Note a margine di G. Frege. Senso e denotazione

La preparazione per il prossimo esame di Filosofia del Linguaggio si sta rivelando un'occasione feconda per riflettere su alcune questioni a cui avevo dato scarso valore negli anni precedenti. Parlo di valore ma è bene precisare che non ho certo intenzione di sottintendere una qualche priorità oggettiva, bensì mi riferisco alla scala di questioni che, credo, soggiace inevitabilmente agli studi di ognuno e che solitamente si struttura in base alle proprie esperienze e vocazioni - nel senso propriamente weberiano di Beruf. Tra i saggi proposti per il corso ho trovato di particolare interesse il lavoro di Frege, "Senso e significato", nel quale oltre alle questioni di Filosofia del Linguaggio si intrecciano tematiche più affini ai miei interessi, quali la matematica (problema dell'identità) e la questione dell'oggettività del "mondo esterno". Per una rapida e completa introduzione ai problemi trattati nel saggio vi segnalo la chiara e sistematica esposizione del mio amico Jonathan - qui. La mia attenzione si è concentrata sulla parte centrale del saggio, nel quale Frege si pone il problema dell'esistenza della denotazione - ossia dell'esistenza oggettiva dell'oggetto "esterno" che si sta predicando - e lo risolve in maniera singolare:
Forse, da parte idealistica o scettica, mi si sarebbe obiettato già da tempo in questi termini: "Tu parli della luna come se fosse senz'altro un oggetto; ma come fai a sapere che il nome la luna ha in generale una denotazione?" Rispondo osservando che quando pronunciamo il nome "la luna", non abbiamo l'intenzione di parlare della nostra rappresentazione della luna, nè ci accontentiamo del senso soltanto, ma presupponiamo una denotazione. Si perderebbe assolutamente il senso qualora si volesse pensare che nell'enunciato "La luna è più piccola della terra" il discorso cada sulla rappresentazione della luna. Se chi parla volesse questo, userebbe la locuzione: "la mia rappresentazione della luna". Ora ci potremmo certamente sbagliare in quella presupposizione, e simili errori possono effettivamente capitare. Ma il problema di sapere se ci sbagliamo sempre può esser lasciato irrisolto in questa sede: per giustificare il fatto che abbiamo menzionato la denotazione del segno (sia pur con riserva:"nel caso che questa denotazione esista") è per ora sufficiente rimandare alla nostra intenzione nel parlare o nel pensare.

L'interesse di Frege in queste righe è palesemente quello di tener distinto il piano del senso (intersoggettivo) dai piani della rappresentazione (soggettivo) e della denotazione (oggettivo) e trovo che l'argomentazione sia globalmente convincente ai fini del saggio benché Frege abbia di fatto compiuto uno slittamento di problemi su altri piani. Tuttavia la coerenza interna non significa poi molto. Se la filosofia è concepita a compartimenti stagni, come in questo caso, possiamo formulare teorie e produrre saggi coerenti in qualsiasi misura ma essi risulteranno sempre espressioni settoriali e discutibili in un contesto più amplio. Le righe che ho riportato, ad esempio, sarebbero un'introduzione adeguata alla discussione del problema più radicale che la filosofia teoretica può porsi, ovvero quello della Verità e della conoscenza del Vero, problema di cui Frege "non ha intenzione di parlare". L'impostazione dell'onto-teo-logia di Frege è la stessa di Cartesio, tipica dell'età moderna - a mio avviso qualsiasi discussione su tale argomento conduce in maniera più o meno esplicita ad una onto-teo-logia. Una riflessione teoretica adeguata su questi temi risulta sempre più urgente per la ragione filosofica moderna.


PS: Ho tentato di seguire un ragionamento simile nell'intervento Da Parmenide a Cusano per un nuovo Fondamento in cui commentavo un saggio di K.Held, Sugli antefatti della prova ontologica dell'esistenza di Dio - Anselmo e Parmenide.

Commenti

Cheppalleee ha detto…
Anch'io ogni volta che ho un esame è una tragedia, mi vengono in mente mille mila cose, mille mila riflessioni... e sarebbe interessante se solo non fossi già lenta di mio. Purtroppo quando uno ha un esame ha anche, conseguentemente, una scadenza; e dico purtroppo perché è proprio così che si fa una sana filosofia critica :)

In secondo luogo. Apro parentesi. A parer mio quello che denuncia Frege è il problema della metafisica: il credere di avere di fronte qualcosa di dato e quindi di oggettivo. Sarà che sono immersa in Nietzsche ultimamente, ma a parer mio questo dato non c'è. O se c'è noi non lo conosciamo e mai lo conosceremo (siamo realisti, suvvia), salvo contando in una magia o in un miracolo divino. Chiudo parentesi.

uhmmmm credo che questo che tu descrivi sia un po' il problema della filosofia in generale: il mondo è talmente vasto che è difficile "comprenderlo" tutto in una volta sola. O per lo meno, lo è per le nostre capacità intellettuali. E quindi affrontiamo i problemi uno alla volta, anche ponendo a margine tutta la cornice che sta attorno ad una determinata questione; per lo più a causa di quello che chiamo il problema del "Diciamoci la verità": come sappiamo, molti filosofi sono superbi, egocentrici e chi più ne ha più ne metta... purtroppo spesso lasciano a casa l'onestà intellettuale di considerare il problema che essi stessi pongono in un quadro più ampio. C'è, detto molto semplicisticamente, la naturale tendenza a portare acqua al proprio mulino dimenticandosi di tutto il resto.

(E ora torno da Nietzsche, che poi mi va in depressione :P)

K!a
Kia grazie per la risposta, provo a risponderti dividendo le questioni in due punti:

1) Sulla parentesi: da quello che ho potuto intendere la questione non è precisamente come la poni tu, nel senso che il problema dell'oggettività del mondo esterno per frege non si pone in maniera radicale. In questa piccola nota ho isolato l'unico passo del saggio in cui emerge la questione "metafisica" e il punto discutibile a mio avviso è proprio il fatto che una questione simile sia posta solo in questo punto e alla stregua di un'ordinaria ipotesi da valutare. Tuttavia dal suo punto di vista questo atteggiamento è persino coerente perchè non si discute l'oggettività in sè della realtà bensdì l'oggettività della realtà nella misura in cui è predicata nel linguaggio. Ecco perchè Frege tenta di inserire tra il piano del soggetto e quello del significato (oggetto o denotazione) un piano intersoggettivo che sia da un lato in costante riferimento al soggetto che si rappresenta l'oggetto e dall'altro sia universalmente dato, perchè attingibile ad una pluralità di soggetti. Ricordo che in logica l'universalità rimanda sempre ad una dimensione di oggettività. Abbiamo confidenza quindi permettimi un appunto: la lettura molto Vattimiana - più che di Nietzsche - che proponi non mi sembra adeguata al contesto in cui si muove Frege benchè sia una bella ipotesi di riflessione.

2) La malattia del filosofo: è interessante chiedersi quali radici abbia l'atteggiamento egocentrico del filosofo. Non credo che sia questione di onestà intellettuale, piuttosto lo sguardo poco allenato alla totalità mi sembra una forma mentis. E forse è anche una forma mentis produttiva, non lo so.
Cheppalleee ha detto…
Ma certo che ti permetto :)
Comunque io di Frege non me ne intendo nemmeno un po'... ma proprio niente niente. Ed è più chiaro come me l'hai posta adesso. Eeee... non lo so. Non saprei cosa obiettare. uhmmmm dovrei pensarci bene... ti farò sapere!

Beh, il mio Nietzsche è piuttosto vattimiano perché alla fin fine il primo corso di N. che ho seguito l'ha tenuto proprio Vattimo e anche quest'ultimo corso di Vozza non si discosta poi molto da questa visione.

Forse hai ragione: l'egocentrismo del filosofo probabilmente non è voluto; non è per scarsa onestà intellettuale. Però la maggior parte delle volte è palesemente presente. Forse se non avessero questo carattere egocentrico non rimarrebbero fedeli alle proprie idee e verrebbero trasportati dal vento come una banderuola da un'interpretazione del mondo ad un'altra. Non saprei...

Alla fin fine bisogna avere una certa coerenza per essere fecondi in ambito filosofico. No?!