Una Bellezza un po' meno bella. Recensione a Scruton.

Sì, lo confesso: sono un ammiratore di Roger Scruton; scrivo "ammiratore" con un po' di imbarazzo, anche se vi è sottinteso un senso filosofico. Sarò più chiaro: seguo i suoi movimenti, lo leggo con frequenza, mi piace ciò che dice e che pensa; lo considero una luce in questo mondo senz'anima. Il che dovrebbe quantomeno spingermi ad un atteggiamento mansueto e acquietato nei confronti dei suoi libri. Nonostante ciò, con rammarico, sono qui a raccontarvi una delusione. Mi pare che l'ultimo testo di Scruton, La bellezza, sia un vero flop. Non me ne voglia l'ottima casa editrice Vita&Pensiero per la cattiva pubblicità, ma questo testo non è di certo ai livelli della penna che il New Yorker definì "il filosofo più influente al mondo". Sarà stato il contesto della lettura, sviluppata stancamente su un Freccia Bianca Milano-Pescara e con rottura della locomotiva a Bologna (durato in tutto 8 ore), ma quelle 183 pagine mi sono sembrate troppo "divulgative" per un uomo brillante come Scruton. Non che il "divulgare" significhi di per sè un indebolimento rispetto alla pomposa forma accademica, ma quei riferimenti a Platone mi sono parsi troppo rabberciati, un po' superficiali. Lo stesso si dica per i troppi paragoni forzati con le pop-stars attuali, vòlti certo a rendere l'ideale della Bellezza classico-rinascimentale più vicino al mondo odierno (perciò più fruibile per i lettori), ma forse azzardati rispetto al piano complessivo delle questioni in campo. Le tesi di fondo restano sul consueto piano, altissime e, appunto, di una Bellezza divina; eppure Scruton si è sempre distinto per aver guardato, appunto, in alto - si legga, per tutti, "Il manifesto dei conservatori" - senza cedere al fascino suadente di peccati e peccatori. Stavolta, invece, sembrerebbe che a qualcosa abbia ceduto, se non altro, mi si conceda, all'ansia da bestseller. E non è da lui.

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