Giù le mani da Ezra Pound
Ieri mattina l'amico Nardino mi ha mostrato un articolo appena pubblicato da Il Corriere della Sera, dal titolo Giù le mani da mio padre Ezra Pound, firmato da Marzio Breda. L'articolo riporta le riflessioni di Mary de Rachewiltz in merito al tormentato rapporto del padre Ezra con l'amata Italia, dove morì nel 1972. L'occasione per il ricordo di Ezra Pound è tutt'altro che meramente storica, perchè sue le riflessioni in merito al meccanismo dell'usura e al capitalismo americano tornano prepotentemente nel 2010, quando l'America è piegata dalla crisi dei mutui e l'Europa vive un clima di recessione economica. Ezra Pound aveva smascherato i difetti di un capitalismo senz'anima, di un commercio in cui l'uomo scompare dalla scena: è un mondo in cui il parametro dimentica la Vita e la Bellezza. Mary de Rachewiltz non si stupisce per il grande "ritorno" di Pound nelle recenti discussioni salottiere in America e in Italia, come se Pound non fosse stato denigrato dagli uni e scacciato dagli altri. Il suo "ritorno" è in realtà una "rivincita" contro i partigiani italiani che lo catturarono a Rapallo e gli americani che non hanno avuto rèmore a spedirlo in manicomio. Ma attenzione: corriamo il rischio di ingabbiarlo ancora. Per Mary de Rachewiltz lo ingabbiano ancora tutti quei ritratti falsi e ipocriti dei partigiani di oggi, così come lo disonora chi porta il suo nome, in quell'abominio di estrema destra chiamato CasaPound. Nulla fu più lontano da Pound che "il gusto per certe «pratiche guerriere» di questi militanti, che, quando «ballano prendendosi a cinghiate», esprimerebbero solo un «vitalismo futurista»".
Non posso che condividere appieno l'analisi di Mary de Rachewiltz, in particolar modo riguardo i tratti violenti e di cattiva memoria che CasaPound continua a offrire al Poeta. Pound era, dice bene la de Rachewiltz, allievo di Keynes ed entusiasta sotenitore della politica dei padri americani, ma, aggiungerei, Pound fu uno dei rari esteti del '900; e non si tratta del «vitalismo futurista» o dell'esteta raffinato radical-chic, bensì di un'estetica della Bellezza, la stessa dei grandi poeti, filosofi e degli spiriti divini, che hanno sempre cercato di pensare la Bellezza e la Vita. Non si comprende nulla di Pound se non lo si riporta nell'alveo della spiritualità, come così bene aveva inteso P.P. Pasolini. Le idee keynesiane di un'economia che sia, appunto, oikonomia, ossia diretta alla casa, alla familia e alla vita dell'uomo, oppure il marxismo dell'altro, così preoccupato nel salvaguardrae la Bellezza della vita, convergono nel sogno di un mondo in cui la Vita sia al centro, in cui l'uomo cessi di sfruttare l'altro uomo in nome dell'arricchimento e del denaro. Questo sogno passava per Pound - e questo è lo stesso tratto conservatore che troviamo in Pasolini - non nella stupida tabula rasa dell'oggi, nè attraverso rivoluzioni violente: la Libertà passa attraverso le grandi intuizioni del passato e la grandezza culturale dello Spirito umano, che con tanta fatica ha forgiato una tradizione altissima, ora in declino. Basta leggere le poesie di Pound, dantesche: sono una festa della cultura e della grande tradizione occidentale, mai salottiera e snob ma sempre nietzschianamente fedele alla terra, radicata nelle umili origini dei nostri antenati, che hanno saputo elevare il loro spirito grazie ad una civiltà contadina e spirituale, la stessa che cantava Pasolini nelle sue composizioni. E in particolare Pound credeva in "un'Italia antiborghese in grado di recuperare la tradizione e rinnovare il Rinascimento"; la politica, Mussolini, lo studio economico, la radio e tutto ciò che ha segnato nella mentalità comune l'intera vita di Pound furono solo strumenti per cercare di tornare allo Spirito. Eppure a stento Pound è riuscito a comunicare il proprio sentire e l'Italia non ha fatto altro che acquisirne i tratti esteriori senza comprenderne l'altezza del messaggio. Agostinianamente, ancora una volta, l'Italia di ieri e oggi ha voluto guardare il dito e non la luna.
Non posso che condividere appieno l'analisi di Mary de Rachewiltz, in particolar modo riguardo i tratti violenti e di cattiva memoria che CasaPound continua a offrire al Poeta. Pound era, dice bene la de Rachewiltz, allievo di Keynes ed entusiasta sotenitore della politica dei padri americani, ma, aggiungerei, Pound fu uno dei rari esteti del '900; e non si tratta del «vitalismo futurista» o dell'esteta raffinato radical-chic, bensì di un'estetica della Bellezza, la stessa dei grandi poeti, filosofi e degli spiriti divini, che hanno sempre cercato di pensare la Bellezza e la Vita. Non si comprende nulla di Pound se non lo si riporta nell'alveo della spiritualità, come così bene aveva inteso P.P. Pasolini. Le idee keynesiane di un'economia che sia, appunto, oikonomia, ossia diretta alla casa, alla familia e alla vita dell'uomo, oppure il marxismo dell'altro, così preoccupato nel salvaguardrae la Bellezza della vita, convergono nel sogno di un mondo in cui la Vita sia al centro, in cui l'uomo cessi di sfruttare l'altro uomo in nome dell'arricchimento e del denaro. Questo sogno passava per Pound - e questo è lo stesso tratto conservatore che troviamo in Pasolini - non nella stupida tabula rasa dell'oggi, nè attraverso rivoluzioni violente: la Libertà passa attraverso le grandi intuizioni del passato e la grandezza culturale dello Spirito umano, che con tanta fatica ha forgiato una tradizione altissima, ora in declino. Basta leggere le poesie di Pound, dantesche: sono una festa della cultura e della grande tradizione occidentale, mai salottiera e snob ma sempre nietzschianamente fedele alla terra, radicata nelle umili origini dei nostri antenati, che hanno saputo elevare il loro spirito grazie ad una civiltà contadina e spirituale, la stessa che cantava Pasolini nelle sue composizioni. E in particolare Pound credeva in "un'Italia antiborghese in grado di recuperare la tradizione e rinnovare il Rinascimento"; la politica, Mussolini, lo studio economico, la radio e tutto ciò che ha segnato nella mentalità comune l'intera vita di Pound furono solo strumenti per cercare di tornare allo Spirito. Eppure a stento Pound è riuscito a comunicare il proprio sentire e l'Italia non ha fatto altro che acquisirne i tratti esteriori senza comprenderne l'altezza del messaggio. Agostinianamente, ancora una volta, l'Italia di ieri e oggi ha voluto guardare il dito e non la luna.
Commenti
Mi fermo perché davvero il discorso è lungo, comunque è sempre un po' discutibile come proliferino i profeti durante le crisi, e scompaiano finché l'onda tira. Ignorando soprattutto come fra alti e bassi il bilancio è senza dubbio positivo (almeno tenendo come parametro la quantità, poi sulla qualità si apre appunto il capitolo delle distinzioni, fra cui quella anima-corpo).
Sulla distinzione tra oikonomia e crematistica non sono d'accordo con te perchè è ben chiara già da Aristotele. Difatti Aristotele sostiene (mi sembra VI libro de la Politica) che quando l'utilizzo del denaro è diretto verso il soddisfacimento del fine dell'autoconservazione dell'oikos, allora si tratta di oikonomia (M-D-M). Quando invece si utilizza il surplus per accumulare altro surplus (D-M-D) con una gestione privatistica e individualistica delle risorse, assistiamo ad una deviazione dell'OIKOnomia (da Oikos, famiglia, nella quale erano compresi: padre, madre, figli, schiavi). Questa deviazione ha le stesse caratteristiche di altre più famose, ad esempio quella da re a tiranno. Tiranno è colui che dimentica di esser Re per un popolo e lo è solo per se stesso, così chi utilizza una gestione crematistica della moneta dimentica che essa è un mero strumento per la sopravvivenza dell'oikos.
Questo poi in verità non ha moltissimo a che fare con Ezra Pound, o con Pasolini, che criticavano il capitalismo su altre basi mi pare, in quanto poeti. Sono gli economisti e i filosofi che si perdono in bicchieri d'acqua a volte. O meglio in retromondi (rimando in generale qui a "Spettri di Marx" e "Donare il Tempo" di Derrida).
Per capirci, non ha senso oggi una critica "materialista" del capitalismo, che si fondi su una distinzione ambigua interna alla materia (fra modi giusti e ingiusti di distribuirla). Bisogna ben prendere tutto il pacchetto o buttarlo via tutto (ascetismo).
PS: Marco sei stato allievo di Federico Caffè! Ti propongo una cosa: ho appena visto su Wikipedia che il 15 aprile è l'anniversario della scomparsa (1987). Ti propongo di scrivere un piccolo articolo per ricordare la figura di Caffè e il suo messaggio, da inserire nella Cittadella. Fammi sapere, nel caso inviamelo per posta e lo pubblico! (info@andreafiamma.it oppure andrea.fiamma@hotmail.it)
Se tu mi fai un elogio della merce, a scapito del denaro per esempio, mi finisci in un materialismo (alla Marx) in cui lo scopo è l'uomo e il suo masticare. Se vuoi uscire dal circolo vizioso, devi uscire dalle opposizioni sterili che possono dare luogo solo a dialettiche hegelo-marxiste. Keynes poi è stato forse il primo economista a riconoscere la potenza positiva della moneta (l'influsso di politiche economiche monetarie espansive in caso di recessione), ma è chiaro che per lui si trattava sempre di un problema di tenere in sesto la produzione, non c'erano questioni etiche.
Io credo che questa questione sia davvero quella più "contemporanea" e vicina a noi, che ci tocca di continuo. Ed è uno dei punti su cui si sono spaccati la testa i migliori filosofi del XX secolo (dalla questione della tecnica in Heidegger a Capitalismo e Schizofrenia di Deleuze). Non credo insomma che si possa più pensare tutto a partire dall'oikos o dall'eigen: dal proprio, dalle essenze. Si è sempre in casa o si è sempre fuori, bisogna ben decidersi, per non finire inevitabilmente nel vortice hegeliano in cui il dentro si riconosce come fuori o viceversa, il denaro come merce o viceversa, l'anima come corpo o viceversa, e siamo sempre chiusi in casa pensando di avere dentro tutto quello che ci serve.
Riassumo e la faccio breve: dal capitalismo (o dall'hegelismo, cioè dove l'investimento ritorna sempre) non si può uscire per isolamento, per chiusura in casa/oikos (come per inciso hanno pensato di fare i fascisti con l'autarchia, e in una certa misura anche col razzismo, quando la casa diventa stirpe o razza) e neanche per umanesimo (c'è sempre questa idea di uomo che pesa su tutto il pensiero occidentale).
A questo punto ogni possibile "riforma" sarebbe comunque solo una questione interna al capitalismo, una questione economica, per cui si decide di correggere l'allocazione libera di mercato per imperfezioni dello stesso. Senza toccare i fondamenti, cioè una concezione dell'uomo del tutto consumista.
Se arrivavo all'aut-aut fra capitale e ascetismo (che somiglia un po' a quello wittgesteiniano linguaggio/mondo-mistica), era per mostrare l'impossibilità di valutare "dall'interno" il capitalismo (anche perché è il capitale che "valuta", o "si rivaluta" per definizione), ovvero l'impossibilità di vie di mezzo. Il capitalismo è solo la forma più pura di umanesimo, Heidegger lo ha mostrato, non è in nome dell'uomo o di altre "case" che se ne esce.
PS: il grande colpo di genio del capitalismo fra l'altro è stato proprio quello, da perfetto hegelismo, di inglobare anche l'ascetismo, per non farlo fuggire dal sistema, il riferimento qui è il saggio celeberrimo di Max Weber.
Forse non è un caso che uno come Pasolini dica (ne "La Ricotta", cortometraggio straordinario) di stare esprimendo il suo "intimo, arcaico, profondo cattolicesimo".