Linguaggi

Questa mattina ho fatto visita ad un amico con cui condivido lo stesso tipo di percorso di ricerca. Anche per lui quella Presenza in sè stessi, nel prossimo, nel mondo, è un continuo stimolo ovvero una continua chiamata alla vita. Lui dipinge. La ricchezza delle possibili espressioni dell'intelligenza umana ci appare davvero stupenda se in essa riusciamo a cogliere la sostanziale unità.

Commenti

Anonimo ha detto…
Abbiamo urgente bisogno di ossigeno e cioè di pensiero, di spirito, abbiamo bisogno di entusiasmo, materia rarissima, sostanza difficilissima da estrarre poiché per avere entusiasmo reale oggi più che mai ti devi seppellire rispetto alla visibilità di questo mondo, se vuoi sperare di avere qualcosa da dire devi sparire per anni, stare nei sottoscala, nelle catacombe, passare la tua vita non visto o visto pochissimo, devi essere un minatore, uno speleologo, allora avrai qualche cosa da dire forse.
Sì condivido, anche se non sono d'accordo sulla parte conclusiva: non necessariamente devi passare la tua vita non visto. Ciò che conta è il pensiero (è un po' una rivisitazione di Socrate).

Mi sembra che l'idea di un affrancarsi dal mondo, tipica della tradizione che ci piace leggere e rivivere, sia un'applicazione etica di un messaggio che è anzitutto riferito al puro pensiero. Si fa riferimento a tempi e luoghi dell'anima, non necessariamente mondani. Si può "aver qualcosa da dire" anche da Sindaco di una città (esempio a noi caro). Anzi, forse, proprio in quel caso si hanno sempre rinnovate sfide a cui non puoi sottrarti.

:)
sgubonius ha detto…
La ricchezza delle espressioni è stupenda se ne cogliamo la Differenza non l'unità!!! Anzi "l'ideale" sarebbe imparare a cogliere le differenze in noi stessi, dentro il nostro Io incrinato. Certamente è confortante vedere che gli altri ci somigliano e che non siamo tutti orfani ma c'è qualche idea lassù che ci ha partorito simili, e magari anche uno stimolo ed un entusiasmo. Ma mi insospettisce sempre questo genere di entusiasmo mondano, gli preferisco una certa inanità lucida e serena. Nietzsche diceva: "Chi pensa profondamente sa che ha sempre torto comunque agisca o giudichi". Questo è incompatibile con ogni mondanità, con ogni sindaco e sindacato, con ogni sfida pratica e con ogni entusiasmo. Resta forse l'arte, come trionfo dello sbagliato e del falso, consapevole, trionfo quindi della Differenza come affermazione del limite del prospettivismo, dell'impossibilità dell'unità. Non più monadi che guardano lo stesso mondo compossibile rispecchiandolo ma infiniti mondi diversi e divergenti, splendidi nella loro incompossibilità e singolarità.
Sgubonius mi sembra che il tuo discorso non sia poi così differente (ecco) dal nostro. In che senso: quella tua voglia di affermare la differenza e la distanza fino al prospettivismo* è forse incompatibile con l'unità sostanziale della ricerca, del percorso? Il viaggio è proprio di ognuno, è un qualcosa di irripetibile e carico di differenze storiche, culturali, di sensibilità o anche di scopi, certo. Ma attenzione: non siamo forse noi viaggiatori? Non è forse questo tratto il comune paradigma? Non è forse il fatto stesso di affrontare una ricerca a renderci affini, nè vicini nè, tantomeno, tranquillamente identici? Non si tratta di monadi, si tratta di esser parimenti viaggiatori, chi con il mulo della filosofia e chi con il cavallo dell'arte (il mio amico) e chi con qualsiasi altro modo di esser al mondo.

:)




*Sul prospettivismo propongo praticamente la stessa argomentazione che ho proposto nell'intervento: sicuro di questa differenza assoluta? Non è il fatto stesso di avere prospettive un paradigma sufficiente per negare ogni radicale differenza che non presupponga una qualche affinità??
sgubonius ha detto…
Non riuscirai a ricondurmi ad Uno, farò trionfare la differenza!! :D
Questo è proprio (almeno a mio parere) un problema fondamentale nell'impostazione filosofica, e d'altronde la Differenza è stata ampiamente discussa nel secolo passato. Senza dubbio la differenza non vive senza il suo "opposto" che è la ripetizione più ancora che l'uguaglianza (che non esiste perchè già in Aristotele due cose anche identiche differiscono almeno per spazio o tempo). E proprio la ripetizione è quanto troviamo in altri come elemento comune, ma a questo punto è fondamentale capire cosa viene prima.

In altri termini, cerchiamo l'altro per fare una sintesi delle esperienze e farci un idea più precisa di un terzo (il mondo) confrontando punti di vista, o lo ricerchiamo per affermare la distanza incolmabile che ci separa?
Qui si gioca una battaglia importante, ora non so se è il caso di entrare nei dettagli, però ci sono svariate implicazioni etiche gnoseologiche e via dicendo. Fra le tante c'è ad esempio il suddetto trionfo del falso di cui parlava Nietzsche, che frustra ogni entusiasmo sul nascere!
Sì Sgub ma qui l'Uno non c'entra nel senso che non faccio sempre e per forza riferimento a Dio! Nei messaggi precedenti pensavo piuttosto ad un apriori, quasi a kant insomma. Che poi anche su Kant so che hai da ridire quindi non entriamo :D

Prendo spunto da un tua frase: cerchiamo l'altro per affermare la distanza incolmabile che ci separa?
1) Non è detto che sia incolmabile (anche se la penso come te)
2) Ma chi è l'altro? Chi è il tuo altro? La tradizione platonica a cui ben sai che faccio riferimento (e su questo punto concorda anche con la gnosi) afferma che l'altro è innanzitutto se stessi. Se stesso, il più vicino eppure il più ostile! Una bella prospettiva, altro che Freud! Invece di perderci nei massimi sistemi vorrei sapere che ne pensi di questo piccolo appunto. ;)
sgubonius ha detto…
Ma chi è l'altro? Chi è il tuo altro? La tradizione platonica a cui ben sai che faccio riferimento (e su questo punto concorda anche con la gnosi) afferma che l'altro è innanzitutto se stessi. Se stesso, il più vicino eppure il più ostile! Una bella prospettiva, altro che Freud! Invece di perderci nei massimi sistemi vorrei sapere che ne pensi di questo piccolo appunto. ;)

Se mi dici l'altro io non posso non pensare a Lacan, con tutto lo scetticismo che è giusto accompagni certa psicoanalisi. Senza addentrarci in quelle fantasie comunque concordo con te quando dici che l'altro è innanzitutto il sè. Per questo parlavo prima di "fare la differenza" anche all'interno della propria ipseità, del proprio "io medesimo" che si deve scoprire incrinato e continuamente differente. Anche qui allora non si deve "frequentare" se stessi per conoscersi meglio (gnothi seauton ecc...) ma anzi bisogna scindersi, contraddirsi.
Diceva Rilke: "zu der stillen Erde sag: Ich rinne" (alla terra quieta dì: io scorro). Affermare la Differenza è quindi soprattutto liberarsi dell'obbiettivo che è sempre materia di precisione nell'avvicinarsi, nel somigliare (a un Idea-bersaglio), in questo caso l'idea è quella di un "logos" fondamentale da ritrovare nel confronto con ogni alterità che, nell'ottica del negativo hegeliano, verrà ricondotta alla sintesi di uno spirito assoluto, ed è sempre così in Platone come in Kant, solo che ci sono voluti dei secoli perchè il gioco fosse smascherato.
Si giocano insieme i massimi sistemi e i minimi. Se torniamo brevemente a Lacan vediamo come siamo totalmente immersi nell'Altro fin nell'inconscio e nel linguaggio sopratutto, la formazione del soggetto autocosciente e che si autorappresenta unico è addirittura posteriore a questa influenza della differenza irriducibile, dell'alterità come condizione prima (qui ritrovi affinità con l'essere-nel-mondo e la gettatezza heideggeriani). A questo punto va da sè che Differenza=Alterità, che ogni cosa è "altra" a turno nella metamorfosi, quando non c'è un centro stabile a cui riferire il medesimo. Ecco un prospettivismo sano, come lo sognava Nietzsche, in cui si è ovunque e da nessuna parte, si vedono città sempre diversi da punti di vista sempre diversi, e mai la medesima città da ricostruire con la ragione dalla pluralità dei sensi.

Ho un po' divagato! :D