Quale natale?

La breve riflessione che vorrei presentarvi sulla festività natalizia mira ad essere un compendio di quanto scritto in questi anni sul tema, cercando di riflettere sugli schemi delle principali concezioni e sui presupposti dei modelli etici che più frequentemente incrociamo o che noi stessi adottiamo. Credo sia necessario iniziare tenendo ferma l'idea che il Natale, come tante altre festività, laiche o religiose, non può essere semplicemente un'evento spirituale o semplicemente una ricorrenza mondana, bensì si presenta come una soluzione unica, in cui le due radici sembrano una. D'altronde sono convinto che ogni fenomeno di questo tipo sia - prendendo in prestito il linguaggio della chimica - una soluzione e non un miscuglio, ossia un unicum da assumere come tale, senza illudersi di poterne isolare le componenti. Dietro questa festività possiamo osservare comporsi la spiritualità della kenosi, di quell'Incarnazione così paradossale, con tradizioni pagane e simbologie primitive, sulle quali rimando ad un articolo di J. Evola, "Cos'è il Natale?". Pertanto, a partire da quest'ordine di convinzioni, non credo sorprenderà nessuno il tentativo di rintracciare nella nostra cultura attuale quelle opposte tendenze, tra l'altro interpretate in maniera palesemente radicale e intergralista. Mi riferisco da un lato alle insopportabili derive consumistiche e "pagane" - come la ridicola proposta di rendere il Natale come una festa delle luci - sulle quali trovo sia superfluo soffermarci; dall'altro a tutti quei richiami alla sola "pseudo spiritualità", che molto spesso durante il periodo natalizio ritornano con fastidio - persino dalla pubblicità.

Preciso maggiormente questo secondo punto perchè troppo spesso nella Cittadella ho portato avanti anch'io il discorso più strettamente spirituale. Il distinguo che voglio fare è importante perchè permette a mio avviso di accostarsi con una lente particolare a questa notte. Per "pseudo spiritualità" mi riferisco a quella vuota spiritualità che ritroviamo nel richiamo ad una presunta bontà del cuore o ad una forzata astinenza dal mondano, quasi ad offrire un "fioretto" a Dio, così come mi raccontavano le suore da bambino. Il peggio, credo, si mostri quando a questa tendenza viene affiancata la solita pappardella marxista della liberazione dei popoli etc. Non ho timore ad espormi in maniera così dura perchè credo che la cristianità di tutto abbia bisogno meno che di una deriva buonista: non si tratta di essere pateticamente buoni ma di comprendere che quell'infinito donarsi di cui questa notte vuole richiamare ricordo e vestigia, è sovrabbondanza e tenebra. Tutt'altro che patetico "esser buoni" e cioccolatosi, ma un vero e proprio mistero dinanzi al quale non possiamo che accostarci con il sacro silenzio e distacco. Non solo, attuazione massima di questo silenzio non è certo il buonismo borghese ma quella nascita del figlio dell'anima di cui parla Eckhart e alla quale rimando nella Cittadella. Allora alla vera spiritualità non disturba affatto quella strana fusione con le tradizioni primitive e pre-cristiane di cui parlava J.Evola nel suo articolo, perchè i simbolismi dell'albero, del dono e della rinascita mirano lì dove mira anche la Croce: al Cielo. Il vero cristiano è allora colui che si sforza ogni giorno - non solo a Natale - di "scolpire la propria statua" e accogliere il Figlio nella propria anima, magari accogliendo la differenza del pagano; accogliendo e tramandando quello stesso sforzo di risalita che ci accomuna ai nostri antenati più lontani. Ciò che disturba, invece, è il falso buonismo sul quale troppo spesso si vuole schiacchiare la spiritualità cristiana, rendendola così adatta al piccolo borghese e alla pubblicità della Mediaset.


PS: Rimando alla predica di J.Tauler, La nascita di Dio nell'anima dell'uomo, che pubblicai lo scorso anno sulla Cittadella.

Commenti

Anonimo ha detto…
Comunque sono d'accordo con te Andrea, anche se da non cristiano non riesco proprio a concepire la "kenosi", unione misteriosa tra divino e umano in Cristo.
sgubonius ha detto…
Io sono dell'idea che di spirituale la festa abbia sempre poco, non si è spirituali un giorno all'anno. La ricorrenza è sempre un modo per forzare nel mondano l'eccezionale. Tanto che generalmente di "svuotamento" a Natale ce n'è poco, per lo più ci si rimpinza di vacuità (che non è proprio la stessa cosa!)

Il verbum va predicato ogni giorno o ogni istante, figurarlo il 25 dicembre non vedo che senso abbia, se non semplificare le cose e dare un po' di sostanza all'impalpabile.
Per estensione lo stesso vale per ogni questione di "tradizione" cristiana, a cui io credo molto poco (nel senso che, quando diventa tradizione, il credo ha perso la sua forza esplosiva, di fare la differenza, per diventare un conservatorismo).

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