Fabrizio De Andrè, filosofia della religione.

Io mi ritengo religioso, e la mia religiosità consiste nel sentirmi parte di un tutto, anello di una catena che comprende tutto il creato, e quindi nel rispettare tutti gli elementi, piante e minerali compresi, perché secondo me l’equilibrio è dato proprio dal benessere diffuso in ciò che ci circonda. La mia religiosità non arriva a cercare di individuare il principio, che tu voglia chiamarlo creatore, regolatore o caos non fa la differenza. Però penso che tutto quello che abbiamo intorno abbia una sua logica, e questo è un pensiero al quale mi rivolgo quando sono in difficoltà, magari anche dandogli i nomi che ho imparato da bambino, forse perché mi manca la fantasia per cercarne altri. Compagni, amici, coetanei considerarono "La buona novella" anacronistico. Non avevano capito che quel disco voleva essere un’allegoria che si precisava nel paragone tra le istanze migliori e più sensate della rivolta del Sessantotto e quelle, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate, ma da un punto di vista etico-sociale direi molto simili, che, 1969 anni prima, un signore aveva fatto contro gli abusi del potere, in nome di un egualitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth, e secondo me è stato ed è rimasto in più grande rivoluzionario di tutti i tempi. (Fabrizio De Andrè)

Torno a trattare di Fabrizio De Andrè, a distanza di un anno, dopo aver incrociato nella rete questa splendida citazione, che conoscevo, ma che non avevo mai pensato a fondo. Si tratta, vado sostenendo, di filosofia della religione. La prima parte della citazione esplode di una spiritualità altissima: non vado cercando il creatore, non ho la forza nè le capacità per farlo; non voglio individuare e cattuirare il principio, ma lui mi rivolgo quando sono in difficoltà perchè lo vedo in questo nostro mondo, lo vedo nella logica di ciò che intorno a me vive e respira; lo vedo nel pescatore e gente che sale per la Creuza de ma, lo vedo nel borghese di Ottocento o nel bombarolo disperato; lo vedo negli occhi della prostituta di via del Campo. Vedo il preatore lo prego, non importa come o con quale nome, perchè tanto carcare un nome adeguato è inutile: è tutta fantasia. Concludevo così l'intervento dello scorso anno: L'accesso allo spirito del tempo non passa attraverso le soluzioni e le divisioni ma attraverso la straripante esperienza degli uomini d'ogni condizione, del pescatore o del Cristo indifeso sulla croce ed è un toccare che dischiude l'anima dell'uomo verso la Verità, in se stessi e nel mondo. Ma attenzione: non si tratta solo di una religiosità passiva. Il crosto è sceso tra di noi e ha compiuto una vera epropria rivoluzione: ha riscattato gli umili e curato gli ammalati. Per De Andrè quella religiosità che tutto sostanzia non può che indurci ad una sequela radicale del Cristo: insieme a lui devi scendere nei vicoli pià buoi, devi avvicinarti all'umanità più difficile e difenderli dagli "abusi del potere, in nome di un egualitarismo e di una fratellanza universali". Valori che si fanno azioni e azioni che viviono in virtù dei valori. Un nesso indissolubile tra la ricerca della Verità e l'etica.

Commenti

Gianni di Gregorio ha detto…
Scoperta De André.
Il poeta della mia gioventù.
Dopo 40 anni ritorna, come ritornano altri.
Sentiti anche Joan Manuel Serrat.

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