Sulla difficoltà del dialogo
Ieri sera nella piazzetta della Nave di Cascella, a Pescara, ha avuto luogo un vivace dibattito sul concetto di moralità e sulla presunta "morale universale". Tralasciando i contenuti (scadenti) devo ammettere che la difficoltà più grande è stata nel metodo e nell'esposizione dei propri argomenti, a tratti davvero incomunicabili tra loro, quasi appartenessero ad ambiti e percorsi sghembi, che difatti non hanno portato a nessun guadagno finale, nessun punto condiviso. Emerge, con rammarico, la nostra (ovviamente anche la mia) incapacità a costruire qualcosa di con-diviso, di partecipato, di comune. Ieri sera mi riecheggiavano in testa gli ammonimenti di Platone, quegli inviti all'abbandono delle passioni e dell'attaccamento a sè, che, da cattivo filosofo, non sono stato in grado di seguire.
Commenti
Il prossimo fine settimana potremmo incontrarci qui a Pescara e provare ad immaginare qualcosa, anche al di là del Salotto ( per esempio creare un caffé filosofico ecc)
Vedo che siete tutti bravissimi e credo che se formassimo un gruppo potrebbe nascerne qualcosa di buono
Grazie Andrè
Antonio
Certo, il pensiero è "ontologicamente" individuale nel senso che è impossibile trovare due persone che pensano le stesse identiche cose. Se proviamo ad immaginare questa situazione, osserviamo l'assurda scenetta in cui, ad esempio, costoro utilizzano le stesse parole, gli stessi codici, per esprimere gli stessi concetti. (ma questa non è forse la pretesa della matematica?). Tuttavia non comprendo come puoi parlare di condivisione se pensi che
1) non vi sia piano di incontro ma ogni pensiero sia "fortemente individuale"
2) che senso avrebbe la condivisione se non porta a nulla di condiviso?
Sul primo punto rimando alle considerazioni che portavo avanti qui O tutti o nessuno! Ma perchè? sulla necessità di un metron, di un piano di condivisione.
Sul secondo punto vorrei soffermarmi perchè penso, scusa Antonio, che al tuo discorso soggiaccia la tendenza moderna e post-moderna a ridurre la filosofia ad un'attività "secondaria", quasi superflua, perchè la verità è fatto "scientifico". La filosofia ha a che fare con la verità e se un discorso non porta a verità evidentemente non ha raggiunto il suo scopo, è inutile, è mera attività ludica. Recuperare la forza veritativa di un metodo che non è certo quello scientifico, ma che è al pari di quello scientifico perchè pari esercizio di ragionamento, significa credere in un dialogo che porti a verità, significare credere nella la forza della ragione, sapersi porsi in continuità con la tradizione di chi ha già pensato per capire innanzitutto te stesso. Non è questa la forza dell'ermeneutica? non è questa, forse, la forza dell'ammonimento dell'oracolo di Delfi?
Antonio