Le radici filosofiche dello Stato moderno / Il seicento
Bisogna avere ben presente che quando nel 1648 a Westfalia si assisteva alla nascita ufficiale dello Stato moderno, ciò che allora stava muovendo i primi passi non era semplicemente una dottrina politica, ma si trattava di una vera e propria visione del mondo, che di lì a poco avrebbe dato forma alla vita civile e politica, ma anche alla scienza e alla metafisica dell'epoca: era il mondo moderno. Non si comprende quindi l'epopea dello Stato se non lo si pensa immerso nell'ambiente culturale e filosofico del seicento e soprattutto se non lo si interpreta come l'espressione politica più coerente rispetto a ciò che in quel tempo stava sviluppandosi in tutti i campi del sapere. La filosofia, ad esempio, aveva già trovato una fondazione con il Discorso sul metodo di Renato Cartesio (1637) e non era da meno la scienza con Francesco Bacone (1620) o l'astrologia, che nel frattempo era divenuta astronomia, grazie alla rivoluzione di Copernico e Galilei (1632).
Il progetto della modernità, in altri termini, era accomunata da un intento fondamentale: abbattere la vecchia concezione dell'uomo e del mondo, fare tabula rasa di tutti quei punti di riferimento che parevano al secolo inefficaci e inconsistenti, e ricostruire così, affidandosi alla sola forza che aveva il soggetto, nell'edificare la conoscenza, la politica e la religione. É questa, d'altronde, l'autobiografia del mondo moderno che troviamo raccontata nel già citato Discorso sul metodo di Cartesio; infatti nelle prime meditazioni che compongono il testo, impugnando l'arma dello scetticismo, Cartesio si disfa di ciò che la tradizione, in gran parte aristotelica, aveva assicurato come “verità”, della maniera umana di conoscere o della posizione dell'uomo nel cosmo. Insomma: non era più possibile percorrere il solco del pensiero aristotelico medievale perché quell'era lì era finita; per l'uomo del seicento bisognava mettere in dubbio quei punti di riferimento che fino ad allora erano stati inamovibili per il pensiero filosofico, religioso e politico. Francesco Bacone era stato d'altra parte molto più chiaro: questi sono meri idoli, da cui dobbiamo liberarci il prima possibile per poter arrivare finalmente ad una verità che sia soltanto frutto della ragione moderna. Al crollo di un complesso di certezze, non può che corrispondere la ricostruzione ex-nihilo di un Altro, a partire da un linguaggio differente, da modelli diversi, dalla risoluzione di problemi ora incipienti e che il vecchio paradigma non sapeva risolvere. Questo, ad esempio, è il caso del modello di Stato proposto da Thomas Hobbes.
Per quest'ordine di motivi, la tentazione fondamentale della modernità fu costantemente quella di prendere le distanze dal pensiero, dagli usi e delle convinzioni dei secoli precedenti, che oggi chiamiamo medievali. Nasce l'interpretazione dell'età di mezzo come un periodo fosco, oscuro e colmo di ignoranza; si trasforma l'immagine del chierico, da unico letterato, custode e detentore della cultura a quella di un superstizioso, un rozzo racchiuso nel proprio mondo mistico. Nel rifiuto della cultura medievale – e dunque anche della Chiesa e della religione –, emerge un uomo del seicento che vuole costruire da sé il proprio futuro; vuole anzitutto pacificare l'Europa, darsi un nuovo strumento (Novum Organon, Bacone) per la ricerca scientifica e iniziare a pensare una filosofia non più teologica bensì incentrata sul soggetto. L'autonomia della ragione non poteva dunque che passare per la liberazione dal passato, che era religioso. Per quegli uomini fiaccati dalla guerra, la religione e ancora di più la dogmatica, le dispute sulla trinità, la filosofia scolastica avevano condotto l'Europa al disastro delle opposizioni fratricide tra ugonotti, protestanti e cattolici. Iniziano le prime contrapposizioni politiche al potere della Chiesa; inizia, propriamente, la stagione del soggettivismo e dell'ateismo. Inizia l'era degli Stati nazionali.
Vedi anche:
Le radici filosofiche dello Stato moderno / Il Leviatano
Le radici filosofiche dello Stato moderno / J.J. Rousseau
Le radici filosofiche dello Stato moderno / K. Marx
Il progetto della modernità, in altri termini, era accomunata da un intento fondamentale: abbattere la vecchia concezione dell'uomo e del mondo, fare tabula rasa di tutti quei punti di riferimento che parevano al secolo inefficaci e inconsistenti, e ricostruire così, affidandosi alla sola forza che aveva il soggetto, nell'edificare la conoscenza, la politica e la religione. É questa, d'altronde, l'autobiografia del mondo moderno che troviamo raccontata nel già citato Discorso sul metodo di Cartesio; infatti nelle prime meditazioni che compongono il testo, impugnando l'arma dello scetticismo, Cartesio si disfa di ciò che la tradizione, in gran parte aristotelica, aveva assicurato come “verità”, della maniera umana di conoscere o della posizione dell'uomo nel cosmo. Insomma: non era più possibile percorrere il solco del pensiero aristotelico medievale perché quell'era lì era finita; per l'uomo del seicento bisognava mettere in dubbio quei punti di riferimento che fino ad allora erano stati inamovibili per il pensiero filosofico, religioso e politico. Francesco Bacone era stato d'altra parte molto più chiaro: questi sono meri idoli, da cui dobbiamo liberarci il prima possibile per poter arrivare finalmente ad una verità che sia soltanto frutto della ragione moderna. Al crollo di un complesso di certezze, non può che corrispondere la ricostruzione ex-nihilo di un Altro, a partire da un linguaggio differente, da modelli diversi, dalla risoluzione di problemi ora incipienti e che il vecchio paradigma non sapeva risolvere. Questo, ad esempio, è il caso del modello di Stato proposto da Thomas Hobbes.
Per quest'ordine di motivi, la tentazione fondamentale della modernità fu costantemente quella di prendere le distanze dal pensiero, dagli usi e delle convinzioni dei secoli precedenti, che oggi chiamiamo medievali. Nasce l'interpretazione dell'età di mezzo come un periodo fosco, oscuro e colmo di ignoranza; si trasforma l'immagine del chierico, da unico letterato, custode e detentore della cultura a quella di un superstizioso, un rozzo racchiuso nel proprio mondo mistico. Nel rifiuto della cultura medievale – e dunque anche della Chiesa e della religione –, emerge un uomo del seicento che vuole costruire da sé il proprio futuro; vuole anzitutto pacificare l'Europa, darsi un nuovo strumento (Novum Organon, Bacone) per la ricerca scientifica e iniziare a pensare una filosofia non più teologica bensì incentrata sul soggetto. L'autonomia della ragione non poteva dunque che passare per la liberazione dal passato, che era religioso. Per quegli uomini fiaccati dalla guerra, la religione e ancora di più la dogmatica, le dispute sulla trinità, la filosofia scolastica avevano condotto l'Europa al disastro delle opposizioni fratricide tra ugonotti, protestanti e cattolici. Iniziano le prime contrapposizioni politiche al potere della Chiesa; inizia, propriamente, la stagione del soggettivismo e dell'ateismo. Inizia l'era degli Stati nazionali.
Vedi anche:
Le radici filosofiche dello Stato moderno / Il Leviatano
Le radici filosofiche dello Stato moderno / J.J. Rousseau
Le radici filosofiche dello Stato moderno / K. Marx
Commenti