Contra Schopenhauer

Schopenhauer va di moda, è innegabile. E, in particolare, vanno di moda tanto la sua volgare esaltazione dell'egoismo animale, quanto la sua ostinata lotta contro la filosofia hegeliana, forse per l'immediatezza e la facilità con cui agli occhi di tutti noi sembrano palesarsi quelle pulsioni e passioni mondane, a cui il filosofo di Danzica ha prestato tanta attenzione. Non solo, oggi Schopenhauer gode della progressiva riscoperta, in diversi ambienti, del buddismo e della spiritualità orientale, che, a quanto pare sembrano fornire risposte efficaci e rimedi concreti contro la frenesia del XXI secolo, al pari di una seduta psicanalitica. Schopenhauer, dicevo, beneficia di questa tendenza new age, seppur essa giunga attraverso vie e motivazioni distinte dal suo "sistema" e dall'ambiente letterario e filosofico nel quale è fiorito. D'altronde è bene non confondere la "cultura" new age con l'antico buddismo, così come Schopenhauer dai suoi discepoli, che, quantomeno, risultano inadeguati alla grande cultura e alle straordinarie capacità stilistiche e "musicali" del maestro.

In questi giorni ho avuto modo di leggere Il fondamento della morale, un saggio che Schopenhauer presentò alla "Regia Società delle Scienze" di Danimarca nel 1840, in occasione di un bando di concorso da loro indetto in quel periodo". Nel saggio, Schopenhauer prende in considerazione anzitutto la fondazione kantiana dell'etica, la più recente e fino ad allora la più convincente, con l'obiettivo di scalzarla e far spazio al suo "sistema" della Volontà, che, nella sua concezione, è rimasto nascosto per troppo tempo alla riflessione filosofica. Mi limito a notare la scarsa capacità teoretica del filosofo di Danzica nella trattazione del materiale kantiano, volgarizzato a mera esposizione di una morale impositiva e dal fondamento teologico - ossia, per lui, frutto di cieca sottomissione alla Chiesa. Ma tra le varie imprecisioni e riduzioni, in verità pur ammissibili nell'orizzonte di una discussione dialettica, non può non saltare all'occhio la critica ad un presunto pan-teoreticismo (termine mio) kantiano in merito alla trattazione morale.

L'accusa di Schopenhauer suona grosso modo così: nella fondazione della filosofia pratica, Kant si è limitato ad assumere la brillante distinzione, guadagnata nella Kritik der Reinen Vernunft, tra apriori/aposteriori per applicarla ovunque, anche e soprattutto nell'etica. Tuttavia il problema di Kant non era tanto quello etico, bensì era, appunto, quello teoretico e, a mio avviso, l'appunto di Schopenhauer è tutt'altro che un'accusa se proviamo a intendere il livello su cui tenta di muoversi Kant. Difatti, dopo aver constatato l'insufficenza del "meccanismo" teoretico della KRV in merito alla conoscenza dell'essenza intima delle cose, Kant si rende conto che l'accesso a tale "essenza" - "cosa in sè" - non poteva che esservi in sede pratica, attraverso una forma di "conoscenza" non imbrigliabile nella rete delle strutture del soggetto. Ecco che tutta la Kritik der Praktischen Vernunft ruota attorno al problema dell'accesso alla "cosa in sè" dell'azione, così chiaramente rappresentato nella metafora del girarrosto: dobbiamo evitare di rimanere imbrigliati nella "rete" del girarrosto; dobbiamo evitare di cadere nello stesso errore di Leibniz; ma cercare di essere noi stessi, pura ragione, quell'agire a cui appartiene la forza prima, ossia, ad onor di metafora, essere quella mano che, appunto, avvia il girarrosto. Essere il puro Inizio dell'azione morale è nella KPV lo stesso problema che nella KRV era declinato nella domanda di conoscenza del noumeno. E, ancora, è la stessa questione che nella Cittadella abbiamo più volte posto: come attingere all'In sè?

A più riprese, Schopenhauer mostra di non aver compreso questo livello teoretico ulteriore rispetto alla morale intesa come determinazione più o meno cogente delle azioni umane. Nonostante il contesto erudito e il pregiato stile letterario, Schopenhauer si dimostra pessimo filosofo: è rimasto imbrigliato nel girarrosto di Leibniz e, mentre tentatava di guardare in alto, Kant si era già librato in volo verso i cieli della grande filosofia. Ma in questa sede abbiamo trattato solo un aspetto del "sistema" di Schopenhauer e, in vero, il meno conosciuto. Abbandono questa strada, evitando di infierire ancora su un grande studioso - la cui esistenza è stata segnata dagli insulti e dalle porte chiuse degli hegeliani -, forse proprio per un rispetto che lui stesso ha dimostrato poche volte di avere nei confronti dei suoi maestri.




Commenti

Segnalo la recensione dell'amico Tore Obinu a "Il mondo come volontà e rappresentazione", pubblicata curiosamente proprio ieri qui.
sgubonius ha detto…
Non è nuova l'idea che Schopenhauer sia sostanzialmente poco un filosofo (in Heidegger ad esempio si trova), come anche Kierkegaard, quanto un moralista o un eccellente scrittore.

In effetti non è che poi Schopenhauer abbia avuto un ruolo cruciale nella storia della filosofia, se non per il tramite di Nietzsche. E forse è questo rapporto col "fuori" della filosofia che è (paradossalmente) il contributo di Schopenhauer alla storia del pensiero (ma sempre anche di Kierkegaard, non a caso sempre in qualche maniera contra Hegel, contro il totalizzarsi della filosofia sul "fuori").
laura ha detto…
trovo che questo modo di criticare non sia per nulla utile, dato che si regge sul nulla.
poi ci mettiamo a fare riferimento alle mode? da quanto in qua ci interessa cosa va di moda, crediamo alle mode? anche hegel andava di moda quando shopenhauer e il suddetto insegnavano a berlino, andava di moda anche nel ventennio fascita, va di moda anche oggi.e allora che facciamo?
sarei inoltre curiosa di sapere quali sono le risposte efficaci che dà il buddismo.
«Ma se noi ora tentiamo anche soltanto, semplicemente nella nostra fantasia, di
concepire e di rappresentarci un uomo, il cui animo sia posseduto, come da un demonio,
da un dovere assoluto che parli esclusivamente per imperativi categorici e che pretenda
di guidare costantemente le sue azioni a dispetto delle sue inclinazioni e dei suoi
desideri, non avremo in ciò un'immagine fedele della natura dell'uomo o dei fatti della
nostra interiorità; ben vi riconosceremo invece un surrogato artefatto della morale
teologica, in rapporto alla quale esso sta come una gamba di legno in rapporto ad una
gamba vera ».

A.Schopenhauer, Il fondamento della morale, cap. 8.
Ciao laura, grazie di essere intervenuta. Dunque, anzitutto credo di aver fornito una motivazione sostanziosa e mi spiace che tu non l'abbia colta. Riguardo le mode: certo che interessano, perchè forniscono dati interessanti sull'ambiente in cui scrivi e su come un autore o un pensiero siano recepiti dalla società. Attualmente, credo, ci sia una forte tendenza verso Schopenhauer e il buddismo perchè entrambi danno, come scrivevo, risposte facili. Quali sono? Dipingono un mondo senza spiritualità e filosofia, ma riducono tutto ad un'approccio etico. In tal senso, sono incapaci di lanciare una sfida radicale come quella cristiana o filosofica: "gnosis autòn"; si limitano piuttosto, come la psicanalisi, a "curare" le menti (non le anime) "stressate" dal capitalismo e dalla frenesia dei consumi. E' una via facile, una discesa, perchè non pone nulla in discussione, ma predica la non-vita. La vita è solo nell'intelligenza e nello Spirito. Sì, sono hegeliano.

:)
Segnalo en passant la discussione che questo post ha stimolato su filosofico.net: qui.
Ernesto Graziani ha detto…
1) Sulla “volgare esaltazione dell’egoismo animale”. Che la descrizione, o meglio, la fenomenologia (per usare almeno una volta un termine filosofico nel suo significato reale, e non come sinonimo di ‘oscuro modo di parlare per metafore e paradossi con picchi di insensatezza delirante’) sia una esaltazione è affermazione infondata. Direi invece: “Diamo a Nietzsche quel che è di Nietzsche, e non attribuiamolo a torto al suo maestro”. La genealogia della morale non è un capitolo dei Parerga. Non c’è esaltazione, c’è descrizione del fenomeno dell’egoismo (e poi una sua spiegazione metafisica), un fenomeno pressoché onnipresente nel mondo umano ed animale, impossibile da negare senza negare insieme la propria onestà, e non solo quella filosofica, ed il proprio buon senso. E se non è esaltazione, ma descrizione – certo, a vivi toni -, allora non può neppure essere una esaltazione volgare. Ammettiamo, pero, per ipotesi che lo sia. Ebbene, cosa significherebbe che la descrizione schopenhaueriana dell’egoismo è volgare? Forse che essa viene formulata ricorrendo, letteralmente, a modalità espressive volgari? È scritta male? No, certo. Magari contiene ingiurie contro chi è contro l’egoismo? Neppure. Magari significa che l’egoismo stesso è volgare e che la sua volgarità contamina in qualche modo il discorso che verte su di esso? Ammesso che sia sensato dire che l’egoismo sia qualcosa di volgare che lo sia tout court, è errato pensare che il parlare di cose a cui attribuiamo una certa qualità acquisti esso stesso quella qualità per il solo essere un parlarne. Oppure, potrebbe significare che ad essere volgare è il modo di condurre l’argomentazione – il modo di ragionare sui fenomeni – e/o gli esempi proposti? Se a farti problema è il modo di ragionare, allora “volgare” è espressione inappropriata – sebbene retoricamente efficace – per riassumere in un aggettivo le tue contro-argomentazioni che non hai presentato. Se invece ti riferisci agli esempi proposti, allora bisognerebbe che te la prendi con la realtà stessa, da cui sono tratti.
2) Che le pulsioni e le “passioni mondane” sembrino palesarsi è inesatto. Esse si palesano punto. “Sembrano palesarsi”, in questo specifico contesto, è un’espressione insensata di cui ti servi nel tentativo di misconoscere un dato di fatto evidente.
3) Sulla “scarsa capacità teoretica…nella trattazione del materiale kantiano, volgarizzato a mere esposizione impositiva e dal fondamento teologico”. Questa non è l’obiezione diretta che S. muove contro il tentativo kantiano di fondazione dell’etica. Questa è una spiegazione, che definirei psicologico-genetica (simile a quelle offerte così spesso da Nietzsche), degli errori di Kant. Errori, tra i quali quello fondamentale (risconosco anche che non tutte le obiezioni di S. vadano a segno, per esempio è errata quello che individua alla base dell’imperativo categorico l’egoismo reciprocizzato tra individui, che può essere al massimo l’altra faccia, quella negativa, del principio di universalizzabilità come regola pratica) è quello di essersi illuso che la ragione, come pura, potesse essere pratica, ovvero che la ragione, nella sua mera formalità, possa produrre da se stessa, prescindendo da contenuti empirici (le passioni)un volere ed un agire. Esiste, cioè, un imperativo che sia categorico. E qui S. ha perfettamente ragione, per la via di Kant non si prosegue. Qui è in gioco una contrapposizione tra due concezione della ragione e non un fraintendimento di Kant da parte di S.: S. non fraintende Kant – lo confuta. Lo confuta alla luce di una differente concezione della ragione umana, certamente non scevra di errori, ma comunque più realistica e terrena. Se per avere un agire ed un volere la pura ragione non è sufficiente, dato che essa è, nella sua essenza conoscitiva, è naturale scorgere un pan-teoreticismo, direi anche un pan-razionalismo, in chi nutre simili pretese – qui, Kant.

Altra critiche possono essere mosse al tuo post, critiche che non posso riportare per insufficeinza di spazio disponibile.
sgubonius ha detto…
Ernesto, in linea di massima concordo con quanto dici in difesa di Schopenhauer, però non arriverei a dire che egli "confuti" Kant. Semplicemente perché manca in Schopenhauer una struttura (onto)logica alternativa a quella kantiana che permetta il meccanismo della confutazione (a differenza per esempio di quanto c'è in Hegel).
La discussione continua qui, dove ho pubblicato un intervento di Ernesto Graziani "più organico" rispetto a questo. Grazie!
Anonimo ha detto…
non ho voglia di smontare punto per punto tutte le cazzate che ho letto su schop.dico solo insieme a lui..."non scrivo per gli imbecille,per questo il mio pubblico è ristretto".
di mio posso solo dire che dio doveva distribuire piu cervelli che bocche.peccato,sarà per la prossima creazione.(sono ateo sia chiaro).
Francesco.
Francesco! Solitamente non pubblico commenti così offensivi e poco rispettosi, ma stavolta ho fatto un'eccezione: se sarai in grado di dimostrare quanto scrivi ne avremo tutti beneficio.
Anonimo ha detto…
Premetto che non sono un grande erudito, e infatti non riesco proprio a capire di quale Schopenhauer si parli qui. Io ne conosco uno, faceva Arthur di nome. Questo Arthur Schopenhauer che conosco io, però, diceva che la liberazione dalla Volontà si può ottenere in tre modi: mediante l'arte, ma solo temporaneamente; mediante la compassione; mediante l'ascesi, spogliandosi, guarda caso, della propria individualità e, ovviamente, del proprio egoismo. Ma è chiaro che si sta parlando di due Schopenhauer diversi, perché quello che tu citi fa una "volgare esaltazione dell'egoismo animale", perciò non può essere quello che conosco io, che invece esalta l'esatto opposto.