L'Eutifrone e il mondo ateniese

Nelle pagine dell’Eutifrone emerge innanzitutto l’ambiente culturale ateniese, nel quale la sfera religiosa andava a costituire un tutt’uno con le pratiche di vita cittadina al punto che i precetti religiosi assumevano un valore determinante per la stessa giustizia “umana” del tempo. Nel dialogo in questione, ad esempio, la concettualità pagana si riflette nel morboso timore di Eutifrone per una possibile contaminazione (miasma), che verrebbe contratta qualora l’omicidio avvenuto in casa propria e per mano indiretta del padre non fosse denunciato in tribunale. Il legame tra il divino e la città è subito evidente ed è significativo come il giudizio degli uomini in tribunale possa in qualche modo trovare riscontro tra gli dèi. Eutifrone narra a Socrate le vicende avvenute in casa propria e, attraverso di esse, le motivazioni che lo spingono a denunciare il padre in tribunale:
Ora appunto, il morto era un mio dipendente che lavorava stipendiato da noi quando coltivavamo la terra a Nasso. Un giorno, ebbro com’era di vino, incolleritosi contro uno dei nostri schiavi, lo uccise. Mio padre, allora, fattolo legare mani e piedi, lo gettò in una fossa, e mandò qui uno per sapere dall’esègeta che cosa si dovesse fare. Per tutto questo tempo non si prese cura di quell’uomo in catene, anzi lo trascurò completamente: quasi che non importasse nulla se anche moriva visto che era un omicida. E questo infatti accadde; perché per fame, il freddo e le catene, quello morì prima che il messo fosse tornato dall’esègeta.
Dal punto di vista di Eutifrone, l’omicidio è un atto moralmente pericoloso e perciò è necessario analizzare la questione in maniera precisa: per decidere come comportarsi nei confronti dell’assassino, chiunque sia, è necessario vedere se egli era in diritto di uccidere o meno; «se era in diritto di uccidere, lascialo pure andare; se non lo era intentargli un’accusa anche se l’uccisore abiti sotto il tuo tetto e mangi alla tua mensa» . In questo intreccio di questioni è interessante notare come, nella concezione di Eutifrone, la giustizia terrena, ossia la denuncia ad un tribunale, possa riscattare o quantomeno preservare l’omicida, i suoi vicini e famigliari da conseguenze nefaste. Nella tradizione greca, difatti, la contaminazione causata da un omicidio implicava un’offesa religiosa ed era estesa anche alla famiglia dell’assassino, come ribadisce Eutifone stesso: «perché la contaminazione avviene egualmente, qualora tu conviva con un omicida sapendolo tale, e non purifichi te stesso e lui intentandogli un’azione giudiziaria» .

I concetti richiamati afferiscono alla dimensione religiosa o, strictu sensu, alla morale religiosa e determinano una delle modalità attraverso le quali l’uomo greco regolava il proprio rapporto con il divino. Eutifrone vive questo rapporto in maniera particolare e difatti, sin dalle prime battute, si preoccupa di precisare quanto egli sia fedele agli dèi e quanto conosca le questioni religiose al punto di poterne parlare pubblicamente in assemblea e azzardando persino previsioni sul futuro: Eutifrone è un indovino. Tuttavia gli ateniesi spesso lo deridono, lo trattano «come fossi un pazzo» e su questa diffidenza del popolo si innesta il tentativo di tendere una mano a Socrate. Egli si sforza di paragonare la propria condizione a quella dell’interlocutore, che era appena stato accusato da Meleto di corrompere i giovani e introdurre nuovi dèi, ponendole sullo stesso piano. Il rapporto di Eutifrone con Socrate evolverà man mano durante il dialogo ma è interessante segnalare come alle spalle di queste poche scene già venga a galla la vivacità del mondo ateniese, animato da differenti posizioni e sètte, una delle quali potrebbe essere rappresentata da Eutifrone stesso.

Commenti

Unknown ha detto…
Segnalo un puntuale ipertesto sull'Eutifrone curato dalla prof.ssa Maria Chiara Pievatolo (Univ. Pisa), che avuto - tra l'altro - la gentilezza di citare anche questa umile pagina.

http://bfp.sp.unipi.it/dida/eutifrone/

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