Gianni Baget Bozzo e "La mistica dell'eros"

Leggendo come ogni giorno gli articoli freschi sui quotidiani on-line, mi sono imbattuto nell'intervento di Gianni Baget Bozzo su "Il Foglio", intitolato "La mistica dell'eros", in cui viene ben tematizzata la storia del ruolo che ha avuto la concupiscenza nella tradizione cristiana e i relativi approcci. L'autore cita ampiamente quella tradizione mistica su cui spesso abbiamo avuto occasione di discutere e in particolare quella "mistica del sentimento", che altrettante volte, sulla scia di seri lettori e studiosi, ho bollato non solo come mera superstizione ma soprattutto contraria alla mistica stessa, che non ricerca il particolare o l'eccezionalità "dell'unione" con il Cristo che assume caratteri fisici, umani troppo umani, bensì si rivolge alla quotidiana esperienza del distacco dal proprio "io-psicologico". Non a caso la psicanalisi ha trovato nelle esperienze di queste cosiddette "mistiche" (Baget Bozzo sottolinea come, non a caso, siano donne) un fertile terreno di studio, in quanto risulta essere, come la psicanalisi stessa, potenziamento della psiche e mai distacco: amore di sè e non amore di Dio, per dirla in termini Agostiniani. Baget Bozzo, parallelamente alla riduzione della componente mistica alla "mistica del sentimento" muove un secondo passo falso quando, coerentemente con le posizioni del cattolicesimo contemporaneo, scrive:
Contro un intellettualismo, che era ben possibile quando il linguaggio cristiano attraversò il mondo greco, la centralità del corpo di Cristo diede sempre una accentuazione sulla dimensione corporea della spiritualità.
Alla luce delle precedenti considerazioni sulla mistica, non sorprende la facilità con cui Baget Bozzo liquidi la radice greca del cristianesimo ad intellettualismo e si affidi al patrimonio della Bibbia ebraica. Tralasciando considerazioni sulla cogenza della scelta di acquisire la Bibbia come parola di Dio, nonostante almeno dal 1600 (Spinoza) sappiamo riconoscere la Bibbia come una (bella) antologia della letteratura ebraica, porta a riflettere la riduzione della fonte pagana greca, perchè Baget Bozzo sa benissimo quanto sia stata centrale nella formulazione dell'intero corpus dottrinale cristiano, dai padri greci a, soprattutto, S. Paolo, vero fondatore, secondo alcuni, della religione cristiana. Verrebbe da domandarsi il motivo per cui è stato escluso dalla riflessione proprio questo filo conduttore che passa da Platone per Plotino e per gli autori cristiani, come Eckhart e Cusano, per citare i maggiori. Il dubbio diviene sospetto se riflettiamo sulla capacità distruttiva che alcune riflessioni, comuni non solo ai mistici cristiani ma, spesso, a lontane esperienze religiose come Induismo e Buddismo, possano avere all'interno del Cristianesimo stesso e dalle quali la Chiesa si è spesso difesa attraverso le scomuniche, certo legittime dal suo punto di vista. In secondo luogo verrebbe ancora da domandarsi quale relazione sussista, se sussista, tra il "disincanto" degli anni 60, come scrive Don Baget Bozzo e la svalutazione e, spesso, il rifiuto ecclesiastico per quel filone di pensiero: che non consista proprio nel recupero di questa tradizione (che parallelamente richiede la rinuncia ad alcune pratiche e dogmi) il baluardo di salvezza per la Chiesa e per il patrimonio della spiritualità occidentale?

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