Il 12 settembre, dieci anni dopo.
Questa mattina mi sono dedicato alla lettura più o meno attenta delle maggiori testate italiane per capire - con volontà statistica e sociologica - in che modo l'Italia ha accolto la notizia della morte di Osama Bin Laden. Ciò che sorprende è finalmente una tendenziale uniformità di giudizio, per così dire, nel ritenere l'uccisione di Obama come la caduta di un simbolo della cruenta lotta di una certa parte del fondamentalismo islamico contro l'Occidente europeo e Statunitense - non si dimentichi che all'11 settembre hanno seguito gli attentati a Madrid, Londra e Sharm el Sheik; nonostante le differenti sfumature e gli accenti, è allora possibile affiancare, ad esempio, editoriali di Alessandro Sallusti (Il Giornale), Giuliano Ferrara (Il Foglio), Mario Sechi (Il Tempo), Sergio Romano (Il Corriere della Sera) e di Ezio Mauro (Repubblica) ed estrapolare un monito importante: difatti se per un verso Bin Laden era il simbolo del fondamentalismo, per l'altro - ci dicono questi importanti giornalisti - era soltanto un simbolo; a quanto pare, come scrive Marcello Veneziani, Bin Laden era uno "zombie" da molto tempo e il cervello di al-Qaida è in realtà qualcun altro.
Ebbene, per quanto tutto ciò possa esser vero, il rischio è che questo modo di pensare ci porti davvero ad una guerra infinita, come teorizzato dai neo-con la scorsa decade di secolo; Oriana Fallaci, spesso citata in questi giorni, aveva buon gioco ad ammonire contro facili ottimismi, ma non dobbiamo commettere l'errore di scendere nell'inferno della guerra totale per cui sarebbe necessario spostare continuamente la mira con il solo motivo di "non star tranquilli", ricaricando così il fucile fino ad eliminare "l'ultimo" superstite. Questo sarebbe un errore. Allora buon senso vorrebbe che, seppur con grande attenzione, si chiuda oggi questa pagina tremenda dell'inizio del millennio e si ricominci a considerare il rapporto con l'Islam come è stato per secoli, ovvero come uno scontro-confronto che, tuttavia, non è guerra. Detto questo, oggi mi sento di spingere più sulla coesione dell'Italia dei giornali dinanzi a questo evento, come accennavo poc'anzi, piuttosto che alle differenze e alle divisioni. L'Italia stavolta non sfigura. Negli U.S.A. G.W. Bush si è complimentato con Obama, il quale ha pronunciato un discorso pulito e carico di valori occidentali, sui quali - mi viene da pensare - possiamo ricominciare a puntare anche noi:
Ebbene, per quanto tutto ciò possa esser vero, il rischio è che questo modo di pensare ci porti davvero ad una guerra infinita, come teorizzato dai neo-con la scorsa decade di secolo; Oriana Fallaci, spesso citata in questi giorni, aveva buon gioco ad ammonire contro facili ottimismi, ma non dobbiamo commettere l'errore di scendere nell'inferno della guerra totale per cui sarebbe necessario spostare continuamente la mira con il solo motivo di "non star tranquilli", ricaricando così il fucile fino ad eliminare "l'ultimo" superstite. Questo sarebbe un errore. Allora buon senso vorrebbe che, seppur con grande attenzione, si chiuda oggi questa pagina tremenda dell'inizio del millennio e si ricominci a considerare il rapporto con l'Islam come è stato per secoli, ovvero come uno scontro-confronto che, tuttavia, non è guerra. Detto questo, oggi mi sento di spingere più sulla coesione dell'Italia dei giornali dinanzi a questo evento, come accennavo poc'anzi, piuttosto che alle differenze e alle divisioni. L'Italia stavolta non sfigura. Negli U.S.A. G.W. Bush si è complimentato con Obama, il quale ha pronunciato un discorso pulito e carico di valori occidentali, sui quali - mi viene da pensare - possiamo ricominciare a puntare anche noi:
Lasciatemi ricordare che possiamo fare tutto ciò non per la ricchezza o la forza, ma per ciò che siamo: una Nazione, davanti a Dio, indivisibile, con la libertà e la giustizia sopra ogni cosa.
(Barack Obama)
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