Sulla difficoltà del dialogo

Ieri sera nella piazzetta della Nave di Cascella, a Pescara, ha avuto luogo un vivace dibattito sul concetto di moralità e sulla presunta "morale universale". Tralasciando i contenuti (scadenti) devo ammettere che la difficoltà più grande è stata nel metodo e nell'esposizione dei propri argomenti, a tratti davvero incomunicabili tra loro, quasi appartenessero ad ambiti e percorsi sghembi, che difatti non hanno portato a nessun guadagno finale, nessun punto condiviso. Emerge, con rammarico, la nostra (ovviamente anche la mia) incapacità a costruire qualcosa di con-diviso, di partecipato, di comune. Ieri sera mi riecheggiavano in testa gli ammonimenti di Platone, quegli inviti all'abbandono delle passioni e dell'attaccamento a sè, che, da cattivo filosofo, non sono stato in grado di seguire.

Commenti

daisy ha detto…
Dal 5 al 7 settembre si terrà a Pescara la seconda edizione de Il Salotto di Sofia, e l'organizzatore Carlo Tatasciore ( presidente della sezione francavillese della sfi, società filosofica italiana www.sfi.it) vorrebbe dedicare uno spazio a noi giovani.
Il prossimo fine settimana potremmo incontrarci qui a Pescara e provare ad immaginare qualcosa, anche al di là del Salotto ( per esempio creare un caffé filosofico ecc)
Vedo che siete tutti bravissimi e credo che se formassimo un gruppo potrebbe nascerne qualcosa di buono
L'invito è esteso a tutti gli interessati e appassionati, anche ai non-filosofi. Appena organizziamo qualcosa di più preciso, dedico un post all'iniziativa e faccio pubblicità.
Grazie Andrè
Flamel ha detto…
Ieri in bicicletta mi sono chiesto se l'etica non deve essere figlia della biologia e non della religione. La bioetica non c'entra nulla oggi con la biologia, che va esaminata nei suoi fondamenti e non nelle manipolazioni di cui oggi siamo capaci. Flamel
Anonimo ha detto…
Sono convinto che il pensiero sia una cosa fortemente individuale, più di qualsiasi altra. Possiamo trovare pensieri simili e mai uguali, per questo ritengo il dialogo la massima forma di condivisione, anche quando, apparentemente, non si giunge ad un traguardo. L'importante è che si pensi con la propria testa e non soltanto con quella di chi ha già pensato.

Antonio
Andrea ti ringrazio per il commento, è una bella sorpresa trovarti qui e spero che parteciperai assiduamente. Hai ragione sulla differenza biologia/bioetica e condivido la tua riflessione. E' Aristotele che sgancia l'etica dal mondo delle forme, dall'ontologia e dalla religione per individuare un tipo di sapere "umano", che vale "per lo più", come scrive nell'etica. Tuttavia la prospettiva di una aristotelica "biologia metafisica", ovvero un'analisi della biologia nei suoi fondamenti, fino a che punto rimane uno studio "per lo più"? E fino a che punto può valere per fondare un'etica? Dopotutto la forte differenza di metodo tra quel tipo di analisi e l'agire umano (che diviene immediatamente politico) rimane amplia.
Mi scuso con Antonio per la risposta tardiva, ma ho avuto alcuni impegni (esame).
Certo, il pensiero è "ontologicamente" individuale nel senso che è impossibile trovare due persone che pensano le stesse identiche cose. Se proviamo ad immaginare questa situazione, osserviamo l'assurda scenetta in cui, ad esempio, costoro utilizzano le stesse parole, gli stessi codici, per esprimere gli stessi concetti. (ma questa non è forse la pretesa della matematica?). Tuttavia non comprendo come puoi parlare di condivisione se pensi che
1) non vi sia piano di incontro ma ogni pensiero sia "fortemente individuale"
2) che senso avrebbe la condivisione se non porta a nulla di condiviso?
Sul primo punto rimando alle considerazioni che portavo avanti qui O tutti o nessuno! Ma perchè? sulla necessità di un metron, di un piano di condivisione.
Sul secondo punto vorrei soffermarmi perchè penso, scusa Antonio, che al tuo discorso soggiaccia la tendenza moderna e post-moderna a ridurre la filosofia ad un'attività "secondaria", quasi superflua, perchè la verità è fatto "scientifico". La filosofia ha a che fare con la verità e se un discorso non porta a verità evidentemente non ha raggiunto il suo scopo, è inutile, è mera attività ludica. Recuperare la forza veritativa di un metodo che non è certo quello scientifico, ma che è al pari di quello scientifico perchè pari esercizio di ragionamento, significa credere in un dialogo che porti a verità, significare credere nella la forza della ragione, sapersi porsi in continuità con la tradizione di chi ha già pensato per capire innanzitutto te stesso. Non è questa la forza dell'ermeneutica? non è questa, forse, la forza dell'ammonimento dell'oracolo di Delfi?
Anonimo ha detto…
Il senso del mio discorso è che il dialogo è utile perchè, proprio grazie alle differenze di pensiero, un individuo può scoprire nuove strade e nuovi sbocchi per se stesso. La più grande dote dell'essere umano è il ragionamento, sia scientifico che filosofico, ma non credo che si possa dare una "giusta" interpretazione ad ogni cosa. Lasciando perdere i discorsi irrisolvibili(tipo quello nostro sulla morale), abbiamo quelli risolvibili certamente e quelli risolvibili diversamente. Insomma il mio pensiero è questo: alcuni discorsi sono irrisolvibili, però già il fare un discorso secondo me è utile per far emergere nuovi ragionamenti dal confronto con altri, perchè in qualsiasi caso non si arriverà mai ad una verità; bisogna prendere il pensiero degli altri, anche di quelli più autorevoli e riggirarlo fino a star male, perchè l'importante è ragionare sempre e sempre. Ma questa è solo un'opinione

Antonio