uomo, viene ridotto a un maestro new-age, e il cristianesimo (ma ha senso chiamarlo così?) a una melassa insulsa e insignificante.
Marco Vannini
Mi viene soprattutto rimproverato,a proposito della condanna di Gesù, l’ errore di parlare di “ebrei”, senza specificare che si trattava dei soli sadducei collaborazionisti, mentre invece proprio nella riga precedente a quella incriminata si dice che Gesù fu condannato dal “potere sacerdotale ebraico, alleato di quello politico dei romani”, ovvero la stessa tesi che sostiene Mancuso. E’ comunque evidente da tutto il contesto che non intendo affatto attribuire assurde responsabilità storiche collettive, ma solo sottolineare che il cristianesimo si è costituito sulla affermazione della identità tra Gesù e il Padre - bestemmia, questa, per l’ebraismo, che marcava in modo netto l’opposizione tra le due religioni. Che la storia biblica sia costruita su falsità - invenzione i Patriarchi, invenzione l’ Esodo, invenzione il Tempio, invenzione la Legge , ecc. – e che ciò sia stato fatto per fini politici, è un dato acquisito dalla più moderna ricerca storico-critica (nel mio libro si cita tra gli altri Mario Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza), e che si sia così costruita “una comunità chiusa non solo per religione ma anche per razza” (ibid. p. 391), lo è altrettanto. Perché non si tratta infatti di criticare un libro biblico piuttosto che un altro, accettando ciò che piace e rifiutando quel che dispiace, ma di riconoscere che “la vera suprema bestemmia è chiamare sacro ciò che proviene da mano umana”, come diceva l’umanista Cornelio Agrippa. Nel momento in cui il maggiore editore cattolico italiano presenta la Bibbia come “via, verità, vita” attribuendo a un libro ciò che Cristo dice di se stesso, credo sia legittimo parlare di religione come menzogna, accanto a religione come verità. Di questo, e non d’altro, tratta il mio libro, che perciò rivendica l’importanza della fonte greca, e del platonismo in particolare, nella formazione del cristianesimo.
Platonismo significa il primato dell’interiorità contro l’esteriorità; significa non costruire teologie/mitologie, ma cercare di “farsi simili a Dio” nella giustizia. Significa conoscenza della malizia insita nell’io, nel suo quasi insopprimibile egoismo, e dunque della necessità di una conversione, di una “morte dell’anima”, ossia di un radicale distacco dall’egoità. Significa, in conclusione, l’esperienza tanto della natura quanto della grazia, e del primato di quest’ultima - ed è su questo che il cristianesimo si è fondato, e che la mistica – unica vera erede della filosofia greca – ha mantenuto nei secoli. Non si tratta quindi di me o di Agostino, col suo “gelido pessimismo”, come vuole Mancuso, quanto e soprattutto di Cristo stesso: odiare la propria anima/vita, rinunciare a se stessi, morire a se stessi come muore il chicco di grano e esperimentare la rinascita e la nuova vita nello Spirito, sono infatti i passi e i tratti essenziali del messaggio evangelico e le condizioni della sequela Christi. Se si cancellano questi, Gesù, ormai solo uomo, viene ridotto a un maestro new-age, e il cristianesimo (ma ha senso chiamarlo così?) a una melassa insulsa e insignificante.
Marco Vannini
Commenti
Non scivoli troppo
non condivido quanto scrive. Non so se Vannini legge questo blog, in ogni caso per una buona discussione tra noi "terzi", la volevo invitare ad esplicitare le argomentazioni, grazie.
La mia domanda verte sulla tesi di Vannini sulla necessità per il cristianesimo di abbandonare la "mitologia biblica" per essere "religione della ragione". Volevo, insomma, conoscere la tua posizione riguardo il pensiero di Marco Vannini.
Personalmente, pur non avendo letto l'ultimo libro di Vannini, non ho troppo gradito la critica, apparsa su Repubblica, di Vito Mancuso, che, peraltro, è di solito autore di pagine più equilibrate.