Ma tu ti conosci?
Oggi pomeriggio stavo pensando allo scorso festival della filosofia e mi tornava in mente la maglietta rossa del festival che riportai a mia sorella, su cui è ben visibile il motto delfico "conosci te stesso". Probabilmente non vi è nulla di più scontato che una riflessione su una delle pietre basilari della filosofia, eppure,l complice il mio recente affondo intellettuale nell'antichità, avrei qualcosa da scrivere. Nel mio primo intervento filosofico del blog, intitolato Smisurata preghiera, mostravo un video tratto dal film Cosa sono le nuvole? di P.P.Pasolini, che vi invito a riprendere in considerazione:
Guarda il video
Penso che sia interessante, ma voi confermerete, come questa tematica si intrecci con il "conosci te stesso" delfico, ma più propriamente Socratico, perchè: Chi di noi può dire di conoscersi? In che modo è possibile conoscere sè? Nel filmato in questione, Totò sempre suggerire una soluzione o comunque un approccio di tipo socratico/platonico: L'idea di fondo è che esista una verità in sè stessi, quasi un "vero-io" plotiniano o un fondo eckhartiano dove l'uomo può attingere la verità "di sè" solo "chiudendo gli occhi", o per dirla con Plotino guardando con gli occhi interiori. Questa è stata la via seguita da tutta la mistica occidentale (mistica derivva dal verbo greco myein che significa appunto chiudere, socchiudere gli occhi e la bocca e quindi anche tacere). Tuttavia la stessa tradizione antica rispose in maniera differente e polemizzando al suo interno, infatti Aristotele nell'Etica Nicomachea si impegna a sottolineare come ogni conoscenza e quindi anche quella di sè, è sempre veicolata da un soggetto che conosce e un oggetto da conoscere. Guardare in sè stessi per Aristotele non serve a molto perchè è sempre conoscenza di un oggetto e come tale può essere errata, non c'è nessun fondo o nessun luogo del vero io: è possibile conoscere sè stessi specchiandosi attraverso gli occhi di un amico, così come quando vogliamo vedere il nostro volto dobbiamo "specchiarci" in un oggetto, invece che tentare invano di "unirsi" con sè, come novelli Narciso.
Penso che sia interessante, ma voi confermerete, come questa tematica si intrecci con il "conosci te stesso" delfico, ma più propriamente Socratico, perchè: Chi di noi può dire di conoscersi? In che modo è possibile conoscere sè? Nel filmato in questione, Totò sempre suggerire una soluzione o comunque un approccio di tipo socratico/platonico: L'idea di fondo è che esista una verità in sè stessi, quasi un "vero-io" plotiniano o un fondo eckhartiano dove l'uomo può attingere la verità "di sè" solo "chiudendo gli occhi", o per dirla con Plotino guardando con gli occhi interiori. Questa è stata la via seguita da tutta la mistica occidentale (mistica derivva dal verbo greco myein che significa appunto chiudere, socchiudere gli occhi e la bocca e quindi anche tacere). Tuttavia la stessa tradizione antica rispose in maniera differente e polemizzando al suo interno, infatti Aristotele nell'Etica Nicomachea si impegna a sottolineare come ogni conoscenza e quindi anche quella di sè, è sempre veicolata da un soggetto che conosce e un oggetto da conoscere. Guardare in sè stessi per Aristotele non serve a molto perchè è sempre conoscenza di un oggetto e come tale può essere errata, non c'è nessun fondo o nessun luogo del vero io: è possibile conoscere sè stessi specchiandosi attraverso gli occhi di un amico, così come quando vogliamo vedere il nostro volto dobbiamo "specchiarci" in un oggetto, invece che tentare invano di "unirsi" con sè, come novelli Narciso.
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Antonio