Pro Schopenhauer (di Ernesto Graziani)

Ospito con piacere la lunga risposta di Ernesto Graziani al mio Contra Schopenhauer. Ringraziandoti per la grande dignità che concedi alle mie piccole riflessioni, prometto una sostanziosa risposta, nei limiti del possibile, cercando di non sfigurare nei tuoi confronti per puntualità e dedizione.

Sulla moda e la new age. Il fatto che Schopenhauer vada di moda – ammesso che, come dici tu, sia vero, “innegabile” – ed il fatto che questa riscoperta possa essere in parte dovuta alla tendenza new age non costituisce, ovviamente, un’obiezione al suo valore filosofico. In generale, infatti, i meriti di un autore dovrebbero essere valutati prendendo in esame il suo pensiero in se stesso, vagliandone le argomentazioni e la capacità analitica ed esplicativa del reale e senza proiettare su di esso la considerazione che noi abbiamo dei fattori esterni che riaccendono su di esso i riflettori dell’attenzione culturale. Su questo, ne sono certo, converrai. E se sei d’accordo, allora, l’associazione tra S. e la moda e la cultura new age con la quale dai inizio al tuo post assume una valenza sostanzialmente retorica, in quanto volta a mettere sin da subito in cattiva luce il nome del filosofo. È infatti innegabile che termini come “moda” e “new age”evochino, già a livello immaginativo, una serie di valenze del tutto antitetiche, stridenti, rispetto a quelle che suscitano in noi appassionati di filosofia i concetti di profondità, onestà, verità o anche realtà.

Sulla “volgare esaltazione dell’egoismo animale”. Che la descrizione, o meglio, la fenomenologia (per usare almeno una volta un termine filosofico nel suo significato reale, e non come sinonimo di ‘oscuro modo di parlare per metafore e paradossi con picchi di insensatezza delirante’) schopenhaueriana dell’egoismo sia una esaltazione di esso è affermazione infondata. Direi invece: “Diamo a Nietzsche quel che è di Nietzsche, e non attribuiamolo a torto al suo maestro”. La genealogia della morale non è un capitolo dei Parerga. Non c’è esaltazione, c’è descrizione del fenomeno dell’egoismo (e poi una sua spiegazione metafisica), un fenomeno pressoché onnipresente nel mondo umano ed animale, impossibile da negare senza negare insieme la propria onestà (e non solo quella filosofica) ed il proprio buon senso. E se non è esaltazione, ma descrizione – certo, a vivi toni -, allora non può neppure essere una esaltazione volgare. Ammettiamo, pero, per ipotesi che lo sia. Ebbene, cosa significherebbe che la descrizione schopenhaueriana dell’egoismo è volgare? Forse che essa viene formulata ricorrendo, letteralmente, a modalità espressive volgari? È scritta male? No, certo. Magari contiene ingiurie rivolte a chi è contro l’egoismo? Neppure. Magari significa che l’egoismo stesso è volgare e che la sua volgarità contamina in qualche modo il discorso che verte su di esso? Ammesso che sia sensato dire che l’egoismo sia qualcosa di volgare e che lo sia tout court, è errato pensare che il parlare di cose a cui attribuiamo una certa qualità acquisti esso stesso quella qualità per il solo essere un parlarne. Oppure, potrebbe significare che ad essere volgare è il modo di condurre l’argomentazione – il modo di ragionare sui fenomeni – e/o gli esempi proposti? Se a farti problema è il modo di ragionare, allora “volgare” è espressione inappropriata – sebbene retoricamente efficace – per riassumere in un aggettivo le tue contro-argomentazioni che non hai presentato. Se invece ti riferisci agli esempi proposti, allora bisognerebbe che te la prendi con la realtà stessa, da cui sono tratti. Che le pulsioni e le “passioni mondane” sembrino palesarsi è inesatto. Esse si palesano punto. “Sembrano palesarsi”, in questo specifico contesto, è un’espressione insensata di cui ti servi nel tentativo di misconoscere un dato di fatto evidente.

Sulla “scarsa capacità teoretica…nella trattazione del materiale kantiano, volgarizzato a mera esposizione impositiva e dal fondamento teologico”. Questa non è l’obiezione principale che S. muove contro il tentativo kantiano di fondazione dell’etica. Questa è una spiegazione, che definirei psicologico-genetica (simile a quelle offerte così spesso da Nietzsche), degli errori di Kant. Errori, tra i quali quello fondamentale (riconosco anche che non tutte le obiezioni di S. vadano a segno, per esempio è errata quella che in realtà individua alla base dell’imperativo categorico l’egoismo reciprocizzato tra individui, che può essere al massimo l’altra faccia, quella negativa, del principio di universalizzabilità come regola pratica) è quello di essersi illuso che la ragione, come pura, potesse essere pratica, ovvero che la ragione, nella sua mera formalità, possa produrre da se stessa, prescindendo da contenuti empirici (le passioni) un volere ed un agire. Non esiste, cioè, un imperativo che sia categorico. E qui S. ha perfettamente ragione, per la via di Kant non si prosegue. Qui è in gioco una contrapposizione tra due concezione della ragione e non un fraintendimento di Kant da parte di S.: S. non fraintende Kant – lo confuta. Lo confuta alla luce di una differente concezione della ragione umana, certamente non scevra di errori, ma comunque più realistica e terrena. Se per avere un agire ed un volere la pura ragione non è sufficiente, dato che essa è, nella sua essenza conoscitiva, è naturale scorgere un pan-teoreticismo, direi anche un pan-razionalismo, in chi nutre simili pretese – qui, Kant. Sbagli completamente nell’affermare che “Schopenhauer mostra di non aver compreso questo livello ulteriore rispetto alla morale intesa come determinazione più o meno cogente delle azioni umane”. Non ha senso attribuire questa mancanza a S. – cioè l’essersi fatto sfuggire l’accesso pratico alla cosa in sé attraverso la libertà trascendentale: il fatto è che tale accesso morale, per come Kant lo concepisce, come ho già dato ad intendere, è sbarrato, cioè illusorio. Il rifiuto della soluzione kantiana, su questo punto, non equivale, naturalmente ad una espunzione del problema dell’accesso al noumeno dal sistema schopenhaueriano. Anzi, io ritengo che nessun filosofo abbia offerto un tentativo così profondamente meditato di penetrare nell’essenza della cosa in sé, dando soddisfazione a questo fondamentale desiderio filosofico. Alludo, come si capisce bene, alla teoria del Wille noumenico, colto attraverso quella sorta di purificazione dell’esperienza introspettiva del corpo. Non Dio, non Sostanza, non Tutto, non Iperuranio, non Idea e neppure… stringhe, in breve tutti enti che sono referenti di nomi astratti, ma Volontà, ovvero un qualcosa di presente (quasi) immediatamente alla coscienza – non un astratto, ma, direi, un qualitativo, un percepito.

Sul “contesto erudito”. Questa teoria metafisica della volontà non ha alla sua base semplicemente una riflessione sull’esperienza interiore della corporeità che si scopre volontà (insieme alla scoperta kantiana della distinzione fenomeno/noumeno), ma cerca anche tutta una serie di conferme a posteriori, tratte dalla condivisa esperienza esistenziale umana nonché dal contributo offerto dal sapere umano accumulato nei secoli. I riferimenti alla poesia e all’arte in generale, nonché alla fisica, alla chimica, alla botanica, alla zoologia e all’etologia non sono “contesto erudito”, ornamenti esibiti, bensì prove volte a corroborare la tesi della volontà – geniale chiave esplicativa della realtà – ed il resto del sistema, anche in campo etico.

Sul “pessimo filosofo: è rimasto imbrigliato nel girarrosto di Leibniz e, mentre tentava di guardare in alto, Kant si era già librato in volo verso i cieli della grande filosofia”. Primo, che l’essere indeterministi e l’essere convinti che l’uomo non sia una parte di natura come le altre irretita nel principio di ragione – e non il fornire argomenti validi atti a sostenere tali convinzioni – siano condizione necessaria dell’essere buoni filosofi è assurdo. Al massimo sono una condizione necessaria per essere buoni cattolici. Non si può individuare il criterio per stabilire se un pensiero sia degno del titolo di “grande filosofia” nella conformità ad un dogma. Non nego che spessissimo si faccia filosofia per giustificare proprie credenze già assunte per vie extra-razionali. Ma il filosofare consiste, in questo caso, nel renderne ragione. Secondo, la tesi che S. rimanga “imbrigliato nel girarrosto di Leibniz” è errata. Se il mondo fenomenico è perfettamente deterministico – anzi, meglio, predeterministico – e non lascia perciò alcuno spazio ad un liberum arbitrium indifferentiae – nozione illusoria –, il mondo noumenico, sottratto al principio di ragione, rende possibile una libertà assoluta dell’essere: in esso il carattere individuale si autodetermina come “puro Inizio”. Nonostante vi sia, a questo riguardo, una certa movenza di tipo kantiano anche in S. (Kant: dal fatto della ragione, come coscienza del dovere, alla libertà, S.: dal senso di responsabilità delle proprie azioni alla libertà), è vero che la costruzione di S. è assai più semplice di quella kantiana, ma in realtà – magari questo può stupirci –, dati gli assunti kantiani inerenti la distinzione fenomeno/noumeno, essa è perfettamente coerente, a differenza di quella kantiana, che risulta invece artificiosa e soprattutto contraddittoria. Questo, certo, può sfuggirci, quando siamo inebriati dagli aromi di una ragione pratica purissima, sottilissima, inesistente.

Sulla “mancanza di rispetto che lui stesso ha dimostrato poche volte di avere nei confronti dei suoi maestri”. Il rispetto non è il tratto essenziale che definisce il grande filosofo (che Schopenhauer certamente è; il fatto che sia Heidegger a rifiutargli questo riconoscimento – cosa di cui mi informa Sgubonius – non fa problema, anzi è una ulteriore conferma della natura autenticamente filosofica di quello che hai definito un “grande studioso”) ma semplicemente la persona civile. Forse che S. è incivile? Forse in un certo senso sì, ma bisognerebbe evitare di confondere il rispetto con la piaggeria e la mancanza di esso con la colorita vigoria critica. Forse non ti è capitato di leggere quei passi in cui emerge la sconfinata ammirazione che S. nutre nei confronti di quello “spirito gigantesco”, anche nel momento in cui si accinge a criticarlo. Perciò propongo a conclusione del mio commento un passo tratto dalla Critica della filosofia kantiana, Appendice al primo volume del Mondo: “Non bisogna […] aspettarsi che il mio rispetto per Kant, certo profondamente sentito, si estenda anche alle sue debolezze e manchevolezze, e che io debba quindi non altrimenti svelarli che col più cauto riguardo, nel che la mia esposizione diverrebbe per i rigiri debole e fiacca. Verso un vivo si ha bisogno di un tale riguardo, perché la debolezza umana sopporta anche la più giusta confuta zione di un errore solo fra attenuazioni e moine e anche così con difficoltà, e un maestro di secoli e benefattore dell'umanità merita per lo meno che si risparmi anche la sua debolezza umana, per non causargli dolore. Ma il morto si è spogliato di questa debolezza; il suo merito sta saldo: il tempo lo purificherà sempre più da ogni soprav valutazione e abbassamento. I suoi errori devono esserne separati, resi innocui ed essere quindi commessi all'oblio. Perciò io, nella polemica da intonare qui contro Kant, ho l'occhio esclusivamente ai suoi errori e debolezze, sto lo ro ostilmente di fronte e conduco contro di loro una spie tata guerra di sterminio, sempre preoccupato non di co prirli e risparmiarli, ma piuttosto di porli nella luce più chiara, per distruggerli con tanto maggior sicurezza. In ciò, per i motivi sopra indicati, non ho coscienza di com mettere un'ingiustizia o un'ingratitudine contro Kant. Comunque, per rimuovere anche agli occhi degli altri ogni parvenza di malignità, voglio prima manifestare an cora la mia profonda venerazione e gratitudine per Kant con l'esprimere in breve il suo merito principale, quale appare ai miei occhi, e invero da punti di vista tanto universali, da non esser costretto a toccare insieme con esso i punti, in cui dovrò in seguito contraddirlo. Il merito maggiore di Kant è la distinzione del fenomeno dalla cosa in sé [etc.]”

Commenti

sgubonius ha detto…
Giusto per chiarimento: Heidegger ha un concetto un po' particolare di "filosofia" e di storia del pensiero. Nella sua ottica, Schopenhauer non rientra in nessun momento fondamentale della storia della metafisica, non ha introdotto nuovi modi di pensare l'ente, e quindi rimane di fatto fuori dal "giro".

Per questo anche la critica a Kant sarebbe un po' vaga, nel senso che di fatto non si sviluppa sulla stessa campo. Diventa insomma una questione di parole. Quello che Heidegger chiama filosofo (per inciso H. non considerava se stesso un filosofo ma un pensatore) è praticamente quello che Nietzsche chiama "operaio della filosofia".
Sulla moda e la new age. Convengo in parte con quanto scrivi. La mia intenzione era quella di mette in evidenza l'attuale riscoperta di Schopenhauer e la celebrità che il filosofo gode nel mondo attuale, a dispetto dell'oblio al quale sembrava esser consegnato in altri anni. Mi sono limitato a fornire un dato. Nel contempo, è ovvio che meriti e demeriti della cultura new age, protagonista della riscoperta di S., non possono essere attribuiti al filosofo, così come i crimini dello Stalinismo non possono essere certamente attribuiti a Marx. Tuttavia, si dice il evro se si scrive che Marx ha continuato ad esser presente nel dibattito culturale anche grazie alla presenza del "comunismo" reale, così come Schopenhauer è oggi presente in tanti "luoghi" filosofici e non, anche a causa della cultura new age che lo ha elevato a proprio Guru. Non vi è nulla di impreciso in tutto ciò, basta distinguere con chiarezza tra S. e i suoi "discepoli" di oggi, cosa che non ho mancato di sottolineare: «D'altronde è bene non confondere la "cultura" new age con l'antico buddismo, così come Schopenhauer dai suoi discepoli, che, quantomeno, risultano inadeguati alla grande cultura e alle straordinarie capacità stilistiche e "musicali" del maestro».

Sulla “volgare esaltazione dell’egoismo animale” e Sulla “scarsa capacità teoretica. Permetti, trovo il tuo appunto abbastanza fumoso: tu sei limitato a notare come Schopenhauer non esalti ma descriva il reale, appellandoti ad un presunto "realismo". Ma, appunto, il "realismo" è solo presunto e il fatto che tu lo veda non è detto che altri lo condividano. Così come l'idea che Nietzsche esalti l'egoismo e S. invece si attenga ai fatti, è un giudizio tuo e non è certo giustificato: la linea tra "realismo" ed "esaltazione" è evidentemente differente tra i nostri giudizi e finchè non troverai - ma è questa la questione morale! - un criterio adatto stabilire se e in che punto è lecito porre un linea di demarcazione tra realismo ed esaltazione, i nostri resteranno giudizi inciliabili. E inconciliabili non significa ingiustificati: entrambi attengono ad un'insieme di motivazioni e a strutture complessive differenti. Con lo stesso ordine di motivi mi oppongo all'appunto successivo: ancora una volta affermi un tuo perosnale giudizio che tuttavia non va a intaccare la mia lettura - così come, all'inverso, la mia lettura non va a intaccare la tua.
Sul “pessimo filosofo. Guarda, mi attribuisci un concetto che non mi sono mai azzardato di pensare: «Primo, che l’essere indeterministi e l’essere convinti che l’uomo non sia una parte di natura come le altre irretita nel principio di ragione – e non il fornire argomenti validi atti a sostenere tali convinzioni – siano condizione necessaria dell’essere buoni filosofiè assurdo. Al massimo sono una condizione necessaria per essere buoni cattolici. Non si può individuare il criterio per stabilire se un pensiero sia degno del titolo di “grande filosofia” nella conformità ad un dogma». mi sono permesso di dare del "cattivo filosofo" non in virtù di conclusioni a me distanti, ma in virtù del tentativo di strumentalizzare Kant per i propri fini. Mi dirai che è un tentativo comune a molti grandi filosofi e che, in una certa misura, è persino un processo inevitabile perchè attiene all'interpretazione. Certo, ma c'è ua distanza importante tra l'interpretare - o, al limite, risemantizzare al fine di confutare, come dici te - e la lettura parziale di un filosofo. Questa distinzione è ben riconosciuta da tutti, altrimenti non vi sarebbero "rimandati" negli esami di filosofia - ahimè, ci stiamo avvicinando a questa condizione. Per affermare il suo principio della volontà, S. avrebbe potuto benissimo scriverlo ex-novo, non fornire una visione kantiana palesemente strumentalizzata perchè a quel punto è lecito che mi sorga il dubbio sulla capacità teoretica: S. distorce Kant perchè vuole confutarlo o proprio perchè non ci ha capito gran che?

Sulla “mancanza di rispetto che lui stesso ha dimostrato poche volte di avere nei confronti dei suoi maestri. Non significherà nulla, ma mi concedi un'opinione di gusto? Il passo da te riportato è molto bello, ma cozza decisamente con altre affermazioni, il che può indurre a supporre che il passo da te riportato sia una mera dissimulazione. Ad esempio. Ma non è certo questo il nucleo: mi limitavo ad una critica "di stile". Mi piace la discussione e la critica educata e credo che la nostra piccola diatriba dimostri come si possono confrontare idee molto distanti senza giungere a insulti o a denigrare "l'avversario".
Con gratitudine e sincera amicizia, Andrea.
Cerbiatto ha detto…
"Sulla scarsa capacità teoretica di A.Schopenhauer": gentile studioso in tutta l'opera di A.Schopenhauer non c'è traccia di riflessione sistematica su temi di portata gnoseologico-epistemologica. Non compare neanche una riga in cui l'Autore problematicizzi in senso squisitamente teoretico gli assunti fondamentali del criticismo kantiano: il rapporto logica-filosofia, la lettura kantiana dell'a-priori, il rapporto filosofia-scienza, la possibilità di parlare sensatamente di "critica",ect. S. ho avuto modo di studiarlo anche in lingua: la sua opera è letteratura filosofica pervasa da profonde intuizioni più relative all'esistenza individuale e collettiva, mancando quasi sempre di stringente argomentazione.
Grazie Cerbiatto per la risposta chiara e decisa e, soprattutto, benvenuto nella Cittadella! Inutile sottolineare come condivida la tua analisi; vediamo cosa risponderà Ernesto.
Ernesto ha detto…
Andrea, ti ringrazio per l'ospitalità e per la prontezza con cui mi hai risposto.
A Cerbiatto. Essendo così appassionato di questo autore, mi piacerebbe poterti dire con decisione: “Dici solo sciocchezze!” e, dirtelo con diritto, cioè potertelo anche dimostrare. Questo però non posso farlo, non solo perché una critica così ampia come la tua meriterebbe una risposta che occuperebbe molto più spazio di quello che questo luogo consente (e naturalmente la tua stessa critica ne avrebbe bisogno, dato che espressa in forma così stringata e con affermazioni così generali rende impossibile una risposta), ma anche, e soprattutto, perché non ho mai effettuato uno studio davvero approfondito della Quadruplice radice né del primo libro del Mondo e dei Supplementi a questo relativi. Quindi, quanto a quello che dici a proposito della trattazione schopenhaueriana dei problemi gnoseologico-epistemologici che hai elencato, in tutta onestà, non posso che arroccarmi su un assai poco teoretico “ehm, non mi convinci”. Ciò che apprezzo di Schopenhauer sono in realtà la teoria metafisica della Volontà ed ancora di più l’antropologia e l’etica. Io sono convinto che S., come tu stesso riconosci, abbia conseguito in questi ultimi due ‘ambiti’ delle profonde intuizioni. E almeno limitatamente a questi temi, che invece ho approfondito, trovo davvero sbagliato dire che S. manchi “quasi sempre di stringente argomentazione”. Poiché la “capacità teoretica” non definisce esclusivamente la capacità di trattare argomenti gnoseologico-epistemologici, ma la capacità di pensare filosoficamente in generale nella molteplicità delle applicazioni, allora escluderei che S., per lo meno quanto ad antropologia ed etica, ne sia sprovvisto. Quanto alla teoria della Volontà, trovo che sia un pensiero metafisico senza pari. Chiaramente non perché credo che sia esente da errori o perché la ritengo vera, ma perché, per quanto mi è noto, in nessun altro filosofo precedente o successivo l’essenza delle cose è stata individuata in qualcosa di così vicino, direi quasi tangibile (prima ho detto un qualitativo, un percepito). Qui il metro del mio apprezzamento, lo dico chiaramente, non è veramente teoretico, cioè non valuto tale teoria quanto alla sua verità (certo, quella che io reputo tale), come in etica ed antropologia, ma piuttosto quanto alla sua originalità e al suo fascino di soluzione dell’enigma del mondo, pensiero che non si distacca dal mondo ma mantiene un costante rapporto con esso, perché è formulato appunto per spiegarlo.
Figlio del cerbiatto ha detto…
Dunque, in primis grazie per la risposta. Sì, per quanto concerne la tua ultima obiezione scrivo: "mancando QUASI sempre di una stringente argomentazione". Certo, la "capacità teoretica" è la capacità trattare in profondità ogni questione. Ma non puoi non convenire con me che l'opera di S. sia un caso di letteratura filosofica pervasa da profonde intuizioni etiche ed antropologiche. La rilettura kantiana di S.è di certo riduttiva, coerente nella misura in cui identifica la cosa in sé con la Volontà, ma di scarso rilievo teoretico nella misura in cui molte delle questioni nevralgiche del pensiero di Kant non ricevono trattazione. Il saggio "Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente" è ciò S. ha scritto di più teoreticamente pregevole. Se su due piedi dovessi elencarti ciò che a mio avviso meriterebbe uno studio attento del pensiero di S. dire: la coincidenza di etica e gnoseologica, laddove il superamento del p. individuationis è etico e gnoseologico al tempo stesso; la metaforica della luce, del sole e della luna; l'antropologia; il tema della "coscienza migliore" nei primi scritti Postumi; l'idea che la filosofia sia da ridurre all'università ad un Corso di Storia della filosofia (geniale); il problema del "fetor judaicus"; la concezione dell'arte. Inoltre, un conto è avere delle intuizioni teoretiche, altro è svilupparle con metodo.