Pierre Hadot e la "cittadella interiore"
Ieri sera ho piacevolmente passeggiato lungo il Corso di Ortona in compagnia di un "viandante" della mia cittadella e un compagno di viaggio in questa stupenda avventura della ricerca del Principio in se stessi. Lui mi chiedeva, con gusto, da dove avessi attinto questa terminologia, che lo affascinava moltissimo: "La cittadella", che ognuno costruisce dentro di sè e tra i cui vicoli, nelle ombre, dietro alle porte più umili e nelle periferie più sfumate, abita quella Luce che noi chiamiamo Dio. Ahimè devo rispondergli con grande tristezza. La formulazione di questa metafora risale all'imperatore romano Marco Aurelio - altra grande personalità, a cui spero di dedicare presto un articolo - ed è stata riportata in auge da uno studioso francese, Pierre Hadot, un filosofo molto conosciuto nell'ambiente degli storici della filosofia per le sue continue ricerche sul pensiero antico, in particolar modo sul pensiero "romano" di Mario Vittorino, di Porfirio e dello stesso Marco Aurelio. Ebbene, La citadelle intérieure è prorpio il titolo di un'opera di introduzione ai Pensieri di Marco Aurelio, che Pierre Hadot scrive nel 1992 e viene tradotta in Italia circa quattro anni più tardi dalla casa editrice VitaePensiero. Pierre Hadot recupera così questa metafora dallo stoicismo romano e ne ripropone tutta la forza in questo nostro mondo contemporaneo; Scrive Marco Aurelio: «ricordati che il principio direttivo diviene invincibile quando, raccolto in se stesso, si contenta di non fare ciò che non vuole, anche se questa resistenza è irrazionale. E che dire, poi, quando giudica con razionalità e ponderazione? Ecco perchè l'intelligenza libera da passioni è una cittadella. L'uomo, infatti, non ha nulla di più saldo in cui rifugiarsi ed essere per sempre in una posizione inespugnabile».
Eppure, ve ne sarete resi conto, il senso con il quale utilizzo abitualmente la metafora in queste "pagine" è leggermente differente dalla formulazione di Marco Aurelio; sono sempre stato conscio di questo slittamento e difatti seguo una lunga tradizione che ha acquisito il linguaggio stoico e lo ha trasposto nel nuovo ambiente cristiano. Questo tipo di "violenza" sul mondo antico è per un verso una chiara distorsione ma per un altro, quello che ritengo senza dubbio più proficuo e stimolante, è il tentativo di conservare un portato, una sapienza, una precedente conquista e accoglierla nel nuovo, farla venire a dialettico confronto con la novitas cristiana. Il pensiero cristiano, d'altronde, è tutto intriso di stoicismo e di metafora stoiche - la favilla dell'anima, ad esempio. Pierre Hadot, da parte sua, recupera Marco Aurelio nel suo tempo, nel suo pensiero e nelle problematiche che in quel periodo tormentavano l'imperatore. E' un lavoro di grande interesse storico che sa coniugare la fedeltà all'originale con la capacità di estrapolare un messaggio da veicolare alla contemporanità; ecco come nasce quel concetto che ha reso importante anche il Pierre Hadot filosofo: gli esercizi spirituali. Questa idea della filosofia come maniera di vivere, questo approccio tutto tardo-antico (e non cristiano, seppur globalmente affine) è stata la proposta più interessante del filosofo Pierre Hadot, un uomo che visse la sua vita filosofica con questa carica esperienziale straordinaria, con la costante preoccupazione di vivere in armonia con il cosmo e con i propri simili. Una volta raccontò di essersi sentito investito dalla natura in una serata d'estate, quando, da bambino, si stese su un prato a osservare le stelle. Racconta di aver sentito tutto il cosmo nel suo cuore. Ed è proprio questo "sentire", a mio avviso, così naturale e così alto, che manca alla recente filosofia accademica, troppo impegnata da un lato a riproporre un noioso quanto inutile nozionismo e dall'altro chiusa nel becero formalismo. Non posso dunque che consigliare a tutti la lettura dei testi di Pierre Hadot, tenendo presenti gli appunti che poc'anzi segnavo e cercando di respirare questo spirito di ricerca dell'armonia, a cui i filosofi antichi tanto miravano. Ma, scrivevo ad inizio articolo, è con grande tristezza che accenno alla grande figura di Pierre Hadot, perchè ha lasciato questo mondo proprio qualche giorno fa, il 14 aprile 2010. Questo piccolo articolo sia di tributo alla sua memoria e, nel mio piccolo, sia un ringraziamento personale per quelle ore di grande altezza spirituale che ho passato in compagnia dei suoi testi, che mi hanno formato personalmente più di quanto, credo, non ne sia io stesso cosciente. Riposa in pace.
Eppure, ve ne sarete resi conto, il senso con il quale utilizzo abitualmente la metafora in queste "pagine" è leggermente differente dalla formulazione di Marco Aurelio; sono sempre stato conscio di questo slittamento e difatti seguo una lunga tradizione che ha acquisito il linguaggio stoico e lo ha trasposto nel nuovo ambiente cristiano. Questo tipo di "violenza" sul mondo antico è per un verso una chiara distorsione ma per un altro, quello che ritengo senza dubbio più proficuo e stimolante, è il tentativo di conservare un portato, una sapienza, una precedente conquista e accoglierla nel nuovo, farla venire a dialettico confronto con la novitas cristiana. Il pensiero cristiano, d'altronde, è tutto intriso di stoicismo e di metafora stoiche - la favilla dell'anima, ad esempio. Pierre Hadot, da parte sua, recupera Marco Aurelio nel suo tempo, nel suo pensiero e nelle problematiche che in quel periodo tormentavano l'imperatore. E' un lavoro di grande interesse storico che sa coniugare la fedeltà all'originale con la capacità di estrapolare un messaggio da veicolare alla contemporanità; ecco come nasce quel concetto che ha reso importante anche il Pierre Hadot filosofo: gli esercizi spirituali. Questa idea della filosofia come maniera di vivere, questo approccio tutto tardo-antico (e non cristiano, seppur globalmente affine) è stata la proposta più interessante del filosofo Pierre Hadot, un uomo che visse la sua vita filosofica con questa carica esperienziale straordinaria, con la costante preoccupazione di vivere in armonia con il cosmo e con i propri simili. Una volta raccontò di essersi sentito investito dalla natura in una serata d'estate, quando, da bambino, si stese su un prato a osservare le stelle. Racconta di aver sentito tutto il cosmo nel suo cuore. Ed è proprio questo "sentire", a mio avviso, così naturale e così alto, che manca alla recente filosofia accademica, troppo impegnata da un lato a riproporre un noioso quanto inutile nozionismo e dall'altro chiusa nel becero formalismo. Non posso dunque che consigliare a tutti la lettura dei testi di Pierre Hadot, tenendo presenti gli appunti che poc'anzi segnavo e cercando di respirare questo spirito di ricerca dell'armonia, a cui i filosofi antichi tanto miravano. Ma, scrivevo ad inizio articolo, è con grande tristezza che accenno alla grande figura di Pierre Hadot, perchè ha lasciato questo mondo proprio qualche giorno fa, il 14 aprile 2010. Questo piccolo articolo sia di tributo alla sua memoria e, nel mio piccolo, sia un ringraziamento personale per quelle ore di grande altezza spirituale che ho passato in compagnia dei suoi testi, che mi hanno formato personalmente più di quanto, credo, non ne sia io stesso cosciente. Riposa in pace.
Commenti
Una cosa analoga penso possa anche valere per un passaggio fra lo stoicismo greco (non statale) e quello romano (statale), e analogamente nel cristianesimo che va istituzionalizzandosi.
Il rischio è quello di chiudersi nell'edificare un monastero che è solo la reazione reattiva all'angoscia dello "stare nell'aperto" (Lichtung). Il fondo che si va ad abitare dovrebbe essere uno sfondamento, un abisso, un "negativo".
Lo stoicismo resta come pensiero quasi identico, ma differisce (mi pare) di molto la temperie culturale in cui si colloca, fra Grecia e Roma. Heidegger tenta di passare dal linguaggio, certamente l'approccio è discutibile (bisogna prima pensare che esso sia "la casa dell'Essere"). Heidegger a parte, resta una funzione molto diversa dell'Amor Fati in un impero e in una polis, lo stoicismo non è indifferente al "sociale" (non è l'epicureismo), è fatto di responsabilità, di posizioni sociali, di "istituzioni" (Seneca comunque non dimenticare che era precettore di Nerone, ed il suicidio sarà dettato dalla politica), e questo in Grecia aveva tutt'altro significato (pensa a Zenone, non era certo uno accomodante, oppure Crisippo sul linguaggio, i romani si guardano bene di solito da queste problematiche), ecco perché i modi di esprimersi sono importanti come strutture di mondi. Insomma il pensiero resta in larga parte invariato, ma cambiando le condizioni di applicazione di fatto cambia molto, ma sono differenze che si nascondono, che passano per traduzioni innocue di parole dal greco al latino, di dottrine dalla polis all'impero, ma con effetti di assestamento enormi.
Un discorso analogo vale per il cristianesimo, non perché c'entri con lo stoicismo, solo perché allo stesso modo il pensiero rimanendo invariato diventa parte di sistemi centralizzanti di potere, con dottrine paleocristiane che si incancreniscono in dogmi che hanno l'unico scopo di terminare le discussioni, allocare ortodossia e eresia, e formare un centro che decida di tutto questo. Sicuramente è una cosa soprattutto mediovale, filosoficamente è la schola che si occupa di ordinare tutte le gerarchie, ma tu sai che per me già Agostino è sulla cattiva strada con quei trattati contro le eresie (sic) e col de civitate dei (mentre all'opposto le Confessioni trasudano l'ardore dello stare di fronte all'Aperto fin dalle prime due frasi del primo libro).
Poi anche io non sono ferratissimo in stoicismo, e peraltro di quello greco è rimasto molto poco mi pare, per cui si va sempre per supposizioni e per lo più il discorso vale genericamente, con lo stoicismo come caso specifico. Insomma per farla breve ancora oggi ci trasciniamo nostalgie di cittadelle inespugnabili, che rischiano di essere prigioni e tombe, nelle quali il logos greco starebbe molto stretto.