La cosa e la rappresentazione

A coronare uno stupendo corso di "Filosofia della Storia" sull'Angelus Novus di W.Benjamin, negli ultimi giorni sto leggendo un vecchio testo di M.Cacciari, L'angelo necessario (qui la scheda ibs), di cui riporto parte delle pagine 81-82. La ricerca qui condotta da Cacciari sulle scie dell'angelogia di Rilke, Klee e, appunto, Benjamin, si focalizza sul «problema platonico della rappresentazione» che viene a lottare, ad ogni momento di krisis, con le sue opposte possibilità più estreme: da un lato con la «minaccia di rimanere preda di una teologia negativa» e dall'altro con una filosofia che presume di poter risolvere la rappresentazione nel nominare. Ho trovato queste pagine particolarmente stimolanti, soprattutto se rilette alla luce di quanto tentavo di esprimere, in maniera al solito troppo arruffata, in alcuni interventi precedenti, quali Note a margine di G.Frege, Senso e denotazione (Marzo 2009), Sappiamo riflettere sui fenomeni? (Gennaio 2009) ma soprattutto Da Parmenide a Cusano per un nuovo Fondamento (Novembre 2008). Nel diffondere queste righe spero che siano foriere di nuove riflessioni per tutti voi pazienti lettori.
La filosofia tiene, certo, da un lato, alla ricerca, poiché è anch'essa vitalmente interessata alla «estinzione dell'empiria», ma se ne distingue perché, nella febbre del negativo che afferra definizioni e immagini allorché siano sottoposte a scepsi meticolosa, nella fatica e negli sforzi vòlti a togliere la dimensione dell'opinare-nominare, essa rimane attenta allo splendere, al relucere del vero, nella sua essenza a-intenzionale. Si badi che ciò significa per Benjamin l'esatto opposto di un'intuizione ek-statica della verità; non si tratta di "ascendere" ad una superiore visione attraverso un qualche iniziatico itinerario. La verità si dà semplicemente, aplòs, non mediata dalla facoltà di rappresentare, ma come d'un colpo intuita (l'intuizione è per Platone la facoltà più vicina al «Quinto»). Questo darsi è quello della cosa - ma della cosa stessa, del se stesso della cosa, irriducibile per principio alla rete delle connessioni che il nominare-definire rappresenta. La verità si dà immediatamente come la cosa stessa, non ulteriormente interrogabile sul suo fondamento o perché. Il «Quinto» intuisce il realissimo che può darsi soltanto, e si dà proprio ritirandosi da ogni definizione. Il nominare non coglie il realissimo, ma funzioni, rapporti, enti che solo nella loro relazione risultano concepibili. [...] La cosa stessa, invece, attraversa le maglie della rete della definizione; riluce in ogni definizione come il ciò che da essa sempre si ritira; si dà nella definizione come il suo proprio indefinibile. Ma ciò che, nella definizione, insieme si ritira da essa, non è affatto una dimensione assolutamente trascendente, bensì la cosa stessa, proprio la cosa, il questo-qui individuum della cosa.

Commenti

sgubonius ha detto…
Lessi Krisis un po' di tempo fa, e non mi convinse molto, tanta erudizione ma pochi concetti veramente innovativi o profondi. Più in generale Cacciari non mi ha mai stupito in positivo!
Con questo breve estratto si aprono in verità delle problematiche enormi, sia sul linguaggio, sia sulla rappresentazione in genere, sia sull'ontologia della verità ancor più alla radice.
Siamo sicuramente in una radura, però un po' troppo vasta, in che direzione vogliamo muoverci?
Ciao Sgub, bentornato sul blog. Questo pezzo difatti è uno dei punti a mio avviso più fecondi del testo perchè lì esplodono tutta una serie di interrogativi. La "radura" è sicuramente vasta ma mi sembra che si sia ben indirizzati sin dall'inizio verso la "cosa" e la sua rappresentazione in noi. Qui ci si muove in un orizzonte posrt-kantiano, che Benjamin, secondo Cacciari, assume, radicalizza e ribalta attraverso la figura dell'angelo nuovo.

Mi permetto un piccolo suggerimento: se Heidegger non c'entra penso sia bene abbandonare la terminologia heideggeriana. :)
sgubonius ha detto…
Heidegger c'entra sempre! :D

Scherzi a parte io non sono molto amante del neo-kantismo e simili, mi pare che non si faccia che ribattere strade già percorse cerando solo di allargarle e renderle più transitabili. Se vogliamo aprire degli orizzonti davvero nuovi bisogna buttare giù seriamente la "cosa in sè" e con essa anche la rappresentazione che perde totalmente di senso. Non capisco mai l'ossessione positivista che rifugge la teologia/filosofia negativa che è quanto di migliore sia stato fatto, dove veramente il pensiero ha depurato se stesso dall'esigenza di angeli e inizi, soluzioni e verità.

Siamo sempre in questa nostalgia dell'Idea, del vero, del giusto, sempre affannati a riempire i buchi neri lastricandoli, costruendo ponteggi inevitabilmente fondati sul vuoto, senza mai imparare ad abitarli e a frequentarli.
Guarda sono d'accordo con te e secondo me lo sarebbe - in una certa misura - anche Cacciari.
:)
sgubonius ha detto…
Se si dedicasse meno al PD forse si!
Eheh ma presto smetterà anche lui, non sa neanche perchè si trova lì... :)