Quanto "senti" il passato?

Il 14 novembre è una data particolare, poichè curiosamente ricorrono i decessi delle due maggiori personalità dell'età moderna, ovvero Gottfried Wilhelm Leibniz e, un secolo più tardi, Georg Hegel. Prima di iniziare la stesura dell'intervento e precisamente nell'accingermi a scrivere, sono rimasto d'improvviso come interdetto e di scatto ho alzato le mani dalla tastiera, chiedendomi: che senso ha stendere il panegirico di due persone defunte, seppur capisaldi della cultura occidentale? Che ragion d'essere ha un intervento che tratti del passato meramente tale, senza possibilità di andare oltre? Certo, Hegel mi avrebbe redarguito perchè la filosofia è innanzitutto coscienza di ciò che già "necessariamente" è stato. Così grazie ad Hegel e Leibniz o, insomma, tramite il triste incrocio delle loro vite, abbiamo l'occasione per porci il problema del passato: in che misura il nostro passato debba influenzarci? La nostra tradizione può sicuramente divenire la leva sulla e dalla quale sospingersi verso il futuro, ma a quale condizione? Più in generale, in che senso il nostro portato di essere situati in un "ci" (Heidegger) in un "orizzonte" (Gadamer) o nella storia dell'essere o del mondo (Hegel) debba influenzarci? Nella seconda Inattuale, Nietzsche sostiene che il suo tempo, l'ottocento della grande storiografia tedesca, è malato di passato. In che senso noi viviamo e sentiamo sulle nostre spalle la tradizione di pensiero che ci ha preceduto? oppure, meglio, questo sentire il nostro passato, non importa in che misura, quanto corrisponde ad un sentimento di responsabilità nei confronti dello stesso? I toni un po' manieristici che via via sto prendendo non devono sviarvi perchè il problema è, a mio avviso, tangibile nella quotidianità delle nostre decisioni e azioni. Poc'anzi ho richiamato il "sentire" e ho allargato il piano a più ambiti senza soffermarmi sulle questioni particolari perchè, almeno al primo livello, si parla di una presenza nella mente, una vera "coscienza" del passato ed è (o dovrebbe teoricamente essere) un "sentire" di tutti, indistintamente, perciò attendo le vostre considerazioni più varie e (spero) nelle direzioni più impreviste.

Commenti

Anonimo ha detto…
Riflessione interessante, si!
Scrive Nietzsche in "Considerazioni inattuali" che "per ogni agire ci vuole oblio"!
Nonostante questo filosofo sia uno dei mie preferiti...perdonami la presunzione ma devo dirti che non sono d'acccordo...
Io credo vivamente che comprendere e commemorare il passato trae vantaggio per affrontare il presente e rende migliori i progetti per il futuro...
Lo credo vivamente nei racconti di guerra di mio nonno, nelle avventure del '68 dei miei genitori e lo credo ancor più vivamente negli anniversari dedicati a filosofi, letterati, storici...e chiunque altro ci abbia donato degli insegnamenti...
Lo dico soprattutto ai giovani: non dimentichiamo mai...il sapere di chi ha vissuto prima di noi è universale!
Annalisa
Unknown ha detto…
Secondo l'intuizione fondamentale di Galileo e Newton un osservatore può determinare il suo stato di quiete o di moto solo relativamente ad altri corpi (o altri osservatori). Così la nostra coscienza ha bisogno di riconoscere il vissuto passati e in fieri per orientare il sapere verso nuove esperienze e immaginazioni. Come non esserne intrisi sino a nutrirci del passato come unico mezzo per liberare l'intuito che è in noi senza naufragare nell'impossibile, nell'inutile, nell'angoscia dell'infinito irraggiungibile? Il problema che si pone non è tanto la necessità imprescindibile della storia della filosofia e della filosofia della scienza ma il come costruire le fondamenta del sapere e l'impalcatura su cui attrezzarci per raggiungere di piano in piano la meta prefissata o prefissabile!?
Raziocinio e metafisica sono qui in lotta perenne per rubare all'infinito infinitesimi spazi di tempo per esser-ci nell'universo come soggetti, creativi e artefici del nostro futuro.
Ti lascio il mio blog,
a risentirci
mmg08.blogspot.com

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