L'identità italiana è contraddizione e perenne movimento

La celebrazione dei 150 anni dall'unità d'Italia si è conclusa ieri senza troppi patemi e seguendo i canoni previsti dalle etichette di Stato; ecco allora che il presidente Giorgio Napolitano si esibisce in un discorso diretto, pulito e coscienzioso. La popolazione stessa sembra aver accolto questo traguardo con (inaspettato?) entusiasmo: sui balconi, per le strade, sugli edicifici pubblici e privati, persino su internet ognuno vuole celebrare a modo suo e stendere il tricolore. In questo senso, allora, la spinta politico-culturale che soggiaceva alle celebrazioni sembra aver avuto effetto: così come si voleva, l'evento è stato anche e soprattutto un compattarsi contro il nemico comune, ovvero contro chi, vestito di verde, ci vuole dividere. Il timore per la secessione, da anni simbolo del secondo partito di governo, ha dunque aiutato a cementare il popolo intorno alla bandiera tricolore, finalmente simbolo unitario. Eh, ma c'è un però. Ancora una volta, difatti, dobbiamo segnalare come il movente più forte che ci fa unire, che tiene sullo stesso fronte le nostre forze contrarie e in perenne lotte tra loro, sia la presenza di un nemico comune, che è comune proprio perchè va ad attaccare non una fazione o un'altra ma i fondamenti stessi dello stare-insieme e del discutere all'interno del contenitore unico della "nazione". L'elemento interessante è che questo tipo di operazione mancava all'Italia da molti anni, considerato anche che, forse, la più grande dimostrazione di unità avvenne tragicamente sul Carso, com'è stato ampliamente notato in scritti più dettagliati e autorevoli di questo. Ma - ci si intenda subito - questa spinta ci sembra del tutto positiva. Per dirla tutta, avevamo bisogno di un qualcosa che ci facesse sentire tutti italiani, dall'Alpe a Sicilia, come recita il nostro inno.

Eppure non possiamo negare come l'unità oggi celebrata porti con sè davvero tante questioni irrisolte, che spesso richiamano al sangue dei "vinti" o, più comunemente, a chi di questa unità e di questa ideologia unitaria ha subìto, durante lo scorrere del secolo e mezzo, il peso e il bruciore delle ferite: gli italiani del "Regno delle Due Sicilie", gli italiani morti delle Foibe, gli italiani uccisi dai partigiani nella resistenza, gli italiani di Salò, quelli morti sotto i folli fuochi degli anni '70; insomma, tutti quegli italiani che per un determinato periodo sono stati considerati di serie B, un po' meno italiani di altri. L'Italia, in nome del comune nemico secessionista dimentica oggi anche loro, come scrivevo soltanto ieri: dignità umana vuole che si ricordino anche i vinti e non solo i vincitori. Questo voler ricordare (ossia, etimologicamente, "porre di nuovo al cuore") non va nella stessa direzione leghista ma, al contrario, è a mio avviso l'unico modo per acquisire sempre più coscienza della nostra Italia malandrina, delle nostre reali radici che, - lo si ammetta con serenità d'animo - sono nella lotta e nel continuo movimento tellurico delle nostre basi; eppure queste "due" Italie di cui parlo, sempre in polemico (da pòlemos) attrito, non significano soltanto lotta e violenza, bensì fanno segno sempre e comunque ad una giustapposizione di forze culturali, politiche e ideologiche - forze che, comunque vada, sono presenti e contribuiscono al rinnovarsi dell'intelligenza italica nei dibattiti, nei temi affrontati e nei valori contrapposti. La vera identità italiana è allora contraddizione e perenne movimento, mai fissità culturale: sempre scontro e incontro del Due.

L'Italia dei primi 150 anni è caratterizzata dal continuo contraddirsi delle sue componenti e, così, da un'identità in continuo movimento (a spirale), in perenne ricerca di un nuovo fondamento su cui ricominciare. In questo senso, dunque, l'unico modo per tenere viva la nostra identità è il ricordare sempre il Due e mai cedere alla tentazione dell'uno ideologico - che è, poi, l'uno della forza. L'identità su cui poggia l'Italia è perciò l'assenza di fondazioni stabili, è quel movimento creativo e vitale che produce, guarda caso, cultura, letteratura e arte e che ha dato vita ai nostri poeti e ai nostri intellettuali. Altro che "fare gli italiani"! L'Italia è fatta da un pezzo e consiste proprio nel non-esser-fatta come nazione fissa, ma nell'essere confine e limite senza limite: è l'eslicarsi di energia creativa. Da questo punto di vista si intende il richiamo al Due del passato: ri-cor-dare sempre i vinti, sempre tenere-assieme i Due della lotta, altrimenti si cade nell'oblìo della falsa pace dei vincitori, il cui mare è tanto pacifico quanto inerto e improduttivo, tanto poco italiano. L'Italia ha un'identità dinamica e aperta ed è in quella cultura che dobbiamo cercare oggi le nostre radici; e, ancora, è in quella cultura che possiamo essere la vera porta dell'Europa verso l'Africa e i paesi del Medio Oriente, dove, inevitabilmente, dobbiamo trovare il "nostro" Oriente.

Commenti

sgubonius ha detto…
Non ti facevo così hegeliano!
Eh in un certo senso sì! Anche se, credo, manchi l'Aufhebung. :)
sgubonius ha detto…
Meglio meglio, Flaubert diceva che la stupidaggine consiste nel voler concludere!!
uniroma.tv ha detto…
Ciao, siamo la redazione di uniromatv, visto il tema del tuo blog volevamo segnalarti questo servizio sulla presentazione dell'ultimo libro di Richard Shusterman sull'estetica pragmatica: http://www.uniroma.tv/?id_video=18388 . A presto!
Grazie mille per il link, gentilissimi! A maggio sarò nella vostra Università per il convegno sulla Trinità. Un saluto.
http://www.identitaeuropea.it/identitaitaliana.html

Anche sul sito di Identità Europea!