O tutti o nessuno! Ma perchè?

Ieri pomeriggio, per motivi di studio, ho avuto modo di riflettere su questo scritto di Giordano Bruno.
6. Senza dubbio ti costringe a realizzare e tentare ciò la necessità, per opera della quale l'uomo, posto in discrimine, ricerca e afferra le ali (come dicono) dell'aurora: così ha voluto Giove, il quale, affinchè non sia torpido l'ingegno umano nè muoia la sua forza vivida, congiunse a quello il bisogno che lo urge alle cose difficili.
7. Ricorda che Prometeo non fu gradito agli dei, o perchè costui, spargendo i tesori degli dei, sembrava incitare al torpore il genere umano, ovvero perchè costui faceva comune promiscuamente a degni e indegni una cosa eccellentissima.

Giordano Bruno, Il sigillo dei sigilli, tr. it. a cura di N. Tirinnanzi, BUR 2006

Fin da bambino ho trovato sempre difficile comprendere a fondo il senso di questo concetto: perchè "o tutti o nessuno"? Se io mi applico con fatica, affrontando la difficoltà, "faccio più di te" (come si suol dire), perchè io e te riceviamo lo stesso "compenso"? L'idea sembra attraversare trasversalmente tutta la storia del pensiero: è presente in molte religioni, secondo le quali alla fine per tutti ci sarà il "regno di Dio" (vedi Protestanti), è presente nei movimenti politici, dal liberalismo al marxismo, in una buona tradizione etica, secondo la quale il singolo uomo non è felice se non è inserito nella comunità felice etc. etc. Effettivamente un senso forte potrebbe averlo: Siamo tutti uguali e ogni sano progetto deve coinvolgere e retribuire tutti. Eppure sono convinto che questo tipo di approccio non solo svilisca il valore delle cose, rendendole di facile accesso ad ognuno, come indica Bruno, ma soprattutto appiattisca ogni "differenza" sul concetto di "euguaglianza". Se è vero che al "fondo" abbiamo una radice comune, è altrettanto vero che la differenza tra le persone, tra le loro capacità di studiare, elaborare, realizzare è un valore imprescindibile per la costruzione di una qualsiasi società. E non è un differenza solo "fenomenica", ovvero culturale e civile. Una società che miri a popolarsi di "uomini uguali" è una società che non ha futuro perchè solo nella coscienza di esser diversi è possibile costruire insieme e crescere. Inoltre nella "comunità degli uguali" la vita diverrebbe, scusate se è poco, molto molto noiosa.

Commenti

Anonimo ha detto…
Ma che intendi dire per "riceviamo lo stesso compenso"? Quale dovrebbe essere il "compenso" e quale sarebbe il metro di paragone per capire chi è più meritevole di altri?
Grazie.
Poni una domanda stupenda. In effetti se ragioniamo secondo "compensi" ad azioni questo tipo di problema è inevitabile. Si potrebbe ragionare anche escludendo i "compensi", ovvero pensando le cose a prescindere dalle conseguenze che hanno su di noi o sugli altri (Kant). Ma non mi voglio sottrarre alla domanda.
Giustamente se esaltiamo la differenza dobbiamo capire che c'è e ci deve essere sempre un terreno comune (metro di paragone) su cui valutare e decidere. Questo difatti è il problema centrale perchè se è facile trovare un metro per gli aspetti quantitativi della vita, non è lo stesso per quelli qualitativi (sforzo, valore delle cose, amore, passione etc.): è questo il problema che ha indotto Platone a pensare il "mondo delle forme" ed è lo stesso problema che noi vogliamo eludere, tant'è vero che nel mondo moderno tendiamo sempre a valutare ogni cosa secondo quantità e numeri (si pensi ai test di accesso alle università, in cui viene ridotto il sapere e il valore di una persona ad un punteggio). Questo è sicuramente un problema irrisolto ma che non può esimerci dal pensarlo o non può indurci a fuggirlo, come sta avvenendo. Secondo me sarebbe interessante pensare un base comune, una serie di regole e prassi condivise che tuttavia non significhino l'appiattimento delle differenze tra persone, perchè concedere "promiscuamente a degni e indegni una cosa eccellentissima" sicuramente non è la migliore soluzione.
Anonimo ha detto…
L'approccio Nietzschiano al problema dell'uguaglianza è molto ferreo. Nessun uomo è uguale, le gerarchie sono naturali, solo il risentimento dei deboli causa ideali come quelli democratici o cristiani. Sostanzialmente chi non è in grado di crearsi per sè la propria riconoscenza impedisce a chi ne è in grado di farlo. Kant e Hegel sono gli ultimi di questa grande corrente idealistica partorita dal testone di Platone!
Vattimo ha scritto un libro intitolato "Le avventure della differenza", penso che sia una bella frase per descrivere l'opposto dell'attuale dominante "morale del gregge".
Pensare la differenza attraverso Nietzsche è pericoloso, soprattutto per la tendenza riduttiva nei confronti della filosofia platonica, ricca di tematiche e spunti sulla differenza. Ma, come si sarà intuito dai miei precedenti interventi, con i platonici sono spesso troppo buono. Eppure basti pensare ad un'esperienza filosofica come quella di Plotino, tormentato dalla nostra "Identità e differenza", tra noi, con noi, con il mondo. Siamo diversi eppure nel fondo siamo identici perchè identica è la nostra radice. Ridurre ciò ad una dialettica schiavo/padrone non solo mi sembra limitante per il pensiero stesso, ma altamente discutibile e poco difendibile: come osserva M. Ferraris, in realtà quanto sono "forti" coloro che si son fatti sottomettere dagli schiavi? Com'è possibile che proprio il forte sia sottomesso? Siamo sicuri che, alla fine dei conti, i nobili non siano proprio coloro che hanno vinto?
Anonimo ha detto…
Certo la visione genealogica presta il fianco a queste critiche, ma qui si parlava solo di un metro per misurare il merito. Lo schiavo non vince, si limita a far perdere gli altri. Purtroppo io Platone lo mal digerisco, Plotino già mi è più in simpatia anche se lo conosco poco!
Concordo al 100% invece che fra totale diveristà e totale uguaglianza non ci sia alcuna... differenza. Ma non siamo in grado di comprendere (nella misura della calcolabilità che sta alla base del nostro impossessarci del mondo) nè un estremo nè l'altro.
Con Pascal potremmo concludere la tua riflessione: l'uomo è sospeso tra due abissi, infinitamente grande e piccolo, conoscenza e ignoranza, identità e differenza.
:)
Anonimo ha detto…
Pascal ha (quasi) sempre ragione!!
Andrea, poni un grosso problema. C'è da chiedersi se siamo in grado di pensarlo fino in fondo, senza che i nostri pregiudizi ci fermino. Intanto, il fatto che tu senta di sollevare questa questione non viene a tutti. Spesso quello che si sente dire è che tutti devono poter avere tutto. Io ti (e mi) chiedo fino a che punto possiamo andare in fondo, come occidentali, su questa strada. Inoltre, condividendo l'idea del cono rovesciato di Severino, ti (e mi) chiedo: il destino dell'Occidente coincide col destino dell'uomo? Perché se la risposta a quest'ultima domanda fosse: "Sì", il senso della domanda diverrebbe ancora più vertiginoso. E ci sono molti argomenti che mi lasciano pensare che sì, il destino dell'Occidente è il destino dell'uomo. Quindi, ogni domanda sulla condizione umana mi pare vertiginosa. Gli uomini sono tutti uguali? Io ti faccio una domanda preliminare: a questo punto io chiedo: Cos'è ciò per cui è massimamente importante chiederci se gli uomini sono uguali? Intendo dire: cosa accadrebbe se non ci facessimo questa domanda per, che so, l'ambito dell'istruzione? E per l'ambito della sicurezza pubblica? E per l'ambito della giustizia sociale? E per l'ambito dell'organizzazione del servizio saniotario pubblico? E per l'ambito religioso? E per l'ambito della fruizione artistica? Ecc.
Grazie
Paolo
Paolo per risponderti inizierei dalla coda del tuo intervento: è fondamentale porsi la domanda sull'uguaglianza perchè se non ce la ponessimo probabilmente saremmo indotti a perderla di vista, con evidenti danni. Ma forse, più che per considerazioni sugli effetti, sarei indotto a dire: è necessario porci la domanda sull'uguaglianza perchè, a priori, c'è già qualcosa, ovvero c'è un'uguaglianza di fondo che intuiamo, sentiamo, tra "noi uomini" e, in altra misura, anche con il mondo che ci circonda. Sostanzialmente la domanda mi sembra successiva all'evidenza dell'uguaglianza, eppure è necessaria per farci "prender coscienza", o, semplicemente, per tematizzare secondo "discorso razionale" ciò che già c'è e sentiamo. Mi rendo conto, ma non era voluto o cercato, di acquisire in toto il modello della dialettica platonica, che a mio parere, per quanto "antica" e oggi poco "accreditata", ci possa dare seriamente una mano. Il problema ora è quello che giustamente sollevavi ad inizio intervento: "siamo in grado di pensarlo fino in fondo, senza che i nostri pregiudizi ci fermino?" Che equivale a dire: fino a che punto il nostro "discorso razionale" possa corrispondere a ciò che c'è? E dal punto di vista conoscitivo: è possibile rendere "discorso razionale", quindi universale e condivisibile da tutti, in ogni tempo e luogo, quell'intuizione universale di uguaglianza? Certo, questo è il problema dell'occidente e diventa ancora più "vertiginoso" se lo si considera come il problema dell'umanità intera (quale, credo, in effetti sia).

Grazie mille per la bella discussione