Il vero miracolo della Sacra Sindone

Questa mattina volevo brevemente commentare gli ultimi studi sulla Sacra Sindone e sul valore che possa avere agli occhi di chi, come il sottoscritto, cerca di accoglierla nonostante l'assenza di pregiudizi di carattere devozionale. Come più volte espresso in questa sede, sono convinto che tutto il mondo che ruota attorno alla fede dura e pura, come, in questo caso, le reliquie o i fenomeni miracolistici, non debbano essere mero pasto del mondo dei fedeli, ma possano essere gustate anche dal mondo laico. E non ho timore, benchè, appunto, non sia credente in Cristo, a sottolineare il gusto di affrontare queste esperienze, nelle quali la nostra parola scettica, a volte, non può che vacillare e rimanere rattrappita, persino reclinarsi. D'altronde se proverete ad attraversare alcuni vicoli della Cittadella, potrete raccogliere facilmente il mio scetticismo su questi fenomeni miracolistici, nei quali, come nei riti pagani, l'oggetto assume una vesta sacra, come se il sacrum fosse un qualcosa di materiale, che "entra" o "esce" da qual-cosa o "assume una forma" nel mondo. Meister Eckhart considerava questi fenomeni come le peggiori bestemmie, poichè mancavano totalmente di qualsiasi dimensione spirituale e si raggomitolavano intorno a presunte ancore divine di salvezza - e un filosofo è sempre diffidente con tutto ciò che permette all'uomo di adagiarsi senza combattimento spirituale.

Il caso della Sindone è emblematico: un telo di caratteristiche organiche e chimiche perlomeno "singolari", come ammette la scienza, la cui datazione è ancora in discussione, coinvolge un pellegrinaggio di due milioni di fedeli, che da paesi lontani e con grandi difficoltà intraprendono un cammino, spesso difficoltoso (soprattutto per i malati) al solo scopo di «fermarsi a guardare la Sindone dai 3 ai 5 minuti». Lungi da me tentare un approccio sociologico o persino di stampo psicologista, che sempre poco han compreso di questi eventi; volevo invece invitare il lettore a soffermarsi su questo dato, che, credo, sia sufficente per convincersi a prendere in considerazione la Sindone e il suo vero "miracolo", ossia quello di donare speranza e, davvero, luce a tanti pellegrini. Questo è il miracolo sul quale è bene soffermarsi e che costituisce, ancora oggi come tanti secoli fa, il vero mistero da spiegare. Guai a rintanarsi nel facile quanto banale appello all'ignoranza o alla superstizione: nulla si intende nel mondo accontentandosi di applicare categorie tanto tranquillizzanti quanto soporifere - è lo stesso meccanismo mentale che Eckhart denunciava nei pagani. In questo senso, la Sindone non può che essere un oggetto sacro, il cui potere è lo stesso esercitato dal Cristo: donare fiducia e speranza negli umili cuori degli uomini. Questo, nessuna scienza e nessun "umano" saranno mai capaci di compierlo.

Commenti

Gianni di Gregorio ha detto…
Tanto per chiarire: la datazione della Sindone non é in discussione.
L’esame del Carbonio 14 fatto separatamente in 3 laboratori differenti dice che la data é quella della metà del 1.300 D.C. e casualmente é esattamente la stessa data di cui si hanno le prime documentazioni certe.
Inoltre ci sono decine di altri argomenti che dimostrano chiaramente che il telo é un falso.
L’adorazione di oggetti “pagani” é classica in tutte le religioni, incluse le asiatiche. E’, come tu dici, un bisogno dell’Uomo. Così é e così sarà sempre.
Anche i Santi ed i miracoli lo sono.
In quanto alla miracolosità del telo e di altri oggetti sacri troverete un’ampia documentazione su “Biancaneve e i 7 nani”, su “Cappuccetto rosso” e sul “Mago di OZ”.
sgubonius ha detto…
Credo che tu abbia detto una cosa molto importante, Andrea, parlando di "combattimento spirituale". Riprendendo sempre Eckhart si potrebbe dire che "chi crede non è Figlio di Dio", esattamente come chi non crede, in quanto si adagia in una posizione egualmente dogmatica (anche se la seconda è più disonesta della prima forse). Se c'è qualcosa di straordinario nella Sindone, e di propriamente miracoloso in essa (ma in verità in qualunque cosa), è proprio lo scacco in cui è in grado di mettere l'esistenza.

Se ci fosse l'evidenza (anche scientifica) del miracolo, sarebbe tutto molto banale e misero. Quanto è straordinario è il problema che fa sorgere, il dubbio, le energie che mette in moto, le sollecitazioni anche sugli scienziati. L'importante è rimettersi in gioco, in un conflitto interiore e spirituale, per non morire nell'aridità delle posizioni fisse.
Unknown ha detto…
Gianni grazie per la precisazione, anche se ho sentito ancora scienziati che mettevano in dubbio la datazione del XII/XIII secolo.

Grazie Alberto per aver sottolineato proprio il nucleo centrale del post e so che su questo punto la vediamo allo stesso modo! :)
Gianni di Gregorio ha detto…
La precisazione della datazione é solo un dettaglio, é fin troppo ovvio che si tratta solo di un antico lenzuolo.
Tutte le religioni lasciano un dubbio e che per i credenti sono certezze. Come dubitare di Krishna o di Brahma, o di Muhammad ?
Se la riflessione spirituale dell’Uomo é legata a un telo, ad una croce o ad una statua di gesso allora vuol dire che il cuneo della riflessione si stringe sempre di più. La verità é l’esatto contrario: liberarsi di questi simboli per poter riflettere meglio e liberamente.
Questi simboli, i Santi, i Miracoli, le Apparizioni sono il vero paganesimo della religione cattolica oggi. Una escalation incredibile senza pari in altre religioni e nella storia e non so bene dove ci porterà.
La religione, semmai ce ne fosse bisogno, é tutt’altro.
sgubonius ha detto…
Io credo che non si possa pensare fuori dai simboli ("fuori dal linguaggio" come si usa dire nella filosofia del novecento, ma è una vecchia idea che riluce già dal nucleo concettuale "logos"). E quindi la riflessione non è qualcosa di libero, ma di necessitato: non si pensa per libera decisione di chissà quale soggetto pensante, si è forzati a farlo, proprio dai segni/simboli. La verità viene dopo, è la cancrena del pensiero, tanto quando è dogmatica quanto quando è sperimentale.

Quello che andrebbe criticato alla spiritualità "miracolistica" è piuttosto la sua miseria, nella misura in cui si va incontro al sacro solo per avere qualcosa in cambio. E non mi riferisco solo a chi va sperando di guarire da una malattia, ma anche a chi va sperando di trovare il "sabato dei sabati", di trovare un telos sovrumano al tutto. Questa stanchezza accomuna lo scienziato che vuole "farla finita" con la superstizione e il credente che vuole farla finita coi dubbi (questo va dalla vecchina che ripete i rosari come una macchina fino al fanatico che si fa esplodere).

Quel telo ha senso finché è come un'opera d'arte: uno stimolante, un problema, il simbolo di qualcosa di irripetibile e incatalogabile, indimostrabile e inconfutabile, che rimette sempre in gioco tutto nella sua inafferrabilità.
Marco Di Sciullo ha detto…
In tutti gli uomini vi è sempre stata una "lotta interiore" quando si parla di religione. Credere o non credere è l'eterno dualismo tra la ragione e la fede; tra la materia e lo spirito. Nessuno degli elementi ha mai avuto prevalenza assoluta.Non sono d'accordo con Eckhart ; noi siamo tutti figli di Dio , credenti e non. La Sua volontà muove il nostro divenire. La "fede", quella dei Santi, è un dono di Dio. E' un dono che
non è gratuito; bisogna meritarselo seguendo l'insegnamento di Cristo,giorno dopo giorno. E' figlio di Dio anche Gianni che non accetta e non ammette la Sua esistenza e per contrastarlo argomenta sulle debolezze e la "semplicità" dei credenti e dei relativi simbolismi. Dice bene Sgub " sarebbe troppo banale e misero se ci fosse l'evidenza scientifica del miracolo" ; e dice bene anche quando invita a ri-mettersi in gioco continuamente per non morire nell'aridità delle posizioni fisse. L'acqua stagnante imputridisce ; così come le menti e lo spirito scemano di potenza senza lo studio e la preghiera.Bisogna essere umili e l'umiltà significa aprirsi alla "verità" e non arroccarsi su dogmi scientifici o di fede precostituiti. La fede è gioia e sofferenza nella stessa misura. Tommaso ha creduto quando ha visto e toccato; ha gioito della sua fede e ha pianto della sua fede troppo fragile al cospetto dell'immenso Amore del Maestro. Noi uomini del XXI secolo immersi in un contesto sociale dove impera la cultura "materiale" ci troviamo ancora oggi dopo ben 2000 anni a parlare così di Cristo, con questo grande interesse , dovremmo forse fare una riflessione ; è già forse solo questo un miracolo, un segno del Suo infinito Amore per noi?
Carlo ha detto…
Vero che la Sindone dona speranza a tanti pellegrini. Come anche la Pietra Nera dei musulmani, il Muro del Pianto degli ebrei, le statue delle divinità degli indù e le statue di Buddha dei buddhisti. Ovunque l'uomo ha bisogno di vedere e toccare il Sacro. Da questo punto di vista tutte le religioni sono ugualmente efficaci nel mobilitare le emozioni dei fedeli. Più difficile mobilitare folle intorno alla dura fatica del pensiero, che è compito, inevitabilmente, solitario.
sgubonius ha detto…
Nietzsche diceva che il cristianesimo era un platonismo per il popolo, intendendo probabilmente qualcosa di affine a quanto dici tu Carlo. Il pensatore, lo scienziato, l'artista, generalmente non "necessitano" di un velo sacro su una cosa per interessarsene, per emozionarvisi, vedono l'essere abbastanza pieno di veli già di suo. L'oggetto sacralizzato è un modo per venire incontro, come la messa in scena teatrale (non sarebbe già abbastanza "rappresentazione" il mondo?), nel seicento lo sapevano bene, e hanno messo insieme le due cose (e, ma qui è parere personale, non c'è niente di straordinario come il barocco controriformistico).

Quindi non c'è differenza sostanziale, ci sono gradi di "localizzazione" (Deleuze direbbe territorializzazione) che volgarizzano e impoveriscono lo stato sacro/estetico per cercare di farlo passare in modo commestibile, beninteso che è proprio l'antitesi della commestibilità (bisogna pensare forse all'assenzio di Lucrezio). Sperando che non ricada poi tutto solo nella commestibilità.

PS: la frase di Eckhart è evidentemente un po' caustica, ma si intende dire proprio che essere "figli di Dio" non è sdraiarsi sul letto del fanatismo, ma è continuare a vivere Dio come croce e delizia, cioè amandolo nella sua distanza (in certi quadri barocchi, di El Greco soprattutto, questo è reso benissimo), non rendendolo per l'appunto mai commestibile e banale, pura opnione-doxa (e così richiudo, per capire in cosa siamo sempre nel platonismo).

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