O tutti o nessuno! Ma perchè?
Ieri pomeriggio, per motivi di studio, ho avuto modo di riflettere su questo scritto di Giordano Bruno.
Fin da bambino ho trovato sempre difficile comprendere a fondo il senso di questo concetto: perchè "o tutti o nessuno"? Se io mi applico con fatica, affrontando la difficoltà, "faccio più di te" (come si suol dire), perchè io e te riceviamo lo stesso "compenso"? L'idea sembra attraversare trasversalmente tutta la storia del pensiero: è presente in molte religioni, secondo le quali alla fine per tutti ci sarà il "regno di Dio" (vedi Protestanti), è presente nei movimenti politici, dal liberalismo al marxismo, in una buona tradizione etica, secondo la quale il singolo uomo non è felice se non è inserito nella comunità felice etc. etc. Effettivamente un senso forte potrebbe averlo: Siamo tutti uguali e ogni sano progetto deve coinvolgere e retribuire tutti. Eppure sono convinto che questo tipo di approccio non solo svilisca il valore delle cose, rendendole di facile accesso ad ognuno, come indica Bruno, ma soprattutto appiattisca ogni "differenza" sul concetto di "euguaglianza". Se è vero che al "fondo" abbiamo una radice comune, è altrettanto vero che la differenza tra le persone, tra le loro capacità di studiare, elaborare, realizzare è un valore imprescindibile per la costruzione di una qualsiasi società. E non è un differenza solo "fenomenica", ovvero culturale e civile. Una società che miri a popolarsi di "uomini uguali" è una società che non ha futuro perchè solo nella coscienza di esser diversi è possibile costruire insieme e crescere. Inoltre nella "comunità degli uguali" la vita diverrebbe, scusate se è poco, molto molto noiosa.
6. Senza dubbio ti costringe a realizzare e tentare ciò la necessità, per opera della quale l'uomo, posto in discrimine, ricerca e afferra le ali (come dicono) dell'aurora: così ha voluto Giove, il quale, affinchè non sia torpido l'ingegno umano nè muoia la sua forza vivida, congiunse a quello il bisogno che lo urge alle cose difficili.
7. Ricorda che Prometeo non fu gradito agli dei, o perchè costui, spargendo i tesori degli dei, sembrava incitare al torpore il genere umano, ovvero perchè costui faceva comune promiscuamente a degni e indegni una cosa eccellentissima.
Giordano Bruno, Il sigillo dei sigilli, tr. it. a cura di N. Tirinnanzi, BUR 2006
Fin da bambino ho trovato sempre difficile comprendere a fondo il senso di questo concetto: perchè "o tutti o nessuno"? Se io mi applico con fatica, affrontando la difficoltà, "faccio più di te" (come si suol dire), perchè io e te riceviamo lo stesso "compenso"? L'idea sembra attraversare trasversalmente tutta la storia del pensiero: è presente in molte religioni, secondo le quali alla fine per tutti ci sarà il "regno di Dio" (vedi Protestanti), è presente nei movimenti politici, dal liberalismo al marxismo, in una buona tradizione etica, secondo la quale il singolo uomo non è felice se non è inserito nella comunità felice etc. etc. Effettivamente un senso forte potrebbe averlo: Siamo tutti uguali e ogni sano progetto deve coinvolgere e retribuire tutti. Eppure sono convinto che questo tipo di approccio non solo svilisca il valore delle cose, rendendole di facile accesso ad ognuno, come indica Bruno, ma soprattutto appiattisca ogni "differenza" sul concetto di "euguaglianza". Se è vero che al "fondo" abbiamo una radice comune, è altrettanto vero che la differenza tra le persone, tra le loro capacità di studiare, elaborare, realizzare è un valore imprescindibile per la costruzione di una qualsiasi società. E non è un differenza solo "fenomenica", ovvero culturale e civile. Una società che miri a popolarsi di "uomini uguali" è una società che non ha futuro perchè solo nella coscienza di esser diversi è possibile costruire insieme e crescere. Inoltre nella "comunità degli uguali" la vita diverrebbe, scusate se è poco, molto molto noiosa.
Commenti
Grazie.
Giustamente se esaltiamo la differenza dobbiamo capire che c'è e ci deve essere sempre un terreno comune (metro di paragone) su cui valutare e decidere. Questo difatti è il problema centrale perchè se è facile trovare un metro per gli aspetti quantitativi della vita, non è lo stesso per quelli qualitativi (sforzo, valore delle cose, amore, passione etc.): è questo il problema che ha indotto Platone a pensare il "mondo delle forme" ed è lo stesso problema che noi vogliamo eludere, tant'è vero che nel mondo moderno tendiamo sempre a valutare ogni cosa secondo quantità e numeri (si pensi ai test di accesso alle università, in cui viene ridotto il sapere e il valore di una persona ad un punteggio). Questo è sicuramente un problema irrisolto ma che non può esimerci dal pensarlo o non può indurci a fuggirlo, come sta avvenendo. Secondo me sarebbe interessante pensare un base comune, una serie di regole e prassi condivise che tuttavia non significhino l'appiattimento delle differenze tra persone, perchè concedere "promiscuamente a degni e indegni una cosa eccellentissima" sicuramente non è la migliore soluzione.
Vattimo ha scritto un libro intitolato "Le avventure della differenza", penso che sia una bella frase per descrivere l'opposto dell'attuale dominante "morale del gregge".
Concordo al 100% invece che fra totale diveristà e totale uguaglianza non ci sia alcuna... differenza. Ma non siamo in grado di comprendere (nella misura della calcolabilità che sta alla base del nostro impossessarci del mondo) nè un estremo nè l'altro.
:)
Grazie
Paolo
Grazie mille per la bella discussione